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Possessione ed esorcismi: quando il diavolo ci mette la coda

La credenza che le persone vengano possedute dal demonio e che sia possibile liberarle con l’esorcismo è ancora molto diffusa nei paesi cattolici. L’impatto sull’immaginario collettivo è ancora forte e tanti film parlano di esorcismi. Alcuni dei più noti si ispirano alla triste storia di Anneliese Michel, affetta da epilessia e depressione cui venne “diagnosticata” una possessione spiritica “multipla” e si lasciò morire di fame nel 1976, infliggendosi torture fisiche e psicologiche, ossessionata dal peccato da cui voleva purificarsi.
Micaela Grosso, che tra l’altro è tra i giurati del Premio Brian dell’Uaar per la Mostra del Cinema di Venezia, approfondisce la questione sul numero 4/22 di Nessun Dogma.

 

Il dualismo, la contrapposizione tra forze di segno opposto, è un principio previsto da diverse religioni. Se il Bene è un concetto cui tutte le persone pie aspirano con impeto, il Male è d’altra parte un’astrazione altrettanto potente. Per diversi fedeli la presenza diabolica è da rintracciare nel disfacimento dei costumi religiosi: secondo padre Pellegrino Ernetti, che ha scritto La catechesi di Satana, la si può cogliere ad esempio nell’istituzione del divorzio, nella diffusione dell’aborto e nei palinsesti televisivi.

Le rappresentazioni del maligno, spesso visionarie e grandemente fantasiose, sono molteplici, ma hanno trovato storicamente squisito sfogo nell’iconografia della possessione demoniaca. Questo costrutto, articolato e multiforme ma dai caratteri grossolanamente ricorrenti (trasfigurazione della fisionomia, inspiegabili capacità di movimento e forza fisica, incontenibile lascivia, xenoglossia includente lingue morte, levitazione, ostilità a crocefissi, preti e simboli sacri in generale) figura da sempre sull’altro lato della medaglia della fede in un “Bene” superiore: se ne hanno tracce nel Nuovo Testamento e nella Cabala, ve ne sono cenni nel Corano, è riconosciuto dagli induisti e dal voodoo e da diverse altre forme religiose.

La curiosità intorno alle prassi e alla ritualistica di intervento è tale da aver reso noti diversi casi di pratiche e pedoesorcismi: ricordiamo quello avvenuto a Illfurth, Francia, nella seconda metà dell’ottocento ai danni dei due figli di Joseph Burner. Le vie di Belzebù, si sa, sono infinite: tutto lo sforzo avvenne per nulla, dal momento che i bambini morirono ancora in giovane età forse per cause collegate proprio agli stessi sintomi che avevano convinto i concittadini della loro possessione.

Si ha purtroppo anche notizia di casi recenti e preoccupanti come quello di Bernadette Hasler, che morì a Zurigo nel 1966 a seguito di violenti rituali subiti perché creduta una strega, o quello nostrano del paese di Andretta (Avellino), in cui lo zelante parroco don Leone Iorio, autoproclamatosi “specialista cattolico”, si sostituiva alle équipe mediche nella cura di disturbi psichiatrici infantili e giovanili. La foga scaccia-presenze non si ferma nemmeno in tempi odierni: lo scorso settembre una bambina di soli tre anni è morta in una chiesa pentecostale californiana a seguito delle pratiche esorcistiche che le sono state inflitte dal nonno, pastore della comunità.

A captare l’interesse delle folle e dei media non è solo la pratica in sé ma anche il ruolo del “terapeuta”; chiunque ricorderà le figure di preti che della pratica dell’esorcismo hanno fatto una professione: monsignor Milingo, l’arcivescovo zambiano sedicente guaritore scomunicato per le sue posizioni spesso in contrasto alle congregazioni vaticane e qualche scappatella di troppo, monsignor Corrado Balducci, il presbitero specializzato in demonologia e occultismo e padre Gabriele Amorth, la vera e propria star dell’incessante lotta a Satana, da lui definito eroicamente «la scimmia di Dio».

Nonostante sia difficile da accettare per chiunque abbia un po’ di raziocinio, la pratica dell’esorcismo risulta tuttora popolare al punto da essere considerata meritoria di formazione al riguardo. Lo scorso maggio, per la modica cifra di 450 euro, gli interessati hanno potuto frequentare a Roma, presso l’Ateneo pontificio Regina Apostolorum, il Corso su esorcismo e preghiera di liberazione, giunto incomprensibilmente alla sua XVI edizione.

La questione degli esorcismi è controversa ma – c’è da ammetterlo – quantomeno affascinante per diverse persone. Non si spiegherebbe come, differentemente, ve ne siano tante letture e rivisitazioni nella cultura di massa. Su YouTube è possibile trovare centinaia di filmati che variano sul tema per grado di amatorialità, sono noti diversi anime riguardanti diavoli ed esorcismi (si pensi al celebre Demon Slayer) mentre la lista dei libri pubblicati è, come si può immaginare, innumerabile (soltanto su Amazon ce ne sono in vendita 467).

La storia del cinema è costellata da film che si sono occupati dell’ambito e sin da L’esorcista, il blockbuster di William Friedkin del 1973, l’industria cinematografica ha trattato l’argomento con prodotti più o meno riusciti, specialmente all’interno del sottogenere horror.

L’esorcista ha avuto sequel e prequel (adeguatamente nominati ai Razzie Awards), ha ispirato intere saghe di film come quella degli Amityville (che include una serie di ben 33 pellicole, girate dal 1979 al 2005) nonché diverse parodie, come la celebre Riposseduta del regista Bob Logan, in cui insieme a Leslie Nielsen recita perfino Linda Blair (l’attrice-bambina de L’esorcista). In Italia Ciccio Ingrassia è stato nel 1975 un illustre quanto comico protagonista ne L’esorciccio, e Roberto Benigni ha recitato nel 1988, al fianco di Walter Matthau, ne Il piccolo diavolo.

Non è intenzione di chi scrive passare in rassegna la vastissima produzione cinematografica sul tema, bensì concentrarsi sui film, particolarmente noti, che hanno ripreso le tragiche vicende di Anneliese Michel, la studentessa tedesca passata alla storia come la protagonista dell’esorcismo di Klingenberg. Ad Anneliese, affetta da epilessia e depressione, fu infatti diagnosticata una possessione spiritica multipla: oltre alla presenza di Satana, due sacerdoti credettero di identificare, tra “gli occupanti” del suo corpo, gli spiriti di Giuda, di Nerone, di Caino, e perfino di Hitler.

Le pratiche di scongiuro liberarono sì Anneliese da quello che era definito il demonio, ma anche prematuramente dalla vita, dal momento che la ragazza morì nel 1976 di malnutrizione e cachessia a soli 24 anni perché i suoi genitori, accecati dalla profondissima fede cattolica, permisero che venisse sottoposta a più di 60 esorcismi ma non pensarono di prendere adeguati provvedimenti, intervenendo ad esempio con cure farmacologiche e psicoterapeutiche o con un periodo di alimentazione forzata. D’altra parte, per riprendere Mosè Viero e la sua puntuale descrizione, presente su questo numero, della celeberrima acquaforte di Francisco Goya, il sonno della ragione genera mostri.

Il caso di Anneliese ha ispirato due film molto noti, usciti a distanza di un anno l’uno dall’altro: L’esorcismo di Emily Rose, del 2005, diretto da Scott Derrickson e Requiem, del 2006, di Hans-Christian Schmid.

Il primo affronta principalmente gli aspetti giudiziari, seguendo le vicende di un’avvocata, Erin Bruner, che assume la difesa di padre Richard Moore (alter ego del sacerdote realmente coinvolto nel caso, padre Arnold Renz, insieme al parroco Ernst Alt), responsabile degli esorcismi compiuti sulla vittima e per questo condannato a una pena detentiva. Le manifestazioni di disagio della ragazza, le crisi e i presunti segnali di possessione sono nel film affrontati, per così dire, con un occhio piuttosto razionale, rappresentando le possibili spie di un disagio mentale più che una spiegazione in prospettiva soprannaturale.

Requiem si concentra maggiormente, invece, sui problemi di integrazione nel tessuto sociale che coinvolgono la protagonista, dando risalto alle modalità con le quali la studentessa rimane emarginata a causa della sua forte fede religiosa, totalizzante e al contempo isolante. L’impianto è certamente patetico e l’intento è pietoso, compassionevole nei confronti della vittima di un disturbo psichiatrico che avrebbe, forse, potuto evitare una fine penosa con un intervento adeguato. Il film, dall’impianto meno “realistico”, lascia aperto uno spiraglio di possibilismo, senza prendere aperta posizione rispetto all’interpretazione dei disturbi accusati dalla ragazza.

Una terza pellicola del 2018 riprende liberamente la storia di Anneliese: si tratta di L’esorcismo di Hannah Grace, che riprende sostanzialmente gli stessi contenuti ma che è ambientato quasi interamente in un ospedale di Boston.

Tutti e tre i film, in ogni caso, tratteggiano con una certa dovizia il disagio della ragazza e le manifestazioni della sua psicosi. Anneliese si lasciò morire di fame dalla Pasqua del 1976, a causa delle sue ossessioni, infliggendosi torture fisiche come genuflessioni ininterrotte, ferite e autolesioni. Trascorse gli ultimi giorni della sua vita debolissima, denutrita e costretta a letto. Al momento della morte, pesava 30 chili.

I genitori e i due preti (i quali, guarda caso, furono coinvolti anni dopo in accuse legate ad abusi sessuali) sono stati condannati per omicidio colposo, ma al di là del risvolto legale, esperti di diverse discipline hanno addotto spiegazioni alla vicenda.

Dal punto di vista sanitario, è opinione comune tra tutti i medici curanti e i periti coinvolti che la ragazza soffrisse di una grave forma di epilessia, quadro clinico colpevole di averla convinta di essere posseduta e che la condusse alla paranoia.

Politicamente, si è detto che la figura della ragazza sia stata usata per divulgare affermazioni contrarie alle riforme introdotte nel contesto del Concilio Vaticano II; l’accusa si è diffusa in ragione del fatto che le sedute sono state intenzionalmente registrate, e da queste è possibile, secondo alcuni, individuare dei momenti specifici in cui l’esorcista incaricato, vicino a correnti anti riformistiche, avrebbe tentato di mettere in bocca ad Anneliese parole e frasi da utilizzare strumentalmente.

Dal punto di vista psicologico, un motivo delle manie sviluppate dalla ragazza è stato individuato nella schiacciante educazione religiosa ricevuta, di forte impostazione patriarcale, unita alla dominante funzione attribuita al timore e alla conseguente necessità di riparare ai propri peccati. I rigidissimi precetti morali, la manipolazione psicologica subita e la suggestione avrebbero portato la ragazza a concludere di non poter individuare una via d’uscita più percorribile della morte castigante ed espiatrice per inedia, una sorta di alternativa al suicidio in grado di aggirare il peccato mortale.

Allo stesso tempo, la rigida impostazione cattolica potrebbe aver causato in Anneliese una forte sfiducia in campo medico, impedendole di affidarsi agli specialisti che l’avevano presa in cura. Vi è stato chi, ad esempio il teologo Herbert Haag, nel rapporto tra esorcista e posseduta ha individuato una relazione di dominazione mentale, che avrebbe portato la ragazza a una situazione di grande stress psichico accompagnata però dal sollievo di chi è nelle condizioni di identificare le causa – religiosa – del proprio malessere. Armando De Vincentiis, psicologo clinico e psicoterapeuta, esperto in psicologia dei comportamenti religiosi e collaboratore del Cicap, definisce infatti l’esorcismo un “gioco di ruolo” in cui il presunto posseduto segue una sorta di copione culturale, agisce come l’esorcista si aspetterebbe, in una dinamica di rinforzo reciproco.

In tutte queste letture, il dogma figura come aggravante del disagio interiore di Anneliese ma anche come colpevole dell’intervento, peggiorativo, ai suoi danni. Di diabolico, infatti, in tutta la storia c’è solo l’abbandono di una ragazza malata al suo destino, dopo averla resa vittima di una pratica dannosa, colpevole di aver cavalcato traumi preesistenti e averli resi letali.

Micaela Grosso

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