Piattaforme digitali, creatività e immaginazione culturale

Per approfondire la conoscenza delle principali industrie culturali si può fare affidamento a questo saggio: "Piattaforme digitali e produzione culturale" (www.minimumfax.com, 2022, 389 pagine, euro 20).
Questo testo cerca di valutare a fondo "tre tradizioni di ricerca: gli studi sul software, l'economia politica critica e l'economia aziendale", e si concentra "sui cambiamenti nei mercati, nelle infrastrutture e nella governance" (p. 16), senza trascurare le "pratiche lavorative, creative e democratiche che emergono nei modi di produzione culturale platform-dependent" (p. 17).
Per quanto riguarda la creatività degli "studi culturali di internet" (Jonathan Sterne) si può fare riferimento alla varietà caleidoscopica delle piattaforme, e la "valutazione della piattaformizzazione dal punto di vista della democrazia sviluppa e amplia ulteriormente queste linee di indagine, attingendo alll'economia politica, alla sociologia della comunicazione e agli studi culturali critici" (p. 371). Si tratta quindi di un libro variegato e aggiornato.
La profonda datificazione di oggi può essere interpretata "come una razionalizzazione della produzione culturale", e "nella pratica i dati e gli algoritmi delle piattaforme spesso riproducono le discriminazioni sociali e le disuguaglianze esistenti" (p. 377). Comunque chi controlla gli algoritmi controlla le percezioni di miliardi di persone. Infatti la piattaformizzazione comporta "una decentralizzazione e una simultanea centralizzazione del potere economico" (p. 106). In ogni caso, "Per i produttori culturali, il prezzo da pagare in cambio delle opportunità economiche è la conformità" (p. 100).
Inoltre è importante sottolineare l'importanza "del consumo culturale" nell'odierno "processo di piattaformizzazione. Uno degli aspetti peculiari nei mercati a più lati è permettere ai consumatori di fare ingresso nei mercati "cambiando lato" ovvero quando, senza soluzione di continuità, "coloro che consumano beni o servizi prodotti sulla piattaforma iniziano a produrre beni e servizi che altri possono consumare". Questa pratica non è affatto nuova nelle industrie culturali" (p. 40). Quindi esiste una certa ambiguità "tra utenti finali e produttori culturali" che fa comodo a molte piattaforme. Infatti YouTube "consente ai creator di caricare senza problemi i propri contenuti sui server di Google e al tempo stesso permette agli inserzionisti di rivolgersi a determinati segmenti di pubblico" (p. 30). Quindi su YouTune si pubblica senza filtrare, invece di filtrare e poi pubblicare, come avviene nella stampa tradizionale.
Comunque si possono suddividere tre livelli culturali interconnessi: "segmenti industriali, fasi della produzione culturale, aree geografiche" (p. 380). I segmenti industriali culturali "mostrano considerevoli differenze in termini di storia, pratiche, allineamento del modello di business e integrazione infrastrutturale". E "anche se i singoli creator hanno mostrato una tendenza a dedicare le energie a una piattaforma particolare" (ad esempio Twitch, TikTok, YuoTube), "la precarietà dell'ecologia delle piattaforme sta mettendo in crisi questo modello monopiattaforma" (p. 381). Ora si preferiscono i "creator di social media che sviluppano brand multipiattaforma".
Se "nella pratica i processi di creazione culturale, distribuzione, marketing e monetizzazione sono intricati... da un punto di vista analitico è utile separare queste fasi per capire come la dipendenza dalla piattaforma può variare sostanzialmente a seconda di quando e dove guardiamo al processo di produzione" (p. 383). Naturalmente ogni realtà nazionale occidentale è influenzata da correnti culturali europee o americane, e in ogni parte del mondo si creano dei "flussi culturalmente specifici per area geografica" (p. 385). Le prossime guerre saranno principalmente guerre basate sul dominio percettivo e cognitivo.
Nel frattempo le piattaforme continuano a volere "la botte piena e la moglie ubriaca: dominio del mercato ma nessuna responsabilità; ubiquità infrastrutturale ma zero trasparenza" (p. 156).
Infine, per capire meglio una questione fondamentale, basta focalizzare l'attenzione sul fatto che "nel caso delle industrie delle news e della musica è stato il calo dei ricavi ad indurre i produttori culturali a rivolgersi alle piattaforme per la distribuzione e la monetizzazione dei contenuti" (p. 388). E in paesi come la Russia e la Cina lo Stato può controllare assiduamente la produzione culturale... E forse YouTube regnerà ancora per moltissimi anni...
I tre autori del saggio sono: Thomas Poell, professore di Dati, culture e istituzioni dell'Università di Amsterdam; David B. Nieborg, assistant professor di Media Studies presso l'Università di Toronto; Brooke Erin Duffy, professoressa nel Dipartimento di Comunicazione della Cornell University.
Nota sostanziale - Bisogna sottolineare che "in una fase cruciale della sfida di Facebook per il dominio del mercato, Zynga aveva fornito denaro contante" e traffico (il gioco era FarmVille, una fattoria virtuale; p. 70). Per valutare approfondimenti giornalistici (e non solo): www.nikkiusher.com
Nota di approfondimento mediatico - Ai vari appassionati di Marshall McLuhan segnalo questo sito: https://cultureandtech.utoronto.ca
Nota di approfondimento continuativo - Per chi volesse reperire varie informazioni nel Web, segnalo il sito dell'Association of Internet Researchers: https://aoir.org
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