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Piazza Fontana dopo 49 anni: per non dimenticare

16:37 del 12 dicembre 1969, l'anno dell'allunaggio: un'esplosione all'interno della banca dell'Agricoltura in piazza Fontana causa nell'immediato 13 morti e decine di feriti.
All'inizio si parlò dello scoppio di una caldaia. Ma era in realtà una bomba contenuta dentro una valigetta, posta sotto il tavolo pesante nell'atrio della banca.

Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Italicus, la bomba alla stazione di Bologna: quando la storia viene ridotta ad una questione di geografia, con tante bandierine da piazzare sul calendario e con le celebrazioni affidate ad un numero sempre più ridotto, significa che è completamente persa la memoria di cosa è stata la nostra storia recente.
 
Una storia, quella della nostra Repubblica nata dalla Resistenza e basata su una Costituzione antifascista, che spesso è sfociata in tragedia e dove la tenuta delle istituzioni è stata ad un passo dal cedere.
E' sembrato così in quell'estate del 1965, come denunciarono due giornalisti de l'Espresso, Scalfari e Lino Jannuzzi) con quel “tintinnar di sciabole” dal sapore di un golpe (organizzato SOLO dai carabinieri).
E qualcuno pensò lo stesso dopo quelle bombe scoppiate in quel 12 dicembre 1969: le due bombe di Milano (una nella banca dell'Agricoltura che causò la strage e l'altra inesplosa) e le altre bombe a Roma.
 
La nostra storia è fatta anche di questo, non solo dai tanti episodi di eroismo e di orgoglio: anche tante storie di fango, di tritolo, di sangue e di terrore.
Vi ricordate ancora quello che si diceva dopo le bombe dell'estate del 1992? E le altre bombe in continente nel 1993?
 
Ci sono stati periodo in cui qualcuno, anche all'interno delle istituzioni ha pensato di condizionare il percorso politico di questo paese col terrore. Con le bombe. Nelle banche, nelle stazioni, sui treni, nelle piazze.
 
Avremmo potuto essere un paese diverso, di questo ne sono convinto, senza Piazza Fontana e, prima ancora, senza la strage di Portella della Ginestra. O senza le bombe della mafia e la seguente trattativa stato-mafia.
Ecco, per cercare di essere quel paese diverso, dobbiamo cercare di capire e fare luce sui tanti lati oscuri della nostra storia: le bombe, il terrore, si sono spesso intrecciate ad episodi di ricatti, di violenza a corpi dello Stato, per spostare quel baricentro politico.
Dobbiamo comprendere come sono maturate quelle stragi, quali i mandanti, chi ha beneficiato di quelle bombe, di quelle morti. Chi ha tradito dentro lo Stato.
 
 
Sul sagrato del Duomo, nel giorno dei funerali, una delle migliaia di milanesi venuti a rendere omaggio si chiedeva questo. “Perché questa strage?”
 
Il 1969 era l'anno dell'autunno caldo e delle manifestazioni in piazza, delle rivendicazioni salariali da parte delle tute blu (che allora esistevano ancora) dopo la scoperta che il boom economico aveva arricchito il paese in modo diseguale.
C'erano molte tensioni per far uscire il nostro paese dal guscio di arretratezza sociale, per svecchiare le sue istituzioni e i partiti.
C'erano le spinte degli operai ma anche quelle degli studenti.
Ma c'era anche Jalta, il vincolo atlantista che costringeva il nostro paese ad essere governato dalla Democrazia Cristiana, una classe imprenditoriale poco illuminata (pochi gli Olivetti che pensavano anche ai propri dipendenti) e una manovalanza fascista disposta a fare i lavori sporchi per quanti volevano che questo paese rimanesse così com'è.
Bloccare l'avanzata dei comunisti al governo, mantenere lo stesso blocco di potere nei posti di comando.
Creare caos, terrore, destabilizzare per stabilizzare il paese.
 
Di questo si discusse nell'incontro all'hotel Parco dei Principi nel maggio 1965 organizzato dall'istituto Pollio, a cui presero parte i nostri vertici militari e di cui furono relatori Guido Giannettini e Pino Rauti.
Un'agente a servizio del SID e il politico di estrema destra fondatore del Movimento politico ordine nuovo.
 
Da qui si deve partire per capire il perché di quelle bombe, delle protezione di cui hanno goduto i neofascisti veneti che hanno preparato e gestito l'attentato.
E delle protezione che hanno goduto poi: la finta pista anarchica confezionata a Roma dall'Ufficio Affari Riservati e dal SID (e da quella strana agenzia di stampa Aginter Press) con tanto di mostro da sbattere in prima pagina, “l'anarchico” Valpreda.
Depistaggi che colpirono anche uomini dello Stato che avevano cominciato ad indagare sull'arcipelago neofascista in Veneto, come il commissario della Mobile di Padova, Juliano.
E poi salire su fino al livello politico, quello dei non ricordo, non so (Andreotti su Giannettini), quello che ha protetto il SID e che della “teoria della tensione”, più ne ha giovato.
Dei misteri (ma sarebbe più corretto parlare di segreti) di Piazza Fontana in tanti sapevano: come il più volte ministro Taviani sapeva, nella deposizione di fronte alla Commissione Stragi disse “quel giorno non doveva morire nessuno”.
Sapeva forse Saragat, il presidente della Repubblica: si incontrò con Nixon nel febbraio 1969 dove quest'ultimo presentò le sue preoccupazioni per l'avanzata delle sinistre. Gui, altro ministro DC, riferì in commissione monocamerale sulle stragi nel 1987, dell'incontro del 23 dicembre 1969 tra Moro e Saragat.
Quando Moro (all'epoca ministro degli esteri) rinunciò a denunciare le notizie sui tentativi di golpe di cui era in possesso (per i suoi contatti con l'arma), se Saragat avesse rinunciato alla svolta autoritaria, appoggiata da parte dei servizi, dell'ambasciata americana, della destra eversiva ..
 
È la teoria dei cerchi concentrici, spiegata dal collaboratore di Aldo Moro,Corrado Guerzoni.
Per cerchi concentrici ognuno sa che cosa deve fare.

Non è che l’onorevole X dice ai servizi segreti di recarsi in Piazza Fontana e mettere una bomba. Non accade così.
Al livello più alto della stanza dei bottoni si afferma: il Paese va alla deriva, i comunisti finiranno per andare presto al potere.
Poi la parola passa a quelli del cerchio successivo e inferiore dove si dice: sono tutti preoccupati, cosa possiamo fare?
Si va avanti così fino all’ultimo livello, dove c’è qualcuno che dice “va bene, ho capito ”.
Poi succede quello che deve succedere.
Una strage in una banca, in una stazione, in una piazza, sopra un treno.
Oppure, come nel nostro caso, un omicidio di due ragazzini [si riferisce all'omicidio di Fausto e Iaio a Milano nel 1978].
Così nessuno ha mai la responsabilità diretta.
E se vai a dire all’onorevole X che lui è il mandante della strage di Piazza Fontana, ti risponderà di no. In realtà, è avvenuto questo processo per cerchi concentrici.
 
Piazza Fontana non è solo una bandierina da piazzare sulla cartina o un anniversario da celebrare come rito a se stante.
E' una storia di morti, le vittime della bomba e le altre vittime collegate alla bomba, da Pinelli volato giù dalla finestra del 4 piano della Questura di Milano, a Luigi Calabresi (4 anni dopo, da un commando di Lotta Continua), al portinaio dello stabile di Padova Alberto Muraro, ad Armando Calzolari il segretario di Borghese ed ex membro della X Mas...
E poi i magistrati colpiti dal terrorismo nero e rosso, come il giudice Vittorio Occorsio a Roma ed Emilio Alessandrini a Milano.
E' una storia di dolore per i parenti delle vittime.
Piazza Fontana fu la miccia che portò poi alla radicalizzazione dello scontro politico: dalla “strage di Stato”, gli omissis, i non so, i depistaggi, è partito il senso di sfiducia nelle istituzioni di cui si sono alimentati i gruppi della sinistra extraparlamentare, che divennero poi le BR.
Se è lo Stato a mettere le bombe (e a proteggere i fascisti) l'unico modo per portare a compimento la guerra partigiana è usare anche noi le armi.
 
Per anni abbiamo aspettato le sentenze, il termine dei processi che sono durati anni, decenni, sperando che lo Stato fosse in grado di giudicare sé stesso.
Abbiamo aspettato anni e, almeno per la strage di Brescia, la bomba nella piazza della Loggia del 24 maggio 1974, abbiamo una sentenza che indica come colpevoli estremisti di destra Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte (la fonte Erodoto dei servizi italiani dell'epoca).
Sappiamo, nonostante le assoluzioni discordanti dei processi sulla strage di Milano, che i neofascisti Freda e Ventura, assieme a Delfo Zorzi, sono responsabili delle bombe poi attribuite agli anarchici e anche di quella esplosa nella banca dell'Agricoltura.
E' solo un piccolo squarcio nel velo che ha coperto la verità su questi misteri, che ha impedito ai cittadini italiani di conoscere la storia del loro paese.
E finché il velo non sarà strappato del tutto, finché non avremo messo fine a questi segreti, questi ricatti tra chi ancora sa qualcosa ma non vuole parlare, la nostra democrazia non sarà mai compiuta del tutto.
Perché lo sappiamo che se alla fine il golpe non c'è stato, se i magistrati, alcuni almeno, hanno continuato a fare le indagini, significa che le istituzioni hanno retto.
C'è ancora speranza: speranza di giustizia, speranza di non tornare indietro a quegli anni di terrore. Non solo per gli italiani di oggi, ma gli italiani di domani.
Che devono avere fiducia nello Stato, riconquistare la passione per fare politica, avere speranza in un futuro limpido, cittadini liberi dalle paure in uno stato libero.
Anche oggi, passati 49 anni da quella strage, definita la madre di tutte le stragi: perché ancora oggi la nostra democrazia (ovvero i nostri diritti, le nostre libertà) possono essere a rischio.
Questo ora è il nostro compito: continuare a raccontare la storia di Piazza Fontana per consegnare il testimone della memoria alle future generazioni.Francesca Dendena, figlia di Pietro, morto nella strage
 
Alcuni spunti di lettura:
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