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Maalouf, la cultura, l’Oriente e l’Occidente

Nel libro “Un mondo senza regole” dello scrittore Amin Maalouf (Bompiani, 2009), si analizza l’attuale processo storico globalizzato e la lenta trasformazione della civiltà islamica.

 

La società di oggi sta vivendo una crisi morale e una rapida trasformazione sociale dettata dalle tecnologie e l’universo arabo sembra ancora ripiegato su se stesso. Ma tra non molto tempo, alcuni leader politici e spirituali di vari paesi del medio oriente potrebbero ritrovarsi nel bel mezzo di una crisi di legittimità. “La legittimità è ciò che permette ai popoli e agli individui di accettare, senza eccessiva costrizione, l’autorità di una istituzione, impersonata da uomini e considerata come portatrice di valori condivisi. Alcune legittimità sono più stabili di altre, ma nessuna è immutabile; si può guadagnare in legittimità, o perdere, a seconda della propria abilità, o a seconda delle circostanze. Si potrebbe anche raccontare la storia di tutte le società umane al ritmo delle crisi di legittimità” (p. 101): quelle religiose, dinastiche, ideologiche, politiche, ecc.

Così “Per ogni società, l’assenza di legittimità è una forma di imponderabilità che sconvolge tutti i comportamenti. Quando nessuna autorità, nessuna istituzione, nessuna personalità può vantarsi di una reale credibilità morale, quando gli uomini arrivano a credere che il mondo sia una giungla in cui regna la legge del più forte e in cui tutti i colpi sono permessi, non si può che andare alla deriva verso la violenza omicida, la tirannia e il caos. Di conseguenza, la disgregazione della legittimità nel mondo arabo non può essere considerata come un vago tema di riflessione per gli specialisti… nell’era della globalizzazione nessuno squilibrio rimane strettamente locale” (p. 179).

Comunque dopo l’affronto della vittoria ebraica del 1948 e quella della “guerra dei Sei Giorni” del 1967, dove Israele da sola vinceva contro tutte le nazioni arabe vicine ben più popolose, il mondo arabo ha coltivato un odio profondo. Gli arabi “hanno la sensazione che tutto ciò che costituisce la loro identità sia odiato e disprezzato dal resto del mondo; e, fatto ancora più grave, qualcosa in loro li induce a pensare che questo odio e questo disprezzo non siano completamente ingiustificati. Questo duplice odio (del mondo e di se stessi) spiega in larga parte i comportamenti distruttivi e autodistruttivi che caratterizzano il nostro inizio di secolo” (p.161).

Inoltre, per quanto riguarda la moderna convivenza metropolitana, secondo lo scrittore francese di origine libanese non si favorisce la civiltà umana limitando l’attività sociale degli immigrati alle comunità etniche o nazionali, ma bisogna favorire l’assimilazione e l’attivazione di identità multiple. Per quanto riguarda l’appartenenza linguistica non ci sono problemi: “ogni essere umano ha la vocazione a riunire in sé parecchie tradizioni linguistiche e culturali”(p. 252), ma purtroppo l’appartenenza religiosa è esclusiva e può creare il fenomeno delle “comunità incivili” rinchiuse in se stesse. Le religioni offrono un’identità certa, ben definita e durevole. E molti paesi del mondo islamico non riescono ancora a separare le concezioni religiose dalle azioni politiche e a riconsiderare e reinterpretare le tradizioni tribali che limitano i diritti del sesso femminile, e le innumerevoli scritture religiose aggiunte al Corano da uomini anziani, dopo la morte di Maometto.

Infatti la “tendenza a considerare l’Altro solo attraverso la sua specificità religiosa o etnica, questa abitudine di pensiero che rimanda gli individui venuti da altrove alle loro appartenenza tradizionali, questa infermità mentale che impedisce di vedere la persona al di là del suo colore, della sua appartenenza, del suo accento, o del suo nome, caratterizzano tutte le società umane fin dai loro albori. Ma nel “villaggio globale” di oggi, un simile atteggiamento non è più tollerabile, perché compromette la possibilità di coesistenza in seno a ogni paese, a ogni città, e prepara per l’intera umanità irreparabili lacerazioni e un futuro di violenza” (p. 228).

“Superare i propri pregiudizi e le proprie avversioni non è iscritto nella natura umana. Accettare l’altro è naturale quanto rifiutarlo. Riconciliare, riunire, adottare, ammansire, pacificare sono gesti volontari, gesti di civiltà che esigono lucidità e perseveranza; gesti che si acquisiscono, che si insegnano, che si coltivano. Insegnare agli uomini a vivere insieme è una lunga battaglia che ha bisogno di una riflessione serena, una pedagogia abile, una legislazione appropriata e istituzioni adeguate… affinché un giorno nasca, partendo dalle numerose patrie etniche, una patria etica”.

Infine riporto alcuni deliziosi aforismi ripescati tra le righe: “I sapienti sono gli eredi dei profeti; Cercate il sapere fino in Cina se è necessario; L’inchiostro del sapiente è migliore del sangue del martire; Studiate, dalla culla alla tomba!; Il migliore degli uomini è il più utile agli uomini” (Maometto). Il mondo va avanti solo grazie al respiro dei bambini che studiano (Talmud).

 

Amin Maalouf è uno scrittore nato e cresciuto in Libano che ha vinto il Premio Goncourt (1993), il Premio Nonino (1999) e il Prix Méditerranée (2004). Nel 2011 è diventato membro dell’Accademia Francese. La sua identità culturale si può definire così: è un ex giornalista e un intellettuale cristiano e francofono di lingua madre araba.

 

Per approfondimenti video: https://www.youtube.com/watch?v=miTiJyFcUIs (le diverse identità culturali, 2008); www.youtube.com/watch?v=QWvFozptns4 (2012); www.youtube.com/watch?v=-8qVDZoYjSA (2012).

 

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