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Presadiretta: da Assange a Orban, democrazia sotto attacco

Le nuove autocrazie che si affacciano nella democratica Europa: l’Ungheria di Orban e la Polonia che è appena uscita dall’incubo della destra di Dio patria e famiglia.

Uno slogan che si sente anche in Italia con la destra di Meloni e Salvini, la destra che attacca le famiglie arcobaleno, le donne che vogliono abortire.

Un paese dove una buona fetta del paese non va a votare perché questa classe politica non lo rappresenta, perché le elezioni forse sono qualcosa di più di una croce come nel televoto.

Infine la storia di Julian Assange: per aver svelato i crimini di guerra delle democrazie occidentali in Iraq e Afghanistan rischia 175 anni di carcere. È questa la nostra democrazia?

L’Ungheria dove non esiste la democrazia

L’Ungheria, come la Cina, la Turchia, non è una democrazia: è un regime ibrido, è la denuncia del parlamento europeo. Non basta poter votare se non si rispettano i principi della democrazia.

Orban è l’uomo solo al comando da 13 anni, leader del partito stato, dichiaratamente illiberale.
Orban ha riscritto la costituzione, ha ridisegnato i collegi per avvantaggiare il suo partito, ha cambiato la legge elettorale e col premio di maggioranza ha avuto il potere assoluto.

Non servono carri armati per un colpo di stato dall’interno: il partito di governo controlla la fondazione Kesma che controlla giornali, blob, televisioni.

Gli uomini di affari amici di Orban si comprano le televisioni, come Lorinc Mészáros, l’ex idraulico diventato miliardario con l’ascesa al potere di Orban.

Nel clan di Orban, il padrino viene definito, ci sono suoi uomini che controllano la giustizia, come il procuratore generale, controllano le università, controllano l’informazione.
Non c’è nessuna separazione tra potere esecutivo e parlamento, giustizia: da una parte alle scuole pubbliche arrivano briciole, dall’altra arrivano miliardi ad una fondazione privata legata al capo di gabinetto del primo ministro.

Come nella Russia di Putin, il governo controlla cosa c’è scritto sui libri, ha vietato le proteste e gli scioperi. Per distruggere tutti i principi della democrazia non serve sparare alcun colpo di fucile.

Chi vincerà la partita tra l’Ungheria e l’Europa?

Con l’inflazione al 20%, i nemici del paese per Orban sono gli immigrati, respinti alle frontiere senza pietà: per questo è stato costruito un muro verso la Serbia, respingendo tutti i migrati e negando il diritto di asilo.
I nemici di Orban sono le elite liberali, l’Europa, i poteri forti: coi soldi pubblici si finanziano campagne contro l’Europa, finti referendum su temi che contengono bugie sull’Unione, tutto per legittimare la propaganda sovranista.

Le donne devono partorire, almeno quattro figli per non poter pagare tasse: in completa affinità con la nostra presidente Meloni, la difesa della famiglia, della nazione, dell’identità.

L’Ungheria di oggi è l’Italia di domani, quella che Meloni ha in testa?

LE donne devono ascoltare il battito del feto, prima di abortire: questo vogliono i deputati del partito di Orban, La nostra patria, una punizione contro le donne.

Per evitare le gravidanze indesiderate servirebbero politiche informative sulla sessualità, per educare i ragazzi, ma il governo è di parere contrario: per legge i ragazzi sono protetti dalle immagini con contenuti omosessuali.

Con risultati grotteschi: la propaganda gender è una via per spostare l’attenzione dai veri problemi del paese.

Come nella Germania di Hitler, si distruggono i libri proibiti, anche quelli per ragazzi che raccontano storie d’amore tra adolescenti.

La legge sulla protezione per l’infanzia stigmatizza le persone omosessuali, definisce le librerie come luoghi pericolosi.

L’Europa ha bloccati 20 miliardi di fondi europei, per questi comportamenti anti democratici: ma l’Ungheria non può essere espulsa dall’Europa, per bloccare il voto all’Ungheria servirebbe il voto unanime dei paesi, ma ogni volta Orban trova alleati.

Orban è un despota, un ricattatore, un politico che si è arricchito coi fondi europei, lui e il suo clan.

Le politiche della destra in Italia

L’Ungheria non è così lontana: anche da noi le famiglie arcobaleno non sono ben tollerate, mancano diritti per le famiglie con due mamme, come a Padova dove il Tribunale ha impugnato tutte le registrazioni all’anagrafe di bambini con due mamme.

Siamo il paese dei diritti negati. Tutto è partito con la circolare del ministro Piantedosi ai sindaci, dove chiedeva di bloccare le trascrizioni dei bambini, citando una sentenza della Cassazione dove si parlava della gestazione con altri.

Le decisioni prese dal Tribunale di Padova sono rimandate alla Cassazione: c’è un vuoto oggi per i figli delle coppie gay, che non verrà colmata da questa maggioranza di governo.

Questa destra ha in mente Dio, patria e famiglia, la mamma che deve solo fare figli, il papà e la mamma.. Contrari alle unioni civili, all’aborto, come vogliono i signori del Family Day.

Anche qui si vuole rendere obbligatorio l’ascolto del battito del feto, come in Ungheria: una proposta giusta dice Gandolfini, anche senza la volontà delle madri.

I movimenti pro life hanno spazio negli ospedali, per convincere le mamme a non abortire: è successo a Torino all’ospedale Sant’Anna. Un bell’obiettivo politico, per gli antiabortisti.

È grazie a questi movimenti con la testa nel passato che la pillola RU486 ha impiegato 20 anni per essere autorizzata, per una battaglia ideologica sul corpo delle donne.

In Piemonte questa pillola è stata vietata nei consultori, poi è stato stanziato un fondo regionale per i progetti delle associazioni pro-vita: progetti con titoli imbarazzanti, che parlano della gioia della vita, delle donne viste come mamme gravide e felici.

Una visione confessionale del mondo, non laica.

Queste associazioni danno aiuto alle donne, che certo, possono scegliere di abortire: ma alla fine le associazioni anti abortiste prendono quei contributi che potrebbero essere mandati direttamente per il sostegno delle famiglie. Si svuota la 194 dall’interno: l’aborto non è libero né gratuito, come il supporto alla maternità non significa solo qualche aiuto per i pannoloni per pochi mesi.

Si aiuta la natalità con salari dignitosi, con un lavoro non più precario.

L’attacco alla 194 passa per la carenza di medici abortisti: in Molise ne esiste solo uno, un bel passo all’indietro, agli anni delle mammane, dove le donne morivano sotto i ferri nelle mani di medici improvvisati.

L’aborto è un diritto, non una concessione. Come anche i diritti dei ragazzi che non sono italiani, perché qui da noi non esiste lo ius soli. Se i tuoi genitori non sono italiani, i figli non hanno diritto alla cittadinanza italiana.

Anche provare a far diventare cittadini italiani i ragazzi dopo un ciclo di studi, sarà difficile: gli stranieri devono essere tenuti ai margini, sfruttati.

Anche così la democrazia fa un passo indietro.

Il voto negato

Da diverse elezioni sono le segreterie a decidere chi far votare: con risultati paradossali, in Basilicata dove ci sono capoluoghi come Matera, senza una ferrovia, dove molti degli eletti in Parlamento sono stati paracadutati da fuori.

Dei sette parlamentari eletti, quattro risiedono fuori dalla regione Basilicata: significa non essere legati al territorio, non essere a conoscenza dei problemi del territorio.

L’assenza di una rappresentanza politica significa che le infrastrutture regionali non vanno avanti, perché manca l’appoggio della politica: mancano i collegamenti coi porti del sud, con gli altri capoluoghi, un grave problema per le poche realtà industriali, come Calia Italia.

O come la Sogemont, dove recuperano i metalli da dentro gli elettrodomestici: senza infrastrutture è difficile essere competitivi, fare altri investimenti.

I parlamentari lucani dovrebbero puntare su infrastrutture e anche sulla ZES, le aree dove mandare maggiori investimenti: il governo Meloni ha ridefinito la Zes unica, senza strumenti perequativi per mettere allo stesso livello diversi territori. Perché la Campania è molto più attrattiva della Basilicata, dove le ferrovie sono a binario unico.

A Roma cosa ne sanno dei problemi di Melfi? La tenuta sociale della Basilicata dipende dal futuro dello stabilimento ex Fiat di Melfi. Con la cassa integrazioni e i contratti di solidarietà il salario è già diminuito qui: quante persone rimarranno a lavorare qui a Melfi, in una Stellantis sempre più francese? I parlamentari lucani cosa stanno facendo?

In Senato è entrato un operaio, Giovanni Barozzino, anni fa: era stato intervistato da Lisa Iotti, quando fu licenziato dalla Fiat con l’accusa di aver sabotato la linea. Poi fu reintegrato per scelta del giudice: entrò in Senato con il partito di Sinistra e Libertà, ma oggi pensare ad un operaio in Parlamento è quasi impossibile. Oggi le segreterie scelgono solo i loro fedelissimi.

La nuova riforma del premierato allarga gli spazi della democrazia o ci avvicinerà all’Ungheria?

La lezione della Polonia ci dice che questa destra può essere battuta grazie ad una forte mobilitazione popolare: nel dicembre 2023 Donald Tusk ha interrotto i governi di destra, che per otto anni hanno condizionato il paese.

Le code davanti ai seggi ci dicono che la battaglia per la democrazia deve essere popolare, non populista: il governo del partito di diritto e giustizia (PIS) di Kaczyński ha occupato per anni la televisioni pubblica per la sua propaganda, ha denunciato per terrorismo la stampa indipendente, come il giornalista Piatek. La stampa bloccata dai processi per diffamazione, il bavaglio ai giudici indipendenti, come il giudice della Corte Suprema di Varsavia, giudici intimiditi per aver fatto ricorso alla corte europea…

Il premier ha riempito i tribunali di suoi fedelissimi, ha nominato un suo amico come ministro della giustizia, con poteri per sospendere i magistrati scomodi.

L’informazione e la giustizia, come potere indipendente, sono tra i pilastri della democrazia.

Ma c’è di peggio: nelle strade girano gli ultras del governo, si moltiplicavano le aggressioni omofobe, comuni e regioni adottavano regolamenti anti gender, zone libere dall’ideologia LGBTQ..

Anche in Polonia ci sono le formazioni ultra cattoliche, braccio armato del partito di governo, che si sono battute contro l’aborto, contro il diritto alle donne di decidere da sole della propria gravidanza.

Il governo di destra ha sfogato la sua violenza sulle donne ed è stato grazie a loro se Tusk ha vinto le elezioni. Donne come l’attivista Marta Lempart leader di Strajk Kobiet.

Le donne in Polonia hanno influenzato maggiormente le elezioni: anni di battaglie nelle strade, nelle scuole, nelle università.

In Europa il problema resta – racconta l’ex presidente Lech Walesa: servono idee nuove, non competitive, inclusive, che non diano spazio ai populisti. La responsabilità sta nell’Europa nell’evitare una guerra civile in questi paese, nell’evitare una ulteriore avanzata delle destre.

Ne ha parlato anche la giornalista di Repubblica Tonia Mastrobuoni: Polonia e Ungheria sono esempi di eversione senza sangue, un parlamento svuotato, una magistratura addomesticata.

Dobbiamo mettere gli argini a questa destra, Orban non è un isolato, può giocare una partita da protagonista in Europa, assieme alla Meloni e ad altri partiti conservatori.

Che succederà dopo le elezioni europee? Si mercanteggeranno i voti di Orban in cambio dei miliardi di fondi ad oggi congelati?

L’ora X per Julian Assange

Domani si deciderà il futuro di Julian Assange e anche della democrazia in Europa: se dovesse passare l’estradizione del fondatore di Wikileaks in America, sarebbe un brutto segnale per il mondo dell’informazione e per le nostre democrazie.

Perché le immagini sui crimini di guerra, sul volto cinico e violento delle guerre per esportare la democrazia, le abbiamo conosciute grazie a questa persona coraggiosa oggi detenuta nella guantanamo inglese.

Assange paga la colpa di aver pubblicato i leaks sulla guerra in Iraq, del video collateral murder, i dati sui morti civili in Iraq e Afghanistan (vittime civili che gli Usa volevano nascondere).

Fosse comuni, uomini torturati in modo orrendo, uomini detenuti nelle gabbie di Guantanamo senza una accusa.

La storia di Assange è stata raccontata da Stefania Maurizi nel libro Il potere segreto: Assange è stato detenuto in Inghilterra per sette anni (con una accusa di stupro) in cui è stato tenuto in un limbo, dove si è anche cercato di distruggerne l’immagine.

Assange è stato spiato, avevano pianificato il suo rapimento: lo ha stabilito una inchiesta in Spagna.

E ora dovremmo fidarci degli Stati Uniti che lo vogliono processare nel loro paese?

Se la corte inglese dovesse decidere per l’estradizione, rimane solo la corte europea, in Europa esiste la libertà di stampa e di parola, il rispetto dei diritti civili.

Se anziché denunciare i crimini degli Stati Uniti Assange avesse denunciato i crimini in Russia (cosa che avrebbe fatto se fosse libero) sarebbe accolto da tutti i paesi: il problema è che si devono nascondere i crimini di guerra occidentali, ancora oggi è tabù.

La liberazione di Assange deve essere la priorità di chiunque abbia a cuore la libertà di parola – racconta la moglie Stella Morris che, a Napoli dove ha ricevuto la cittadinanza onoraria, aggiunge “la guerra uccide la verità”.

Assange è la prova del tradimento della democrazia, ed è per questo che vogliono nasconderlo.

Il dominio della maggioranza

Presadiretta ha ascoltato il professor Guzzetta sulla riforma del premierato: questa riforma è un valore della democrazia perché rende più stabile il governo.

Il corpo elettorale decide una maggioranza, non più i partiti – racconta a Presadiretta – perché i cittadini si vedono passare sopra governi su cui non si sono espressi.

Di opinione diversa la professoressa Urbinati: una buona democrazia presume che la maggioranza deve sentire sul collo il fiato della opposizione, come stimolo a fare meglio.

Col premierato non ci sarà il potere dal basso del popolo: si concede a questo leader o ad un altro, si perde la figura del presidente della Repubblica.

Ci avvicineremo al modello ungherese, un modello autoritario che da un potere abbondante alla maggioranza, si da una investitura perenne alla maggioranza, non ci sono più le garanzie di pluralismo.

La situazione in Cisgiordania

Le colonie presenti in Cisgiordania, che occupano le terre dei palestinesi, sono un problema per la stabilità della regione.

Sarà questo il tema della prossima puntata di Presadiretta: nel mondo stiamo assistendo ad una terza guerra mondiale a rate, c'è solo spazio per le armi (e per chi fa affari con la vendita delle armi). Arriverà il tempo per la diplomazia?

Questo articolo è stato pubblicato qui

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