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Mercato libero o disperato?

Mercato libero o disperato?

Capisco che chiedere al card. Bagnasco di non credere al paradiso sia paradossale ed inutile ma, in tempi di salto doppio capriato con avvitamento e svitamento, non sarei così dogmatico come fa il mio amico (di blog) Phastidio.net. Ammetto di non avere la sua preparazione accademica (l’esame di economia politica l’ho dovuto ripetere prima sul Profitto di Biagiotti, poi su testi degli Editori Riuniti, quindi su tomi liberali "consigliati" dal nuovo docente) e quindi grafici e terminologia anglotecnicistica mi mettono il prurito. Ma so anche che dalle formule sono sceso - purtoppo - nella pratica quotidiana dell’economia spicciola (si chiama microeconomia, mi pare, in termini forbiti), scontrandomi spesso con i grandi totem molto di moda oggigiorno.

Parlo in particolare delle liberalizzazioni che già ebbi modo di trattare quasi tre anni fa esatti, in risposta a quanto fatto da quel ministro di nome Bersani. Non torno su quanto detto allora, di cui non cambierei una virgola.

Il problema di chi studia i fenomeni, e non mi riferisco solo al mio amico di blog, è che spesso le loro idee (ideologie?) sono frutto di mera speculazione teoretica, ma poco o nulla pratica, senza scomodare Kant. E’ come se io, derelitto cuoco della periferica provincia italiana, volessi discettare sulla cucina molecolare di Ferran Adrià: non avendo mai lavorato con provette, azoto liquido o altre diavolerie, il mio giudizio sarebbe tarato in partenza. Per questo non mi permetto di dare giudizi sull’altrui professionalità. Posso solo dire qual è la mia filosofia gastronomica ed inchinarmi alla maestria riconosciuta universalmente di chi invece percorre altre strade, che io non imboccherò mai.

Tornando à nos moutons, nei giorni scorsi ho finito un periodo di superlavoro che - in tempi di saldo negativo dei consumi alimentari - mi ha permesso di elevarmi di parecchi punti positivi rispetto allo scorso anno. Cos’era successo? Semplice: buona parte delle attività locali concorrenti erano chiuse per ferie o per malattia del titolare. Come dicevano gli odiosi romani, mors tua vita mea, o come diceva un mio socio "ogni albero fa la sua ombra" e tutti insieme fanno notte.

Ora, sostenere che è il mercato che regola la libera concorrenza (con "il fallimento delle imprese meno efficienti") è un assioma teorico con moltissime eccezioni, che quindi mettono in discussione la presunta legge economica.

Per esempio: sicuri che certi ristoranti oggi diano guadagni tali da permettere al titolare di girare in Ferrari nuova fiammante - se la GdF vuole i nomi sono a disposizione - perché sono migliori degli altri, o non perché ci sono dietro giri "strani"?

O ancora: sicuri che i ristoranti cinesi fossero i migliori (finché i Nas non ci hanno messo il naso dentro)?

Molto istruttiva è stata la lettura di Storia della mia gente di Edoardo Nesi "l’ultimo e il più giovane dei conservatori", come si definisce lui stesso. Ne raccomando la lettura a tutti i teoretici. A chi non vuole spendere investire 14 euro, regalo questo passaggio (pag. 60):

Contava solo il prezzo, e sul prezzo perdevamo sempre, perché c’era sempre qualcuno più disperato di noi - a Prato, sia chiaro, non a Wenzhou -, che evidentemente si era fatto imbibire dalle entusiastiche, perciose teorie per cui è sempre e solo il libero mercato a decidere qual è il prezzo giusto di qualsiasi bene...

Disperato, non migliore.

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