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Presadiretta: Europa in vendita

Il Qatar si è infiltrato nel parlamento europeo? - è la domanda di una europarlamentare Aubry nell’intervista a Presadiretta: il servizio di questa sera cercherà di rispondere a questa domanda e anche ad altre, sulla politica industriale ed energetica europea.

L’arresto di Eva Kaili e del suo compagno Giorgi, assistente dell’europarlamentare Cozzolino ha dato il via all’inchiesta Qatar gate, soldi in cambio di un cambio della politica europea nei confronti del Qatar e del Marocco. Quel 9 dicembre viene arrestato anche il padre della Kaili mentre si spostava con una valigia piena di soldi, soldi trovati anche dentro la casa della vicepresidente.
Anche l’ex europarlamentare Panzeri, poi a capo di una ong che si doveva occupare di diritti umani, viene arrestato in questa inchiesta: sia Panzeri che Giorgi si erano occupati e si occupavano del tema dei diritti nei paesi del terzo mondo, ma secondo gli inquirenti avrebbero lavorato per ripulire l’immagine del Qatar e nascondere le violazioni sui diritti dei lavoratori in questo paese.
Gli investigatori hanno ripreso uno scambio tra Panzeri e un ministro dell’emirato, prima dei campionati di calcio: nella costruzione degli stadi sono morte migliaia di persone, ma il Qatar si rifiuta di risarcire le famiglie.
Al parlamento europeo il ministro del lavoro è stato chiamato per difendere la posizione del suo paese, mentre le ONG come la Human Right Watch non hanno avuto spazio per denunciare le dure condizioni di lavoro.
Nella stessa seduta, il deputato Cozzolino difendeva il Qatar, non possiamo fermare le sue riforme raccontava alla platea. Stesso tono del discorso del deputato Tarabella, sempre del gruppo socialista.
Alessandra Moretti a Giulia Bosetti ha raccontato di essersi confrontata con Giorgi, prima della conferenza del ministro del lavoro, ma di non essere stata imbeccata sulle domande da fare: al ministro ha chiesto conto della dichiarazione contro i gay dell’ambasciatore del Qatar, senza aver avuto poi risposta.
In Europa l’influenza del Qatar si è sentita sin dal 2019, andando ad avvicinare diversi deputati, a cui venivano offerti viaggi, biglietti per i mondiali.
Il risultato è che nell’europarlamento non si parlava più dei diritti dei lavoratori, ma dell’importanza del Qatar come paese esportatore di gas: il soft power dell’emirato stava funzionando bene.

Le parole di Eva Kaili usate nel suo intervento del novembre 2022 sono state ispirate dall’emirato stesso: “le accuse contro il Qatar sono frutto di una campagna diffamatoria” diceva un report del Qatar e sono le stesse parole della Kaili.
La delegazione che doveva occuparsi dei diritti civili in Qatar è stata bloccata dall’ambasciatore: doveva andare in quel paese per parlare coi lavoratori. La deputata Neumann, capo di questa delegazione è invece riuscita ad andare in questo paese, dove rilasciò interviste favorevoli al paese.

Il dossier dei visti era molto importante per il Qatar: nel parlamento volevano bloccare la liberalizzazione dei visti, senza riuscirci. I qatarini hanno fatto pressioni diversi parlamentari, ma c’è di peggio, secondo Georges Malbrunot, autore di Qatar Papers, l’emirato avrebbe finanziato progetti in Europa, anche in Italia, passando per delle ONG, milioni di euro finiti a gruppi islamici per costruire moschee e diffondere l’islam.
Soldi, regali, investimenti: il fondo sovrano del Qatar ha investito a Milano, in piazza Gae Aulenti, la Torre Unicredit, grazie ai ricavi per la vendita del gas naturale.
Con questi soldi e questi regali, il Qatar si è rifatto l’immagine, nascondendo i suoi legami coi fratelli musulmani. Oggi il suo ruolo è diventato ancora più importante con la guerra in Ucraina, perché sta vendendo il suo gas liquefatto in Europa in sostituzione del gas russo.
Anche l’Italia ha firmato accordi con Doha, non solo per l’importazione del gas ma anche per progetti in comune con Eni.
Il Qatar è il sesto paese che compra armi dall’Europa e in particolare dall’Italia: c’è una relazione tra armi e gas, non vale solo per il Qatar, anche dopo il Qatar gate queste relazioni commerciali ed economiche non si sono fermate.
Quando l’Europarlamento ha impedito agli emissari qatarini di entrare in parlamento, c’è stata una dichiarazione dura, quasi minacciosa: state attenti, noi siamo un partner importante per i paesi europei.
L’Italia e l’Europa hanno bisogno infatti del gas liquido e la corruzione e i diritti umani possono andare in secondo piano.

L’influenza del Marocco

Nell’inchiesta di Bruxelles c’è anche il Marocco: in Europa ci sono dossier importanti su questo paese, sul tema dell’agricoltura e della pesca in particolare.
In particolare si sono tolti i dazi ai prodotti dal Marocco: i loro prodotti hanno invaso il mercato italiano, noi non possiamo essere competitivi con questo paese, dove non ci sono controlli sui prodotti chimici e sul costo del lavoro.
L’Europa ha firmato l’accordo del libero scambio senza verificare la tracciabilità dei prodotti, sull’utilizzo di sostanze chimiche e sul diritto dei lavoratori: il servizio di Presadiretta ha raccontato delle dure condizioni di lavoro in questo paese, dove addirittura i caporali violentano le donne se vogliono essere pagate.

L’Europa ha firmato un accordo anche sul tema della pesca: questo accordo tocca la zona del Saharawi, una zona contesa che il Marocco rivendica. La corte di giustizia europea ha bocciato gli accordi di pesca nella zona del Sahara occidentale, sostenendo che bisognava coinvolgere il popolo del Saharawi: l’Europa è andata dunque contro i principi del diritto internazionale, senza che questo suscitasse qualche scandalo.
Il Marocco in Europa suscita una pressione alta, andando a contattare singolarmente i singoli deputati: Antonio Panzeri è stato uno dei principali sponsor di questi accordi nel 2017.
In una intervista del 2017 difendeva questi accordi, definendo il Marocco un garante dei diritti di queste persone, quelle che vivono nel Marocco occidentale.
Secondo la procura di Bruxelles, Panzeri sarebbe stato l’uomo che avrebbe difeso gli interessi del Marocco nel parlamento europeo: i suoi viaggi in Marocco non erano per difendere i diritti umani, per la liberazione dei detenuti politici e dei desaparecidos. Ci sono stati 4500 casi di persone scomparse nella zona del Marocco occidentale: eppure l’Europa consente che il Marocco possa saccheggiare le acque reclamate dai Saharawi, finanziando la pesca per 150 ml.

Eppure nessuno ne parla da anni, perché il Marocco non vuole che si parli del Sahara occidentale: non vuole che si parli delle torture, dei detenuti politici, degli abusi.
In un documento riservato, l’ambasciatore marocchino scrive che avrebbe fatto uso della sua amicizia con Panzeri per migliorare l’immagine del paese, nascondendo le violazioni dei diritti umani al mondo.
Chi critica il Marocco, come l’europarlamentare Crespo, ha subito un furto in casa che è stata una minaccia subdola a lui e alla famiglia: ma senza prove non ha potuto fare nulla. L’impunità del Marocco è incredibile: per nascondere i campi profughi, il Marocco ha innalzato un muro nel deserto e riempito di mine il terreno, usano i droni per uccidere civili indifesi.


Solo a gennaio 2023 l’Europa ha condannato la violazione dei diritti umani da parte del governo di Rabat: ci sono voluti 25 anni e l’inchiesta sul Qatar gate, altrimenti nulla sarebbe cambiato.
Il Marocco è disposto a fare qualunque costa pur di nascondere i suoi crimini – racconta a Presadiretta l’attivista per i diritti Sultana Khaya.

Gli impatti della guerra sull’energia

Il Qatar gate arriva in un momento difficile per l’Europa che avrebbe bisogno di essere unita, in modo da avere un’unica politica energetica: invece ogni paese, col rincaro dell’energia a causa della guerra e delle speculazioni, ha portato ogni paese a fare le sue scelte.
In Italia a Città di Castello, gli operai del settore della ceramica di “Ceramiche noi” hanno deciso di incrementare i turni al mattino dove il costo dell’energia è inferiore, hanno deciso di lavorare gratis un sabato al mese, tutto pur di tenere in piedi la produzione.
Il costo dell’energia è cresciuto dieci volte tanto: se anche il 2023 dovesse essere uguale al 2022 coi rincari, tutti questi sacrifici saranno inutili.
Dopo la pandemia la guerra: i rincari dell’energia rendono difficile per queste aziende del settore della ceramica di essere competitivi con altri paesi.
Nel distretto di Faenza e Sassuolo in Emilia si produce il 90% delle ceramiche in Italia, oltre 400ml di metri quadrati di produzione essenziale per l’edilizia: con la volatilità del prezzo del gas che si è innescata nell’ultimo anno tutta questa produzione corre sul filo del rasoio. Ne parla a Presadiretta il presidente del settore ceramiche di Confindustria, che spiega come non tutte le imprese siano pronte a gestire questi rincari “il problema è di quel 20-25% di aziende che si indeboliscono perché perdere 20% o 25% di aziende è un disastro per un paese ”. Se il prezzo dell’energia tornasse a salire il comparto della ceramica non sarebbe pronto a pagare, perché le imprese hanno delle situazioni di cassa molto precarie.

Per ridurre il prezzo del gas il governo Meloni ha aggiunto 30 miliardi sul tavolo per tener fermi i prezzi del gas: ma non è abbastanza, come racconta la storia del petrolchimico in Sicilia, presso la Yara, azienda che produce fertilizzanti. La chiusura di questi impianti non è una buona notizia per l’industria italiana, perché Yara produceva l’ammoniaca per diverse imprese.

Produceva anche i fertilizzanti per gli agricoltori: alcuni di loro hanno deciso di aspettare prima di procedere con la distribuzione dell’urea sui campi, temendo un incremento dei costi.
Con l’ammoniaca si produce l’ADBlue, un additivo chimico usato nei motori dei camion: non si sta bloccando solo l’agricoltura, anche il settore dei trasporti si sta bloccando in Italia.
L’ammoniaca viene usata dallo stabilimento di Novara della Radici dove si producono i polimeri: senza ammoniaca, niente polimeri, quelli poi usati dentro le auto (per alleggerirne il peso).
Radici oggi subisce la concorrenza di altri paesi, come l’America, dove il costo del gas è inferiore: l’industria chimica ha 2800 imprese, la chimica ha creato maggiore occupazione in questi ultimi anni, ma sono posti di lavoro oggi a rischio.
Succede a Novara e anche in Val Brembana, dove non si erano fermati nemmeno col covid: hanno perso un terzo della produzione per colpa dei rincari del gas, se questi dovessero continuare a crescere sarebbe un problema.
Secondo l’analista Matteo Villa, il prezzo del gas è destinato ancora ad essere variabile, continuerà a crescere e a stabilizzarsi verso l’alto: tutto dipende dalla capacità di Norvegia e Algeria nel darci il gas ai livelli di cui ne abbiamo bisogno.

A rischio è la nostra industria: le misure del governo Meloni sono contingenti – spiega a Presadiretta il vicepresidente di Confindustria Baroni: rischiamo di perdere competitività in Europa.
Tutto questo perché poi in occidente siamo tutti disuniti come politiche energetiche, mentre in America non c’è stato alcuno shock energetico.
Il gas americano costa almeno il doppio di quello russo: i sussidi non bastano per gestire questo problema, spiega l’economista Brancaccio.
La deregolamentazione del sistema industriale è stata la causa di queste guerre – ha continuato l’economista: l’America oggi vuole smettere col liberalismo, ma puntando col protezionismo aggressivo, bloccando le esportazioni dai paesi nemici come la Cina.
Dietro la battaglia in Ucraina non ci sono solo i territori contesi, c’è anche una guerra economica dietro, come il conflitto tra debitori e creditori, ovvero Cina e Stati Uniti.

L’Europa non ha trovato una risposta comune al problema dei rincari del gas: ognuno fa per se, chi ha più soldi farà meglio degli altri. Nessun price cap: chi usa i propri soldi per aiutare la propria economia non fa aiuti di stato (condannati dalle leggi europee).
In Germania il governo ha deciso di spegnere le luci dei propri monumenti, per affrontare il primo inverno senza il gas russo: fino al 2021 era il maggior importatore del gas russo, questo inverno ha varato un aiuto di stato da 365 miliardi per aiutare le proprie imprese.
Ma anche questi soldi non bastano: anche in Germania esiste uno stabilimento del gruppo Radici ma è fermo per colpa dei rincari.
Il lungo inverno dell’Europa non durerà poco, ci aspetteranno almeno altri due inverni di crisi energetica: la Germania oltre agli, aiuti di Stato, ha investito in infrastrutture per i rigassificatori.

Ma molte aziende hanno dovuto fare delle scelte difficili: Abbiamo dovuto cambiare completamente la nostra politica energetica” spiega a Presadiretta Heike Mennerich responsabile settore energia di Evonik (un’importante azienda nel settore Chimico in Germania): “l’anno scorso avremmo dovuto spegnere i nostri impianti a carbone per inaugurare due impianti a gas, ma il gas è venuto a mancare e abbiamo deciso di prolungare la vita degli impianti a carbone e questo alla fine ha consentito da salvare le riserve energetiche nostre e di tutta la regione, perché con il carbone abbiamo energia sicura aiutando tutta la Germania a ridurre il consumo di gas. Non è stata una scelta facile, abbiamo dovuto investire in manutenzione, ma era necessario.”

La Germania ha autorizzato l’incremento delle centrali a carbone, tutto pur di salvare le proprie aziende. Ma ci sono aziende tedesche che hanno deciso di andare via, come la Basf, che ha scelto di investire in Cina e disinvestire in Germania.
La vicenda Basf è un brutto segnale per il settore chimico, che richiede molta energia per funzionare: significa perdita di posti di lavoro e di competitività nei confronti di Cina e Stati Uniti.
Ma la deindustrializzazione è già arrivata nel settore delle auto: la Volkswagen ha deciso che non produrrà le sue batterie in Germania ma andrà dove il costo dell’energia è più basso, Asia o Stati Uniti.
Non avendo creato una politica economica comune in Europa, oggi rischiamo di perdere l’industria europea, non solo quella tedesca.

Gli Americani hanno investito 738 miliardi in incentivi per le aziende americane: per avere questi incentivi le imprese dovranno però rifornirsi solo da aziende americane, una forma di protezionismo tesa ad attirare aziende da altri paesi.

Forse ha ragione l’economista Emiliano Brancaccio: dietro questa guerra in Ucraina si può leggere anche una motivazione economica, per il dumping dell’alleato americano e la sua politica di protezionismo selvaggio che sta portando ad una de industrializzazione di settori industriali qui da noi.

Nel frattempo si sta preparando una nuova guerra con la Cina: l’America sta armando l’esercito di Taiwan in modo che possa resistere alla minaccia cinese e ad un possibile blocco navale.

Non è un caso che Taiwan sia un paese dove si producono i chip presenti nei nostri computer.

Si discute delle guerre ma non delle motivazioni e delle questioni economiche: per poter avviare un processo di pacificazione USA ed Europa dovrebbero rivedere questa onda protezionistica che sarà foriera di conflitti – è il parere dell’economista Brancaccio. Dall’altra parte anche la Cina dovrebbe predisposti a rivedere la sua economia: più politica e meno mercato senza regole.
L’Europa è crocevia di questi conflitti: l’Europa avrebbe l’interesse a diventare agente di pace ma si sta accodando ad un processo di militarizzazione dell’economia che non ha senso.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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