• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Politica > Neofascisti ieri e oggi: Bologna-P2 e FDI

Neofascisti ieri e oggi: Bologna-P2 e FDI

Bologna, 2 agosto 1980: la strage nera finanziata dalla P2. Fratelli d'Italia non sono fascisti ma 

Due articoli di Saverio Ferrari (*)

Bologna, 2 agosto 1980: la strage nera finanziata dalla P2

La regia della loggia segreta di Gelli, i numerosi depistaggi, il ruolo dell’eversione di estrema destra. E quell’autobomba a Milano, due giorni prima dell’attentato terroristico alla stazione del capoluogo felsineo. Ripercorriamo la tortuosa vicenda giudiziaria con cui si è cercato di fare luce su uno dei più intricati “misteri” italiani

In poco più di due anni, considerando le lentezze della giustizia italiana, si sono conclusi i processi di primo grado nei confronti di altri due imputati per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, la più grave e sanguinosa nella storia della Repubblica: 85 morti e 200 feriti. Prima, il 9 gennaio 2020, dopo 52 udienze è arrivata dalla Corte d’assise di Bologna la condanna all’ergastolo per l’ex Nar (Nuclei armati rivoluzionari) Gilberto Cavallini, per concorso in strage con Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già sentenziati in via definitiva. Poi, il 6 aprile scorso, dopo 76 udienze, sempre la Corte d’assise di Bologna ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini, anche lui accusato di essere un esecutore della strage, ex terrorista di Avanguardia nazionale, killer di ‘ndrangheta e per un periodo collaboratore di giustizia. Con lui sono stati anche condannati a sei anni per depistaggio l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, e a quattro Domenico Catracchia (la richiesta era stata di tre anni e sei mesi), amministratore per conto del Sisde di immobili in via Gradoli a Roma, dove al n. 96 si era installata, tra il settembre e il novembre del 1981, una base segreta dei Nar. Catracchia avrebbe detto il falso negando di aver dato l’appartamento in affitto a un prestanome dell’organizzazione terroristica.

Nell’ambito di questo secondo procedimento giudiziario, fatto assai rilevante, la Procura generale di Bologna ha individuato come mandanti e finanziatori della strage: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Umberto Federico D’Amato (per 20 anni al vertice dell’Ufficio affari riservati) e Mario Tedeschi (ex senatore missino e direttore de Il Borghese), tutti iscritti alla P2, non più perseguibili in quanto ormai defunti.

Va dato merito all’Associazione dei familiari delle vittime di essere stata all’origine di queste due nuove inchieste, avendo avviato negli anni precedenti un approfondito lavoro di ricerca, incrociando migliaia e migliaia di pagine di atti giudiziari, sempre analizzati separatamente e mai prima correlati fra loro, non solo relativi a Bologna, ma anche ai tanti processi per fatti di strage e terrorismo dal 1974 in avanti. Da questo lavoro è scaturito un dossier inoltrato alla magistratura nel luglio 2015 sul ruolo svolto nella strage da Gilberto Cavallini, ma anche sulle strutture clandestine che avevano operato, sui presunti mandanti e finanziatori degli stragisti.

Il filmato in Super 8 che inchioda Bellini
Paolo Bellini, 69 anni, era arrivato a questo processo vantando una lunghissima e quasi incredibile carriera criminale. Dopo aver assassinato il militante di Lotta continua Alceste Campanile, il 12 giugno 1975, ed essersi reso latitante all’estero dal 1976 per vari reati a suo carico, era tornato in Italia dal Brasile sotto falsa identità. Divenuto amico nel 1978 del procuratore di Bologna Ugo Sisti, che sarà poi titolare delle indagini sulla strage, proseguì la sua carriera come killer della ‘ndrangheta compiendo almeno dieci delitti, per poi collaborare con i carabinieri, ed in questa veste interloquire con la mafia siciliana, quella delle bombe del 1993 e degli attentati mortali a Falcone e Borsellino.

Decisiva per la sua condanna è stato un filmato amatoriale in Super 8, girato dal turista svizzero Harald Polzer pochi istanti dopo l’esplosione della bomba collocata nella sala d’aspetto, in cui il volto di Bellini era rimasto impresso. Si trovava lì. A riconoscerlo nelle immagini anche l’ex moglie che ha così fatto cadere l’alibi che alle 10.25, l’ora dello scoppio, lo collocava lontano dalla stazione.

Cavallini e quel legame coi carabinieri
Su Gilberto Cavallini erano stati invece riscontrati alcuni fatti di estrema rilevanza. Tra questi, i rapporti intercorsi fra le nuove leve del terrorismo nero, segnatamente i Nar, e i vecchi dirigenti di Ordine nuovo (fra cui Carlo Maria Maggi, condannato per la strage di piazza della Loggia del 1974 a Brescia) e di Avanguardia nazionale, ma soprattutto il possesso da parte dei Nar di decine di tesserini ufficiali dei carabinieri forniti dal colonnello Giuseppe Montanaro appartenente alla P2, nonché la disponibilità da parte di Cavallini, incredibile ma accertato, di numeri telefonici in uso all’ufficio Nato presso la sede della Sip (la società telefonica) di Milano.

Il conto corrente di Gelli
Ora, dalla documentazione raccolta dalla Procura generale di Bologna, che ha gestito l’atto di accusa nei confronti di Bellini e degli altri ex appartenenti ai carabinieri e ai servizi, si sarebbe arrivati alle prove dell’avvenuta regia da parte della P2 nell’organizzare la strage e gli innumerevoli successivi depistaggi, architettando false piste soprattutto internazionali per proteggere i Nar. In questo ambito sono stati acquisiti i riscontri dei finanziamenti dell’intera operazione, prima e dopo il 2 agosto 1980, elargiti a più riprese a partire dal febbraio 1979. Milioni di dollari (quasi 15) che, scandagliando gli atti del processo per il crac del Banco ambrosiano, la Guardia di finanza ha provato essere provenienti da conti correnti svizzeri di Licio Gelli.

Solo da uno di questi, presso la Banca Ubs di Ginevra (conto 525779-X.S.), rintracciato grazie a un manoscritto sequestrato allo stesso Gelli al momento del suo arresto in Svizzera, il 13 settembre del 1982, e significativamente denominato “Bologna”, sarebbero usciti cinque milioni di dollari. Uno di questi sarebbe stato addirittura consegnato in contanti dallo stesso Gelli in persona, pochi giorni prima della strage, ai neofascisti. I soldi sono quelli del Banco ambrosiano di Roberto Calvi, la “cassa” della P2, che sarebbero dunque serviti a finanziare anche i fascisti che eseguirono la strage, un commando più numeroso del solo gruppo di Fioravanti e Mambro, composto da elementi provenienti anche da Terza posizione e Avanguardia nazionale, tra loro Paolo Bellini.

Fascisti braccio armato della P2


Le nuove inchieste e le conclusioni dei processi a Cavallini e a Bellini dimostrerebbero che i Nar furono tutt’altro che un gruppo spontaneista, come solitamente descritti, ma letteralmente il braccio armato della P2, interni a quell’intreccio eversivo rappresentato dalla loggia segreta di Gelli, dai vertici dei servizi segreti e di alcuni apparati, con coperture nell’ambito dell’Alleanza atlantica. A riprova della loro natura la vicenda dei tesserini dei carabinieri, l’uso dei telefoni riservati della Nato, la vicenda del covo di via Gradoli, al civico 96, coperto dal Sisde.

Non solo Nar
A commettere la strage non furono solo i Nar. Quella mattina, queste le conclusioni processuali, alla stazione sarebbero stati presenti anche militanti di altre formazioni della destra eversiva come Terza posizione (Luigi Ciavardini e Sergio Picciafuoco) e Avanguardia nazionale, «cementate» da un fiume di denaro che arrivò dai conti svizzeri del Venerabile e dei suoi prestanome. Dietro di loro ancora una volta Ordine nuovo del Veneto, secondo la Procura generale «connivente», nonché «coinvolta nella fase di progettazione».

Due giorni prima: l’autobomba di Milano
Nella vicenda della strage di Bologna sempre in ombra e mai opportunamente approfondito è rimasto un attentato avvenuto poco più di 48 ore prima a Milano, quando mediante un’autobomba si colpì Palazzo Marino sede, del Consiglio comunale. All’1:55 del 30 luglio fu fatta saltare una Fiat 132 carica di esplosivo nelle vicinanze dell’ingresso riservato ai consiglieri. La vettura esplodeva disintegrandosi quasi completamente, causando gravi danni all’interno del palazzo con il danneggiamento di infissi e vetrate e lo scardinamento del cancello di ingresso. Davanti si formò un profondo cratere. Danneggiata fu anche la facciata della vicina chiesa di San Fedele, così alcuni stabili circostanti, nonché le vetture parcheggiate intorno. Parti della Fiat 132 vennero addirittura ritrovate sui tetti degli edifici che si affacciavano sulla piazza. Nessuna vittima.

Le conseguenze dell’esplosione sarebbero state anche maggiori se, oltre ai sei chili circa di polvere da mina tipo Anfo contenuti in un tubo di piombo, fossero esplosi altri due chili di esplosivo contenuti in un altro tubo e altri sei posti in una tanica, entrambi proiettati all’esterno della vettura e fortunatamente non deflagrati. Si era da poco conclusa la prima seduta del consiglio che aveva eletto la nuova giunta di sinistra, Pci-Psi. Il sindaco, Carlo Tognoli, solo da un attimo si era allontanato dal suo ufficio, al secondo piano. L’autobomba era stata collocata lì sotto a pochi metri. Una scheggia di lamiera fu ritrovata conficcata nell’apparecchio telefonico sulla sua scrivania. Solo per una manciata di minuti non si sfiorò un’ecatombe. Fu di fatto una mancata strage.

Furono indagati alcuni appartenenti al “Gruppo Giuliani”, una struttura eversiva di destra che si collocava in una sorta di crocevia eversivo tra i Nar, Costruiamo l’azione (erede della struttura di Ordine nuovo guidata da Paolo Signorelli) e la malavita comune. Ma non si arrivò a nulla, anche se in diverse deposizioni provenienti dall’interno degli ambienti neofascisti si confidò che l’attentato di Milano era stato «ideato» da Gilberto Cavallini. Tutti gli elementi raccolti portarono a concludere che l’attentato di Milano, con la volontà di fare strage di consiglieri comunali al varo di una giunta di sinistra, fosse parte del medesimo progetto eversivo, una prima tappa, ordita dalla P2 di Licio Gelli ed eseguita dai Nar.

 

«FRATELLI D’ITALIA»: NON SONO FASCISTI MA

Relazioni pericolose con esponenti dell’ultradestra. Esternazioni e proclami razzisti e sessisti. Promozione della “cultura” del Ventennio. Così il partito di Giorgia Meloni tiene vivo il legame, coltivato fin dalla sua fondazione, con la galassia nera del nostro Paese

Da quando si è costituito, nel 2012 – potremmo dunque dire fin dall’inizio – il partito Fratelli d’Italia, fondato da Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto, in uscita dal Popolo della libertà guidato da Silvio Berlusconi, ha intrattenuto rapporti non occasionali e alla luce del sole con formazioni neofasciste. Si pensi ad alcuni eventi nei suoi primi anni di vita, pressoché ignorati, anche visti i modesti risultati elettorali che la nuova formazione conseguiva. Nelle elezioni politiche del 2018 FdI poteva contare sul 4,3% delle preferenze alla Camera e sul 4,26% al Senato, ben lontano dai fasti attuali e dai sondaggi di questi giorni che ormai lo indicano stabilmente come il primo partito nelle preferenze degli italiani. Durante la festa del partito che si è tenuta nell’ottobre dello stesso 2018, a Milano, furono invitati come relatori il segretario nazionale di Forza nuova, Roberto Fiore, e un esponente dell’associazione Memento, impegnata nel far rivivere il ricordo degli squadristi fascisti degli anni Venti, nonché quello dei caduti repubblichini nel Secondo conflitto mondiale. Un’associazione legata a Lealtà azione, il raggruppamento nato da una costola del circuito neonazista degli Hammerskins, che tra i propri riferimenti “ideali” annovera Léon Degrelle, ex generale delle Waffen-Ss, giudicato nel dopoguerra come criminale di guerra, e Corneliu Codreanu, il fondatore della Guardia di ferro rumena, distintasi tra gli anni Trenta e Quaranta per i suoi spaventosi pogrom antiebraici e la sua collaborazione con i nazisti. 

Nelle viscere del partito

Da allora è stato un continuo crescendo, fino ai giorni nostri, non solo di relazioni intrattenute con esponenti della destra neofascista, su cui torneremo, ma di episodi in cui a manifestare il proprio credo estremista sono stati gli stessi dirigenti e militanti del partito. Ne citiamo tre emblematici assai recenti: l’omaggio pubblico a Verona (marzo 2021) da parte di Gioventù nazionale, ovvero i giovani di FdI, proprio a Léon Degrelle; la presentazione da parte della sezione locale di FdI a Civitavecchia (novembre 2021) di un libro apologetico in favore di Rodolfo Graziani, il generale italiano massacratore di migliaia di etiopi nel 1937, poi comandante dell’esercito di Salò; il voto decisivo in Consiglio comunale a Carpi, in provincia di Modena (aprile 2022), per impedire la revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Fatto in verità non unico e isolato. Ma soprattutto sono state le esternazioni di diversi candidati nelle elezioni parziali amministrative del 2021 ad aver mostrato ciò che vive nelle file di questo partito in termini di nostalgia del Ventennio. Candidati, come hanno riportato le cronache dei giornali, che…

L’articolo è tratto da Left del 22-28 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App

(*) L’autore: Saverio Ferrari è direttore dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre. Entrambi gli aricoli sono ripresi da left.it

Foto Wikimedia

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.49) 15 agosto 2022 09:03

    Egregio Saverio. E’ inutile girarci intorno, fatica sprecata. La Meloni è certamente fascista, Berlusconi è quello che sappiamo e Salvini non merita neanche un commento. Tuttavia il 25 settembre, questi tre campioni prenderanno non meno di dieci punti in più nei consensi rispetto alla peggiore coalizione di sempre della storia politica italiana, ovvero quella guidata dal metafisico PD di Letta.

    Cosi’ è se vi pare. Quindi rassegnatevi, fatevene una ragione.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità