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Prostituzione e tratta: la complicità italiana

Prostituzione, violenza e tratta sono fenomeni interconnessi: ma in Italia e' un tabù che cela sporchi interessi! 

Le acque del Mediterraneo tra la Libia e l'Italia sono l'attuale frontiera per la crisi dei migranti in Europa. Almeno 2.196 persone sono morte in mare cercando di raggiungere l’Europa nel 2017, più del tasso del 2016. Ma il rischio di morte non ha scoraggiato le persone che hanno iniziato il viaggio: l'anno scorso, più di 80.000 persone hanno raggiunto l'Italia su barche di legno e di gomma, la maggiore parte proveniente da paesi dell'Africa occidentale.

 Anche la rotta verso la Libia è pericolosa - ed è particolarmente infida per le donne. In ogni missione di soccorso, s’incontrano donne che affermano di aver subito violenza sessuale e stupro. In alcuni casi le donne contraggono l'HIV per violenza sessuale mentre attraversano i confini. Eppure, nonostante i pericoli noti nel viaggio verso l'Europa, le donne sono disposte a rischiare la vita per sfuggire a violenze sessuali altrettanto gravi subite a casa. Nel 2016 le Nazioni Unite hanno identificato la violenza di genere - come il matrimonio precoce e forzato e la violenza domestica - come ragioni per cui le donne lasciano i loro paesi di origine. Il problema persiste da qualche tempo nella regione. Nel 2010, uno studio di MSF su un campione di donne sub-sahariane che erano fuggite in Nord Africa, ha scoperto che il 70% aveva lasciato i propri paesi a causa di violenze o abusi. Quasi un terzo delle donne ha dichiarato di essere stata stuprata nel proprio paese d'origine. Gli autori di violenze sessuali sulla rotta verso la Libia possono essere chiunque: forze di sicurezza e di polizia, contrabbandieri che sfruttano e trafficano donne e, a volte, persino uomini con le loro scialuppe di salvataggio. A febbraio, un rapporto dell'UNICEF ha affermato che i livelli di violenza sessuale, sfruttamento, abusi e detenzione lungo la rotta migratoria del Mediterraneo centrale la rendono "tra le rotte migratorie più mortali e pericolose del mondo per bambini e donne".

Un gruppo di rifugiati ha descritto le condizioni sulla rotta come "inferno sulla Terra", con abusi sessuali che avvengono in "ogni fase del viaggio" e che riguardano "quasi tutte" le donne migranti e rifugiate. Il rapporto dice che alcune donne scelgono di ricevere iniezioni contraccettive mentre viaggiano per prevenire gravidanze, sapendo che la probabilità di stupro durante il viaggio è alta. Anche quando quelli in transito raggiungono la Libia, le condizioni restano disastrose. Uomini, donne e bambini sono trattenuti indefinitamente nei centri di detenzione, dove molti sono torturati, stuprati e affamati. Alcuni sono venduti nella moderna tratta degli schiavi: l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, un organismo delle Nazioni Unite, ha stimato che l' 80% delle 11.009 donne nigeriane arrivate in Sicilia dalla Libia nel 2016 sono state trafficate.

Le donne che lavorano come domestiche in Libia talvolta sono rapite a metà del giorno per essere introdotte clandestinamente in Europa. "Le donne sono sedute nelle case a mangiare il loro pranzo, e l'attimo dopo vengono afferrate, trascinate e lanciate su una barca", ha detto Sarah Adeyinka, una mediatrice culturale di MSF, la cui cugina nigeriana era stata vittima di tratta. La risposta dell'Europa alle questioni affrontate dalle donne rifugiate e migranti è stata lenta. Ad aprile 2017, i membri del Consiglio d'Europa hanno riconosciuto che "la dimensione di genere della crisi dei rifugiati è stata in gran parte trascurata", affermando che la protezione delle donne "dovrebbe essere una priorità, indipendentemente dal loro status". Il mese prima, il Consiglio ha ratificato la legislazione per prevenire e combattere la violenza contro le donne, sottolineando la necessità di avviare procedure di asilo sensibili al genere, nonché la presenza di assistenti sociali, interpreti, agenti di polizia e guardie nelle strutture di transito. Tuttavia, alcune organizzazioni di beneficenza e organizzazioni avvertono che la violenza sessuale sulle rotte migratorie è gravemente sottostimata. Dicono che l'insufficiente formazione del personale e la mancanza di procedure efficaci per identificare i casi di violenza sessuale rendono le donne migranti riluttanti a rivolgersi a un medico o a denunciare i crimini. Di conseguenza, secondo l'Agenzia dell'Unione Europea per i diritti fondamentali, l’Europa "non è in questo momento in grado di prevenire o rispondere alle sopravvissute alla violenza sessuale e di genere in alcun modo significativo". Anche quando quelli in transito raggiungono la Libia, le condizioni restano disastrose.

Molti operatori sociali sospettano che la maggior parte delle ragazze nigeriane, soprattutto degli arrivi più recenti - anche se non tutti - sapessero prima di lasciare la Nigeria che i loro trafficanti le avrebbero messe a lavorare come prostitute, cosa che comunque non ha alcuna importanza quando si tratta di aiutare le donne, giacché sono tutte vittime di abusi e hanno bisogno di compassione e aiuto, non certo di qualcuno che le avvii al, così detto, “sex work” autoderminato (secondo la moda del “femminismo-pop”) o che qualche femminista liberal-pop le etichetti come “sex-worker-migranti”, come recentemente è successo in alcune assemblee di NUDM in Italia. In ogni caso le donne trafficate non sembrano per niente consapevoli di quanto estenuante fosse il loro lavoro in Italia, quanto fossero spaventose le loro condizioni di vita, quanto fossero mal pagate e quanto tempo ci sarebbe voluto per pagare i debiti ai trafficanti, che richiedono alle donne circa $ 41.000 (35.000 euro) per il viaggio. Lo staff di On the Road, un'associazione benefica che aiuta le donne a uscire dalla prostituzione, non crede per niente che le nigeriane conoscano il loro destino in Italia. Piuttosto afferma che il vero problema è che le nigeriane sono abbindolate e ingannate. Lo scorso anno, Human Rights Watch ha intervistato 47 donne migranti appena sbarcate in Sicilia che hanno descritto i gravi abusi in Libia da parte di funzionari governativi, contrabbandieri e membri di milizie e bande criminali. 

L'articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1979 sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne usa la stessa formulazione della Convenzione del 1949, invitando gli Stati membri a: "prendere tutte le misure appropriate, compresa la legislazione, per sopprimere tutte le forme di tratta delle donne e sfruttamento della prostituzione femminile" (Nazioni Unite 1979). In entrambi i documenti, lo "sfruttamento della prostituzione" si riferisce al profitto derivante dalla prostituzione da parte di terzi. In entrambi i documenti, la prostituzione è considerata inestricabilmente legata alla tratta, il che indica che, almeno fino al 1979, c'era un consenso sulla vecchia politica femminista e internazionale secondo cui la prostituzione e la tratta di esseri umani non potevano essere considerate questioni separate (Jeffreys 2003). Lo storico libro di Kathleen Barry dello stesso anno, Female Sualvery Slavery, conteneva prove scientifiche inequivocabili di violenza contro le donne nella prostituzione, trafficate o meno, e dei più ampi legami con tutte le forme di violenza sessuale. Dorchen Leidholdt osserva che "la percezione della necessità di definire la tratta e di distinguerla dalla prostituzione è avvenuta solo molto più tardi, negli anni '80 (2003: 175) e attribuisce questo alla lobby dell'industria del sesso per "limitare sia la portata delle leggi nazionali che internazionali" (2003: 175):

"Ignorare o negare il danno dell'industria del sesso non era un'opzione, perché quel danno era ben documentato, un approccio più pragmatico era focalizzare l'attenzione sulle pratiche più brutali ed estreme dell'industria del sesso – come trasportare le donne dai paesi poveri ai paesi ricchi usando la schiavitù del debito e la violenza brutale - mentre legittima le altre attività in nome dei “diritti dei lavoratori” (Leidholdt 2003: 175-6).

Questa citazione di Leidholdt fa riferimento alla divisione apparsa solo nell'ultimo decennio sul fatto che la prostituzione non debba più essere vista come violenza contro le donne di per sé ma come area di lavoro legittimo (in cui le donne potrebbero scegliere di essere impiegate), dove la violenza è vista come "accidentale" piuttosto che "inerente". Alcune organizzazioni, come la Scarlet Alliance in Australia, adottano quest'ultimo punto di vista e hanno esercitato pressioni massive per regolamentare la prostituzione e il suo riconoscimento come lavoro legittimo. Sostengono che ciò ridurrà il danno arrecato alle donne nell'industria del sesso. Altre organizzazioni di donne ex-prostitute hanno l'opinione opposta (ad esempio, WHISPER o SAGE: Standing Against Global Exploitation). Queste organizzazioni sostengono che la legalizzazione, invece di diminuire il danno materiale e morale procurato della prostituzione, serva semplicemente a ritrarre la stessa come fenomeno sociale innocuo, legittimando in tal modo l'uso da parte degli uomini di prostitute e l'aumento della domanda. Il dibattito è molto acceso per la questione della tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale, con governi e teorici politici negli Stati Uniti e in Svezia che giustamente collegano la legalizzazione della prostituzione a un aumento di questa forma di traffico (Ekberg 2001, US State Department 2004b). Ricercatori indipendenti come Victor Malarek, nel suo libro The Natashas: Inside the New Global Sex Trade, sostengono che la regolamentazione serva a potenziare i trafficanti poiché la vittimizzazione delle donne nella prostituzione diventa fenomeno legalmente non sanzionabile (Malarek 2004). Ultimamente vi è una mancanza di ricerche primarie sull'argomento giacché le accademie italiane tendono sempre più spesso a finanziare ricerche favorevoli al “sex work” e a isolare e marginalizzare il fronte abolizionista e quello proibizionista. 

Questo significa che vi sono poche prove per supportare o contraddire i vari approcci, rendendo difficile il dibattito pubblico. Questo fenomeno produce successive implicazioni nell’affrontare il problema della domanda della tratta e crea una censura comunicativa sugli effetti psicologici e morali legati al fenomeno. Secondo studi condotti dalla ONG Human Rights Watch, ogni anno, molte migliaia di giovani donne e ragazze, in tutto il mondo, sono rapite o vendute e avviate alla prostituzione forzata e al matrimonio involontario. Sono barattate a prezzi che variano secondo l’età, la bellezza o la verginità e sono sfruttate in condizioni che equivalgono a una forma moderna di schiavitù. Le donne e le ragazze che sono state trafficate raramente riescono a fuggire o negoziare le condizioni del loro impiego o matrimonio. Nei paesi in cui Human Rights Watch ha condotto indagini sul problema della tratta, è stato scoperto che molti agenti di polizia e altri funzionari del governo locale facilitano e traggono profitto dal commercio di donne e ragazze: ignorando gli abusi che avvengono nelle loro giurisdizioni; proteggendo i trafficanti, i proprietari di bordelli, i papponi, i clienti e gli acquirenti; e aiutano il traffico di donne come esecutori, conducenti e reclutatori. Se una donna è portata oltre i propri confini nazionali, i funzionari dell'immigrazione spesso aiutano e favoriscono il suo passaggio. Il fiorente commercio di donne e ragazze è legato fondamentalmente allo status di disuguaglianza delle donne. Nella maggior parte dei casi, in particolare nelle aree povere e rurali, le donne e le ragazze hanno minori opportunità educative ed economiche rispetto ai maschi. L'attrazione di una grande città, posti di lavoro ben pagati e la prospettiva di una vita migliore fanno sì che donne e ragazze che hanno poche possibilità nelle loro terre, acconsentano a presunti lavori o offerte di matrimonio provenienti da paesi molto lontani. Inoltre, anche se la donna o la ragazza stessa non è tentata, la preferenza per i figli maschi in molte società (sia per portare avanti il nome di famiglia che come assicurazione economica per la vecchiaia) e la promessa di pagamenti immediati spesso portano le famiglie a vendere le loro figlie. Poiché molti agenti-reclutatori sono autoctoni che hanno familiarità con le condizioni locali, reclutano strategicamente nel periodo di magra prima dei raccolti o prendono di mira le famiglie con difficoltà finanziarie. Il tempismo dei reclutatori, unito alla tradizionale responsabilità delle donne di prendersi cura delle loro famiglie, rende molto difficile resistere alle false offerte di lavoro o di matrimonio. Sebbene la tratta di donne e ragazze sia diventata un commercio transfrontaliero redditizio e in espansione, essa sfugge sistematicamente a sanzioni sia nazionali che internazionali efficaci. La tratta a fini di prostituzione forzata è stata spesso mal interpretata dai governi e dalle organizzazioni per i diritti umani, come se fosse a un atto volontario, presumendo il consenso delle donne, anche quando esistono numerose prove contrarie. Sia la prostituzione forzata che il matrimonio forzato sono stati in gran parte liquidati come reati perpetrati da privati, per i quali gli stati non hanno alcuna responsabilità ai sensi del diritto internazionale. Al contrario, i governi hanno specifici doveri legali internazionali per sradicare la tratta e gli abusi correlati.

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