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Lo sfottò alla mafia e quelle sedie vuote

Ieri è andato in scena ad Alcamo “Do ut des”, lo spettacolo di Giulio Cavalli che dissacra e prende in giro la mafia ed i rituali che designano l’entrata nella famigghia dell’aspirante picciotto. Una serata strana, per tante ragioni. Un ometto viene giù dal nord per parlare alla Sicilia di mafia. Lo fa con forza, ironia e senza fermarsi davanti alle intimidazioni ricevute in seguito alla prima andata in scena poco tempo fa a Milano.

Dopo quella serata per Giulio forse qualcosa è cambiata. La consapevolezza che la distanza a volte si annienta e l’azione di ognuno di noi, può avere una forza così dirompente da arrivare ovunque, nel bene e nel male.
Torniamo ad Alcamo.
Le sedie rosse, sistemate dagli operai del Comune, sono tutte piene, lo spettacolo sta per cominciare. Il grande mixer fa da sparti acque tra la zona pubblico e la platea riservata alle autorità.
Un distacco voluto e inopportuno.
Giulio entra in scena, il pubblico è curioso, a tratti perplesso, dato che non ha la benchè minima idea di ciò cui sta per assistere. A volte ci si sdoppia e la realtà diventa un film da osservare per capirne il contenuto. La gente guarda il palco con il suo protagonista che intanto inizia a raccontare. Per chi scrive è strana ed incontrollabile la voglia di osservare il pubblico per coglierne reazioni ed umori.
Reazioni che arrivano, non proprio inaspettate, dopo pochissimo. Quando la parola mafia comincia a diventare troppo presente e soprattutto quando diventa chiaro che ad essere sfottuti sono sopratutto i vertici di Cosa Nostra, i padrini, con i loro errori grammaticali, con i “pizzini” spesso esilaranti, con i rituali grotteschi che dominano l’organizzazione, succede che le sedie cominciano a liberarsi, frotte di persone, forse infastidite o intimidite o meno probabilmente annoiate, vanno via, lasciando ampie parti di platea vuote.


Lo spettacolo va avanti, tutto procede secondo il copione puro frutto della realtà, cui si aggiunge l’immagine torbida di qualche sedia vuota che lascia spazio all’indifferenza e alla cultura che ben conosciamo del “rispetto dovuto”, nei confronti di chi “conta”.
Al termine, la gente rimasta ad assistere si può davvero contare, tra questi diversi sono turisti provenienti dal nord Italia. E già questo è significativo. Non ci sono grandi applausi né durante la serata e tantomeno alla fine. Il saluto più caloroso che il pubblico ha rivolto ai protagonisti sarà durato 10 secondi. Tutto questo non è imputabile alla qualità dello spettacolo, che risulta davvero eccezionale ed unico nel suo genere, coraggioso, pungente, ma ad altri fattori, che speriamo siano stati colti tra le righe di questo racconto. D’altra parte, come spesso accade, l’antimafia attiva e l’azione di contrasto alla criminalità mafiosa, sono cose demandate a pochi uomini, chiamati erroneamente eroi, ma che in realtà sono solo più uomini degli altri, e quando tocca a noi scendere in campo e dimostrare concretamente che vogliamo cambiare e liberarci, anche rimanendo seduti a ridere di quelli che fino ad oggi sono stati i nostri aguzzini, improvvisamente ricordiamo che è meglio farsi gli affari propri e chiudere porte e finestre, per non vedere e non sentire. Forse domani sarà diverso, ma oggi, purtroppo, per la maggior parte di noi è ancora così.

foto di copertina Maura Pazzi.


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