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Mala accoglienza e diritti negati in Italia

Un viaggio-inchiesta dentro le crepe del sistema italiano che accoglie i richiedenti asilo e protezione internazionale. Un racconto dall’interno che ne analizza tutte le complessità. A partire dalla compresenza degli attori coinvolti: operatori sociali, migranti, mediatori culturali, avvocati, enti pubblici locali e nazionali, imprese private.

 

È Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienza, resistenze, segregazione un libro a più voci, di recente uscita (Orthotes edizioni) che «ha l’obiettivo di mettere in discussione i discorsi sulle migrazioni che si fanno in relazione al sistema di accoglienza, rompendo lo sguardo coloniale applicato alle persone migranti», come scrive il sociologo dell’Università di Salerno Gerardo Avallone nel testo introduttivo. Racconta Avallone:

«questo libro è una presa di parola collettiva, eretica e meticcia. Gli autori e le autrici dei saggi non hanno espresso un unico punto di vista, una voce omogenea, ma tutti i testi presentati convergono nel riconoscimento del fatto che l’attuale sistema di accoglienza vigente in Italia va superato».

I motivi alla base di tale superamento, secondo il sociologo: «risiedono nel suo fondarsi sulla mercificazione, l’infantilizzazione, la negazione della soggettività politica delle persone migranti». È ciò che in effetti il libro mostra empiricamente, da diverse prospettive, riportando all’interno anche alcuni casi di studio. Pur nella sua autorevolezza scientifica, l’analisi predilige un punto di vista, una lenta di osservazione che produce una scelta: di racconto radicale. Una presa di parola eretica, appunto, che è già manifesta nelle stesse biografie degli autori.

Gli autori e le loro biografie. Una scelta di campo

Oltre al contributo di Avallone, infatti, all’interno dell’opera si trovano i saggi di Yasmine Accardo della Campagna Lasciatecientrare, di Karima Sahbani, mediatrice linguistica culturale, dell’avvocato Rocco Agostino, della psicologa Adelina Galdo, di Daouda Njang presidente dell’associazione senegalesi di Salerno. Una pluralità di voci, dunque, tra cui troviamo anche gli attivisti del centro sociale Ex Opg – Je So’ Pazzo di Napoli, insieme a quelli dell’associazione dilettantistica Atletico Brigante, squadra di calcio antirazzista di Benevento. Una denuncia collettiva della malaccoglienza come sistema, parafrasando il titolo del saggio di Yasmine Accardo.

Nel saggio di Accardo ci sono le numerose denunce che negli ultimi 5 anni sono state portate avanti da Lasciatecientrare una campagna nata nel 2013 per contrastare l’impedimento dell’accesso di membri della società civile ai Cie, che si poneva, cioè, contro l’abuso della detenzione amministrativa nei confronti degli stranieri). Una rete che poi ha coinvolto centinaia di attivisti, nelle segnalazioni contro gli enti gestori dell’accoglienza, inviate alle Procure, ai tribunali per i minorenni, all’Autorità Anticorruzione. «Abbiamo testimoniato l’orrore» scrive Yasmine Accardo: «alcuni colossi della cooperazione sociale come Auxilium, la Cascina, Senis Hospes, Misericordie, sono stati messi sotto accusa nell’inchiesta Mafia Capitale, ma ancora oggi gestiscono mini e grandi centri di accoglienza».

E ancora, «mentre non mancano i procedimenti in atto per gli abusi e le morti avvenute nei centri di accoglienza, le querele e le minacce nei confronti di noi attivisti, il sistema clientelare in Italia è così pervasivo che ovviamente doveva manifestarsi anche nell’accoglienza». Ma c’è di più, prosegue Accardo, «i migranti che arrivano in Italia passano da un sistema di accoglienza, che, nella migliore delle ipotesi, offre almeno la scuola di italiano, e, nella peggiore, ti mette direttamente in mano agli sfruttatori». Le cose si complicano quando si esce dal sistema di accoglienza, quando si fa i conti, cioè, con quello che il sistema pubblico italiano offre (o meglio non offre) agli stranieri, né tantomeno ai cittadini italiani. Dunque, significa fare i conti con l’assenza di un lavoro degno, con i disservizi sanitari, con la mancanza di politiche abitative, in un particolare contesto storico come quello attuale, caratterizzato, più in generale, dalle aggressioni ai soggetti deboli.

È la doppia assenza, per dirla con un’immagine cara al sociologo Abdelmalek Sayad. È quella che emerge tra le pieghe di questo libro collettivo. Doppia assenza: di accoglienza e di diritti.

Una immagine che – nell’insegnamento del sociologo franco-algerino – sta a significare: «che con l’emigrazione il migrante si stacca dalla sua società di origine senza però essere accolto nella società dove arriva».

Per Sayad il migrante si trova doppiamente assente: «egli è assente (mentalmente, culturalmente) dove è presente (fisicamente); mentre è assente (fisicamente) dove è presente (culturalmente etc)». È questa stessa condizione di doppia assenza, che il sistema di accoglienza italiano produce e perpetua nei confronti dei migranti che arrivano in Italia, ed è ciò che secondo gli autori del libro va superato.

Superare l’accoglienza

«Occorre superare un sistema di questo tipo, che produce e considera le persone migranti e i richiedenti asilo come soggetti deboli, cioè dotati di meno diritti, condizioni, possibilità e risorse inferiori rispetto al resto della popolazione», scrivono gli autori: «ciò è possibile non solo riconoscendo le migrazioni come un movimento sociale, dunque a partire dal riconoscimento della forza dei soggetti che emigrano, ma anche dando importanza alle voci degli operatori e delle operatrici “eretici”», per dirla ancora con Sayad; con i soggetti, cioè, interessati a mettere in discussione le politiche di accoglienza dominanti. Ed è in questa tensione che il libro si colloca, «tra il movimento che tende a irreggimentare le migrazioni attraverso politiche nazionali e sovranazionali e costruzioni simboliche razziste, e quello che tende ad affermare l’autonomia delle migrazioni e la loro liberazione».

Recensione apparsa sulla rivista Confronti DinamoPress

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Guardare dall’interno il sistema di accoglienza in Italia

Il libro Il sistema di accoglienza in Italia ha l’obiettivo di mettere in discussione i discorsi che si fanno sulle migrazioni in relazione al sistema di ‘accoglienza, rompendo lo sguardo coloniale applicato alle persone migranti attraverso una presa di parola collettiva, eretica e meticcia. A questo obiettivo generale si affianca quello di andare oltre le modalità consolidate di produzione della conoscenza, superando la pratica che riduce i protagonisti della realtà sociale, specialmente se in una condizione subalterna o se persone migranti, ad oggetti del punto di vista accademico, solitamente bianco, maschile e occidentale.

  1. Politiche dell’accoglienza: un quadro statistico

Le politiche migratorie vigenti in Italia e negli altri paesi europei dell’area Schengen non permettono, di fatto, ingressi legali per motivi di lavoro, ad eccezione delle persone particolarmente ricche o con specifiche qualifiche e competenze professionali. Questa scelta politica si è accelerata negli ultimi anni, soprattutto dal 2010-2011, quando ha iniziato ad approfondirsi la crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007-2008. Sarebbe necessario, in questo senso, cambiare drasticamente l’orientamento di fondo delle politiche in corso, attraverso decisioni strutturali che introducano un permesso di soggiorno per ricerca lavoro non condizionato o, per lo meno, lo riconoscano a quanti sono soggiornanti. E, insieme, mettano in condizione di regolarizzare la propria condizione amministrativa quanti svolgono un’attività lavorativa o hanno legami familiari o affettivi in Italia.

Questo cambiamento radicale permetterebbe, da una parte, di giungere alla rottura del vincolo subordinante tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro e, dall’altra parte, di facilitare la protezione delle persone in evidente condizione in fuga da situazioni di violenza, guerra, tratta ed altre lesioni gravi dei diritti umani.

Questo cambiamento, tuttavia, non è all’ordine del giorno. Al contrario, si è determinato, nel recente passato, in particolare con l’implementazione dell’approccio hotspot dal 2015, un processo di restringimento delle possibilità di mobilità anche all’interno dello stesso spazio europeo. In virtù di questo processo, l’Italia è divenuta in modo crescente paese di destinazione, riducendo la sua posizione di paese di transito. Storicamente, questo cambiamento è coinciso con l’incremento delle persone giunte sul territorio europeo come richiedenti asilo, anche in virtù delle guerre che stanno distruggendo una serie di paesi, tra cui, in maniera particolare, la Siria, le quali sono state obbligate a restare sul territorio italiano, o, in tanti altri casi, greco, in virtù dei vincoli imposti dal Regolamento di Dublino III del 2013.

Sebbene la propaganda politica e il sensazionalismo giornalistico abbiano costruito l’idea che l’Italia sia stata invasa da persone richiedenti asilo e rifugiate, i dati statistici presentano una realtà del tutto diversa. Dal 2007 al 2017 le persone giunte in Italia attraverso il mare o la frontiera nord sono state meno di un milione, su una popolazione residente totale di circa 60 milioni. Secondo i dati del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, le persone ‘sbarcate’ in questo arco temporale sono state 809.781, con un’accelerazione dal 2014, in quanto nel periodo 2014-2017 sono giunte in Italia attraverso questa modalità 624.747 persone. Tra queste, le minori e i minori non accompagnati sono state, nel medesimo periodo, 66.963, secondo le stesse fonti ministeriali.

La Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo ha registrato 482.467 richieste di asilo tra il 2011 e il 2017. Gli esiti delle richieste si sono diretti nel corso del tempo sempre più verso il polo dei dinieghi. Secondo i dati del Cir, del Ministero dell’Interno e del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, nel 2014 i dinieghi sono stati pari al 39% delle domande presentate, 14.217 su 36.270 richieste esaminate, con la concessione della protezione umanitaria nel 28% dei casi, della protezione sussidiaria al 23% dei richiedenti e dello status di rifugiato al 10% del totale. Nel 2016, i dinieghi sono stati il 60% dei casi (54.254), mentre la protezione umanitaria è stata riconosciuta al 21% dei richiedenti, la sussidiaria al 14% e lo status di rifugiato al 5%. Nel 2017, rispetto a numeri assoluti leggermente inferiori, i dinieghi si sono attestati al 58% dei casi (46.992 domande), e anche i valori relativi alle tre forme di protezione si sono modificati di poco (25% di umanitaria e 8% di sussidiaria e rifugiati). Da questi numeri si evince, in modo chiaro, come la produzione di condizioni di irregolarità amministrativa è stata inarrestabile, evidenziando i processi di nuova clandestinizzazione in corso.

L’Italia ha dovuto accogliere le persone richiedenti asilo, in virtù dei trattati internazionali a cui ha aderito, a partire dalla Convenzione di Ginevra del 1951, e della sua stessa Costituzione, che all’articolo 10 comma 3 recita «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Il d.lgs. 25 del 2008, in attuazione della Direttiva 2005/85/CE, ha fissato le procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato, mentre il D.lgs. 142 del 2015 ha regolato le forme della permanenza regolare in Italia per le persone richiedenti asilo in maniera conforme agli obiettivi del sistema europeo di asilo, con specifiche Commissioni territoriali che valutano le richieste. D’altronde, già nel 2002, con l’articolo 32 della Legge 189 conosciuta come Legge Bossi-Fini, era stato istituito il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), cioè il sistema ordinario di accoglienza, in seguito a un protocollo d’intesa firmato nel 2001 dal Ministero dell’Interno, dall’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr). In base all’insieme di queste leggi ed accordi, la Repubblica italiana ha dato ospitalità temporanea ad una serie di persone richiedenti asilo e con protezione, attraverso un sistema fondato su due livelli: il primo livello dei Centri di prima accoglienza, che nel tempo hanno avuto differenti denominazioni, e il secondo livello degli Sprar. Questo sistema ha cambiato natura nel corso del tempo a causa della proliferazione dei Centri di permanenza straordinaria (Cas), che ha lasciato sempre più spazio alla straordinarietà a discapito della gestione ordinaria.

Secondo i dati del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, le persone ospitate sono aumentate tra il 2014 de il 2017 in modo progressivo, concentrandosi sempre più nei Cas. Nel 2014, le persone ospitate nel sistema di accoglienza erano 68.927, di cui il 51,5% nei Cas. Nel 2017 sono state 186.681, di cui l’81% nei Cas.

Ciò che in maniera ufficiale viene definito straordinario è stato reso ordinario dalle politiche di accoglienza realizzate, in un sistema facilmente convertibile in un affare indifferente alle persone accolte, tanto è vero che la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate ha dovuto notare che:

tali centri sono condizionati dalla loro stessa natura di strutture temporanee. I profili di provvisorietà – che spesso derivano anche dal bando che fissa la durata dell’affidamento del servizio in pochi mesi – determinano una generalizzata situazione di difficoltà (se non di vera e propria impossibilità) di erogazione dei servizi secondo standard qualitativi accettabili. Si pensi, ad esempio, alla inevitabilmente precaria situazione del personale che vi opera, la cui professionalità non può essere garantita a fronte di meri affidamenti a carattere trimestrale. Ciò va inevitabilmente a detrimento di ogni forma di reale integrazione con il territorio, certamente non favorita dalla loro frequente collocazione in zone urbane periferiche o addirittura in zone rurali collegate sporadicamente con centri anch’essi di piccole dimensioni, e dunque impossibilitati a prestare i necessari servizi socio-sanitari.
  1. Un libro collettivo, eretico, meticcio

È impossibile comprendere le condizioni di vita all’interno del sistema di accoglienza senza la voce dei diretti protagonisti. È la presenza della popolazione migrante che vive e transita nei Centri e attraverso le procedure del sistema di accoglienza, con le sue specifiche condizioni di vita e le sue necessità, richieste, forme di resistenza, lotte, proposte e rivendicazioni, a costituire l’esperienza centrale attorno cui organizzare la conoscenza, oltre che le azioni necessarie a cambiare la situazione attuale.

Il sistema di accoglienza non interessa, però, solo le persone richiedenti asilo e rifugiate. Esso implica molte altre presenze: la politica europea e la politica nazionale, con la relativa propaganda; le attività delle istituzioni pubbliche, in particolare delle prefetture e dei comuni; il lavoro delle operatrici e degli operatori occupati nel settore, così come dei mediatori e delle mediatrici inter-culturali e degli avvocati e degli altri operatori legali; le imprese che gestiscono; l’impegno in rete delle attiviste e degli attivisti a sostegno delle condizioni di vita delle persone migranti e di più alti livelli di giustizia per tutti; le azioni a sostegno o ostili delle comunità locali; le modalità di informazione e rappresentazione agite dai mezzi di comunicazione.

Quello dell’accoglienza è un settore con diversi protagonisti. Un’analisi dall’interno richiede la partecipazione di questa complessità. Ed è proprio ciò che fa questo libro: un testo meticcio, perché pensato e sviluppato insieme da voci eterogenee e diverse; un testo collettivo, perché prodotto dai contributi delle persone e delle realtà collettive partecipanti all’interno di una discussione comune; un testo eretico nei riguardi dell’ordine esistente, che continua a seperare i nazionali dai non nazionali, perché entra nel dettaglio delle possibilità e modalità di superamento dell’attuale sistema di accoglienza.

I contributi proposti sono stati elaborati dall’interno del mondo dell’attivismo (Yasmine Accardo della Campagna LasciateCIEntrare, il Centro sociale Ex-Opg Je So’ pazzo di Napoli, l’ASD Atletico Brigante di Benevento); da lavoratori e lavoratrici del settore dell’accoglienza (Vanna D’Ambrosio, operatrice in alcuni Centri di accoglienza; Daouda Niang, Pierre Dimitri Meka e Karima Sahbani, mediatori inter-culturali; Adele Galdo, responsabile dello Sprar Valeria Solesin del Comune di Torrioni; Salvatore Casale, operatore di Centri Sprar); da ricercatori sociali (Alagie Jinkang, dottorando presso l’Università di Palermo e assegnista presso l’International University college of Turin; Gennaro Avallone, ricercatore dell’Università di Salerno); dall’avvocato Rocco Agostino.

Le persone e le realtà sociali impegnate nell’elaborazione del libro si sono incontrate e conosciute in un percorso di più lungo periodo, che non solo riguarda le reti e i movimenti sociali di cui, in diverse modalità, fanno parte, ma è anche collegato alle attività promosse dal Laboratorio di sociologia urbana Right_City_Lab dell’Università di Salerno, a partire dai seminari organizzati nel 2017 dal titolo «Movimenti migratori. Giustizia. Accoglienza. Costruire antidoti a razzismo e fascismo» e dal seminario collettivo «La Campania accoglie. Contro razzismo e fascismo. Per un incontro con e tra le realtà attive nell’accoglienza sociale in regione». Le stesse persone e realtà sociali hanno partecipato alle iniziative organizzate nell’ambito del progetto di ricerca internazionale Erasmus+ «Refugium: building shelter cities and a new welcoming culture. Links between European Universities and Schools in Human Rights».

  1. I contenuti del libro

Gli obiettivi conoscitivi del libro sono stati condivisi dalle autrici e dagli autori, che hanno espresso non una voce omogenea, ma opinioni diverse e, su una serie di aspetti, in contraddizione tra loro. D’altronde, se si riconosce l’eterogeneità della società e, specificamente, della composizione sociale e politica delle persone in lotta per i loro diritti (le persone subalterne, sfruttate, in movimento, in cerca di giustizia e opportunità di vita), allora si deve riconoscere anche l’eterogeneità dei punti di vista, quando questi si esprimono nel rispetto reciproco e nell’ambito di una prospettiva antirazzista e critica della colonialità.

I testi presentati convergono nel riconoscimento del fatto che l’attuale sistema di accoglienza vigente a livello nazionale in Italia va superato, perché è fondato sulla mercificazione, l’infantilizzazione e la negazione della soggettività politica delle persone migranti, come evidenziato, da diverse prospettive, nei testi singoli così come nella discussione collettiva che chiude il libro.

Il fatto che i servizi di accoglienza della popolazione richiedente asilo e con protezione sono espressione di una politica sociale rispondente ad una serie di accordi internazionali è, nel tempo, passato in secondo piano, fino quasi a scomparire. È prevalsa la trasformazione dell’accoglienza, da un lato, in materia di propaganda politica a danno della popolazione migrante e di parte della stessa popolazione nazionale, e, dall’altro, in un settore economico altamente redditizio per pochi imprenditori

Questo libro vuole contribuire a ristabilire i termini corretti della questione, evidenziando, al tempo stesso, i limiti costitutivi, strutturali, fondativi del sistema di accoglienza, basato sull’eccezionalismo, cioè sull’attribuzione di caratteristiche del tutto speciali alle persone da ospitare: persone altre, radicalmente diverse, con diritti distinti e ridotti. È stata così creata una politica per gli altri, per i diversi, per quelle persone da tenere totalmente separate dal resto della popolazione. Questa definizione si è tradotta, sul piano dell’implementazione e della governance, in una politica per le presenze “d’eccezione”, dunque una politica eccezionale, una politica di emergenza. In questo modo, il sistema di accoglienza è diventato un sistema che non accoglie ma contiene, che non avvicina alla società locale ma allontana, che non fa venire in contatto ma disciplina, che non è una politica sociale ma è una politica di ordine e controllo: un sistema costitutivamente ostile per la popolazione che lo vive, al di là delle singole esperienze positive.

Questi caratteri del sistema sono stati messi in evidenza dai diversi testi, che hanno affrontato differenti aspetti relativi al sistema di accoglienza. Sono state poste in luce le condizioni di vita al suo interno sia delle persone migranti sia delle operatrici e degli operatori, affrontate a fondo nella discussione collettiva e presentate, soprattutto, da Yasmine Accardo, Vanna D’Ambrosio, Salvatore Casale e, con riferimento alla specifica attività di mediazione inter-culturale, da Karima Sahbani. È stata evidenziata la questione del razzismo istituzionale, rendendo l’evidenza del fatto che il sistema di accoglienza è costitutivamente organizzato per escludere o per produrre soggetti deboli, come riconosciuto anche da chi fa l’accoglienza positiva, come, ad esempio, da Adele Galdo, che ha sottolineato come le persone che passano attraverso lo Sprar sono poi lasciate sole, a meno che non ci sia una presa in carico di tipo volontario da parte delle operatrici e degli operatori. È stata rimarcata, pertanto, l’importanza dell’esercizio del controllo popolare sulle condizioni di vita all’interno dei Centri di accoglienza, come spiegato dal Centro sociale Ex-Opg Je So’ pazzo, oltre che da Yasmine Accardo, ma è stato anche riconosciuto che ciò non è sufficiente. Come la stessa discussione collettiva ha argomentato le opportunità di vita per le persone richiedenti asilo o rifugiate non possono dipendere solo da ciò che il sistema di accoglienza propone o non propone, anche perché troppo spesso questo dipende dal caso, dal tipo di persone che vi si incontrano. È necessaria, allora, l’attivazione autonoma dei soggetti, a cui possono contribuire esperienze e percorsi di socialità non istituzionalizzata, come quella raccontata dall’ASD Atletico Brigante.

La presenza delle persone richiedenti asilo e rifugiate non è un evento casuale. Essa va inquadrata in una più ampia analisi sul fenomeno della mobilità umana. A questo livello analitico sono stati dedicati soprattutto i contributi di Alagie Jinkang, Dimitri Meka e Daouda Niang, che hanno analizzato la questione coloniale e neocoloniale e le migrazioni in Africa e dall’Africa, e quelli di Gennaro Avallone, Rocco Agostino e Yasmine Accardo, concentrati sulle caratteristiche delle politiche nazionali ed europee di controllo, contrasto e filtraggio delle migrazioni.

  1. Andare oltre la minorizzazione delle persone richiedenti asilo e rifugiate

La voce e la parola delle persone migranti è assente nello spazio pubblico e, se presente, lo è in maniera secondaria, periferica. Si tratta di una assenza, che si ritrova, in modo accentuato, nel modo in cui la società e le istituzioni italiane si rapportano alle persone straniere, come inferiori o incapaci, se non come minacce. È quanto accade, ad esempio, nelle istituzioni pubbliche in cui, spesso, ad una persona richiedente asilo presente per un’istanza qualunque si domanda da chi è stata accompagnata, dove si trova l’operatore, come se necessitasse di un tutore.

Si realizza una minorizzazione delle persone migranti, soprattutto nel caso di quelle che sono richiedenti asilo. La minorizzazione è un processo duplice: da un lato, significa infantilizzare, considerare una persona adulta come un minore, come un bambino; dall’altro lato, significa rendere inferiore, considerare una persona adulta con minori qualità e diritti degli altri.

Questo processo duplice contribuisce, insieme ad altri fattori e processi, a trasformare le persone migranti in oggetti: oggetti di discussione, di politiche, di discorsi. Qualcuno/qualcosa che sta zitto su cui si parla, su cui altri parlano. Oggetto, appunto, non soggetto.

Questa riduzione al silenzio si riversa sul piano politico, in quanto negare capacità e protagonismo politico alle persone migranti è costitutivo della loro relazione con lo Stato e la società nazionale. Quando la presenza migrante si manifesta esplicitamente, con atti e rivendicazioni concrete, nello spazio pubblico, allora si tende a sminuirla oppure a reprimerla e criminalizzarla, in modo da ricondurre le persone migranti al loro posto e alla subordinazione all’immaginario che le vuole tutte deboli e vulnerabili. La presa di parola politica delle persone migranti non è accettata dallo Stato e da parte della società nazionale. Il suo riconoscimento richiede un atto di eresia, la messa in discussione pratica dell’ordine nazionale e nazionalistico che nega la soggettività politica ai migranti, cioè alle persone non appartenenti alla nazione.

A questo processo di spoliticizzazione delle persone richiedenti asilo e rifugiate e, più in generale, migranti contribuisce il sistema di accoglienza, orientato a ridurre l’autonomia sia delle persone migranti che vi vivono sia degli operatori che vi lavorano. Ovviamente, si registrano delle eccezioni, come nel caso di una serie di Centri Sprar, i quali mostrano in maniera ancora più chiara i limiti costitutivi del sistema, nel quale il destino di tante persone è lasciato dipendere dal caso, dalla fortuna o dalla sfortuna di venire collocati in un Centro di accoglienza o in un altro, dipendente dalle contingenti caratteristiche politiche, culturali e umane di chi gestisce o vi lavora. Questa aleatorietà non è casuale, ma dipende dal carattere intrinsecamente ghettizzante, escludente, infantilizzante e tendente ad isolare del sistema di accoglienza, le cui isole positive sono semplici eccezioni che confermano la regola.

  1. Un sistema da superare

Le politiche di accoglienza delle persone richiedenti asilo e rifugiate in Italia sono inadeguate in confronto ai bisogni da affrontare e ai diritti da rispettare. Lo stesso Ministero dell’Interno lo ha riconosciuto già nel 2015, con particolare riferimento ai Centri di accoglienza straordinaria, nei quali l’alto numero di persone collocate veniva considerato come causa di «una serie di problematiche nella gestione operativa». Al carattere strutturalmente emergenziale di queste politiche, le novità legislative del 2017 hanno aggiunto ulteriori elementi problematici, specialmente con la Legge 46/2017 – «Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale» – conosciuta come Legge Minniti-Orlando, che ha ridotto le possibilità di tutela per i richiedenti asilo.

In questo contesto, i cui caratteri sono aggravati dal dispiegamento della crisi come forma di governo ordinaria delle società e da anni di politiche nazionali ed europee di austerity, anche un accordo interistituzionale come quello, siglato nel 2016, tra Anci e Ministero degli Interni per la diffusione dei Centri Sprar è stato osteggiato da moltissimi comuni e da parti delle popolazioni locali, in molti casi con argomentazioni che hanno assecondato sentimenti di odio e razzismo resi sempre più facilmente espliciti.

Nel frattempo, la logica dell’emergenza ha continuato ad essere sistematicamente riprodotta con l’apertura di nuovi Cas e lo scarso ascolto da parte istituzionale delle denunce pubbliche, prese in considerazione solo in casi particolarmente gravi.

Questo sistema non è privo di conseguenze sulle persone che vi abitano e si muovono al suo interno, dai richiedenti asilo e beneficiari di protezione alle operatrici ed agli operatori che vi lavorano. Per i primi, frustrazione, isolamento, tempo sprecato, timore, soggezione, patologie fisiche e psichiche, esposizione allo sfruttamento lavorativo, scarsa conoscenza della lingua e della società italiana sono condizioni diffuse, anche se molteplici sono state le prese di parola diretta per rivendicare i propri diritti verso le istituzioni pubbliche in contesti sempre più ostili. Per i secondi, soprattutto a seguito della Legge Minniti-Orlando, sono state introdotte funzioni di controllo ancora più marcate di quelle vigenti in passato, che hanno messo in discussione in modo ulteriore le possibilità di costruire relazioni positive con le persone accolte.

Ad essere vigente è anche un razzismo istituzionale di secondo livello che riguarda i limiti incontrati per accedere in autonomia ai servizi sanitari e scolastici, le difficoltà per il riconoscimento dei titoli di studio e professionali, la scarsa presenza di personale addetto alla mediazione inter-culturale dentro e fuori i Centri di accoglienza. Tale razzismo esprime una visione del migrante come persona scarsamente capace di autonomia, priva di un passato e di un progetto e di risorse per il futuro, appena neonato nel contesto di arrivo, ridotto ad essere un im-migrato senza storia né biografia. Un figlio di nessuno. Un vuoto da riempire. Se non proprio un vuoto a perdere.

Nel sistema di accoglienza la continuità temporale che caratterizza e forma ogni biografia individuale viene messa da parte e, con essa, la ricchezza dei bisogni propria degli esseri umani. Ciò che muove il sistema di accoglienza è la necessità di rispondere ad un bisogno istituzionale di ordine, quello di collocare le persone da qualche parte. E ciò è coerente con il carattere emergenziale dell’accoglienza, volta soprattutto a non turbare l’ordine pubblico, disinteressata al fatto che le persone migranti siano state sottoposte ad una gestione privatistica, pensate, definite e governate come merci su cui guadagnare il più possibile.

La relazione concreta e quotidiana tra persone richiedenti asilo e rifugiate presenti nel sistema di accoglienza e le figure di prossimità di tale sistema (gestori e operatori) viene complicata in modo ulteriore da questo razzismo di secondo livello, che non facilita il rispetto reciproco, né la conoscenza.

È possibile, tuttavia, organizzare meglio l’accoglienza, come una serie di esperienze già dimostra. È necessario, per questo, andare oltre i Centri di accoglienza straordinaria, verso i quali persiste la necessità di continuare i monitoraggi, superando la gestione privatistica ed emergenziale delle politiche di accoglienza e, insieme, l’eccezionalismo secondo cui si definiscono e governano le persone richiedenti asilo e rifugiate. Per ottenere questo risultato è fondamentale investire complessivamente il sistema pubblico, a partire dall’introduzione strutturale dei mediatori culturali nel sistema, dalla garanzia del buon funzionamento dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, dall’accesso indipendente, senza tutori, alle strutture sanitarie e pubbliche e dalla diffusione del sistema Sprar nei comuni, insieme alla sperimentazione di forme di accoglienza sociale, ripensando, ad un livello più strutturale, le politiche pubbliche per la casa, ormai azzerate nel contesto nazionale da circa 30 anni. È a queste ultime, infatti, che bisogna guardare se si vuole superare per davvero il regime speciale a cui le persone richiedenti asilo e rifugiate sono state costrette, evitando di riprodurre l’esperienza dei foyer per lavoratori stranieri in Francia, considerati alloggi speciali per persone da tollerare, alloggi sobri per persone povere, alloggi educativi per «un occupante straniero che […] necessita di un’azione educativa”, la cui presenza è pensata e definita come fuori luogo e temporanea».

L’organizzazione di una diversa accoglienza, rispettosa dei diritti e delle biografie delle persone, richiede non solo un cambiamento nelle politiche dominanti, subordinate ai vincoli dell’austerità neoliberale, ma anche una rottura con i discorsi allarmistici e razzisti sulle migrazioni, un superamento dell’ideologia della sicurezza fisica che subordina quella sociale, un abbandono delle retoriche pietistiche sull’Africa, che cancellano la questione della guerra e dei più complessivi rapporti di forza attivi a livello globale e contribuiscono a condannare gli africani e le africane ad un destino ineluttabile di povertà e assistenza. Questa articolata rottura decolonizzante sul piano politico e dei discorsi è una condizione necessaria anche per superare il regime vigente delle migrazioni, giungendo ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari e di lavoro per tutti: una misura minima contro l’apartheid che si sta consolidando in Italia e in Europa, già al centro, tra l’altro, delle rivendicazioni delle mobilitazioni di una parte della popolazione migrante nel continente.

Gennaro Avallone
[Presentazione di Il sistema di accoglienza in Italia, Orthotes 2018]

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