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Messico: cosa c’è dietro la riforma energetica di Peña Nieto

Questo articolo fa parte di una riflessione sul Messico, le proteste e la libertà di stampa, iniziata qui e qui

Peña Nieto è riuscito a diventare presidente del Messico con poco più del 38% dei voti, tra i quali ci sarebbero quelli acquisiti attraverso un accordo di promozione elettoral-commerciale con Televisa.

A questi - come ha denunciato l'opposizione guidata da López Obrador, arrivato secondo con il 31% - vanno aggiunti i circa 5 milioni di voti ottenuti sfruttando il programma sociale contro la fame (la “Cruzada contra el Hambre”) ed attraverso il cosiddetto “Monexgate”.

Come scrive Jesusa Cervantes lo scorso 6 ottobre sulla rivista Proceso (qui un estratto dell'articolo) già durante la campagna elettorale López Obrador – aggiungendosi alle denunce penali presentate dal panista Gustavo Madero e da Jesús Zambrano del PRD – aveva denunciato come il PRI avesse utilizzato più di 10.000 carte di credito, per un totale di più di 160.000.000 di pesos (più di 9 milioni di euro), della banca Monex (come la suggestiva “Monex Recompensa”) e della Bancomer per la compravendita di voti, realizzata anche attraverso denaro di provenienza illecita triangolato per occultarne l'origine. Senza contare sistemi più “rudimentali” come la semplice sparizione di schede ed urne prima dello spoglio.
Non bisogna infatti dimenticare che, così come accade in Italia, anche la criminalità organizzata ha denaro da dover ripulire investendolo in attività legali. Campagne elettorali incluse.

 

La madre di tutte le privatizzazioni
Dietro Peña Nieto, è la denuncia, ci sarebbero sistemi di potere non messicani, come quello legato all'imprenditore statunitense-messicano José Luis Ponce de Acquino (al quale l'attuale presidente avrebbe offerto 56 milioni di pesos, circa 3 milioni di euro, ora accusato di frode per quella stessa cifra negli Stati Uniti). Quello stesso sistema che oggi vedrebbe di buon occhio la privatizzazione della principale compagnia petrolifera parastatale, la Petróleos Mexicanos (nota anche come Pemex, costituisce il 40% delle entrate fiscali del paese con i suoi 2,5 milioni di barili al giorno), che è ciò che il governo vuol fare attraverso la riforma energetica.

Fin dalla nazionalizzazione del governo Lázaro Cárdenas del 1938, la società – che più volte ha salvato l'economia messicana dal fallimento – è sempre stata vista come un modello di indipendenza, che verrà meno con la riforma degli articoli 27 e 28 della Costituzione e l'istituzione di un diverso regime fiscale, aprendo alle partnership tra settore pubblico e privato al fine di risollevare le sorti della società.
Secondo il costituzionalista Diego Valadés Ríos, fortemente critico verso la riforma, «quello che non si spiega dal punto di vista tecnico, amministrativo ed economico è perché un monopolio petrolifero fallisce. È un caso unico nel pianeta. Non è perché il paese non ha le capacità tecniche per la gestione, l'amministrazione, l'esplorazione o lo sfruttamento. Quello che ha fatto fallire l'industria petrolifera è il regime politico».

Le critiche alla riforma evidenziano come questa non veda come principale obiettivo assicurare una migliore salute finanziaria alla società, quanto attrarre investimenti privati stranieri. E già scatta l'allarme rosso verso le “revolving doors”. I primi due casi sono quelli dell'ex direttore di Pemex, Jesús Reyes Heroles, oggi “associato strategico” della multinazionale finanziaria Morgan Stanley e Georgina Kessel, Segretario all'Energia del governo Calderón oggi consulente esterna della corporation spagnola Iberdrola, leader mondiale nell'energia eolica.

I numeri di Pemex

**Glossario
Indice de Precios y Cotizaciones (IPC);
Margine operativo lordo

«Questa [la riforma energetica, ndt] è la più lesiva e la più grave contro gli interessi della patria. La riforma energetica pretende di restituire alle multinazionali petrolifere il controllo dei nostri giacimenti e smantellare l'impresa nazionale più importante che il Messico ha costruito per decenni» ha scritto Gerardo Fernández Noroña, ex portavoce e fondatore del PRD oggi esponente di spicco del Movimiento de Izquierda Libertaria in una lettera aperta al presidente Peña Nieto lo scorso 19 settembre.

Per approfondire: Se vende un País - Ruben Luegas;

Intanto gli Zetas si danno al sociale.
Presunti membri del cartello dei Los Zetas hanno distribuito nei giorni scorsi generi alimentari agli abitanti di diverse colonie di Ciudad Victoria (città controllata dal cartello), stato di Tamaulipas, Messico nord-orientale, colpiti dall'uragano Ingrid. A bordo di furgoncini, i membri del gruppo hanno distribuito buste di plastica marchiate con il loro simbolo distintivo “Z” a chi si identificava come colpito dall'uragano davanti alle scuole elementari dei quartieri colpiti. I cittadini che hanno accettato questi aiuti hanno sostenuto che non gli importava da chi provenissero gli aiuti, essendo utili per correggere quello che hanno perso per il passaggio dell'uragano.
L'operazione segue di qualche giorno quanto fatto dal Cártel del Golfo nella zona di Altamira, Madero e Tampico.

Gli aiuti del governo – statale e federale - sono arrivati una settimana dopo il passaggio dell'uragano, quando i cartelli erano già passati portando aiuti e ricevendo in cambio un'ovvia “simpatia” da parte della popolazione. È anche, o forse soprattutto così che si permette alla criminalità organizzata di prendere piede tra la popolazione civile. Che si sia a Città del Messico come a Roma (o nel resto del mondo).

 

Foto: Razi Marysol Machay/Flickr

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