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Le riflessioni di Vandana Shiva sulla sovranità economica

Giuseppe Gagliano torna sull’Osservatorio per recensire l’ultimo libro di Vandana Shiva. Buona lettura!

Anche in questo saggio – “Il pianeta di tutti. Come il capitalismo ha colonizzato la terra (Feltrinelli 2020)” – Vandana Shiva ribadisce quelli che sono i temi più cari della sua riflessione di questi ultimi vent’anni: la critica impietosa alla globalizzazione neoliberista che la accomuna non solo alla riflessione del movimento alter global ma anche a quelle di Luciano Gallino, Noam Chomsky e Zinn di cui abbiamo diffusamente parlato su queste pagine; la coraggiosa difesa della sovranità economica ed alimentare dell’India nei confronti della volontà rapace delle Corporation del Bíotech americane e soprattutto la necessità di applicare concretamente gli insegnamenti di Gandhi per opporsi alla egemonia delle multinazionali e dei fondi di investimento americani che stanno distruggendo l’economia indiana.

Un altro aspetto che emerge prepotentemente nel nuovo saggio di Shiva sono le critiche alla scienza e alla tecnica occidentale certamente attenuate rispetto alle opere precedenti ma che tuttavia non mancano. Critiche queste che certamente inducono il lettore ad una confusione estremamente pericolosa dal punto di vista metodologico: un conto è infatti l’uso che della scienza e della tecnica è stato fatto dal capitalismo un altro conto è la forma mentis che la scienza e la tecnica hanno posto in essere nel campo delle scienze naturali, approccio che Shiva considera pericoloso. Il rifiuto della mentalità scientifica da parte dell’autrice determina in questa opera, ma soprattutto nelle precedenti, una inquietante continuità con le riflessioni di autori come Heidegger.

Ma veniamo adesso ai contenuti specifici di questo nuovo saggio.

In primo luogo, la globalizzazione delle Corporation, insieme ai programmi di aggiustamento strutturale promossi dalla Banca mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, hanno portato alla deregolamentazione dei mercati finanziari in un gran numero di paesi. Ma la globalizzazione ha portato anche ad una significativa internazionalizzazione dei mercati finanziari e all’integrazione del mondo in un unico sistema finanziario. Ieri Morgan e Rockfeller oggi Bill Gates e Warenn Buffett insieme a Mark Zuckenberg sono i nuovi super ricchi, i nuovi predatori. Allora come oggi i super ricchi usavano i governi per scrivere leggi e regole tali da consentire loro di accumulare ricchezze illimitate; allora come oggi la strategia per entrare a far parte di questo 1% consiste nella creazione di monopoli. L’autrice, dopo aver analizzato gli investimenti fatti da Bill Gates e soci nella Gates Foundation trust e dopo aver sottolineato la presenza di Bill Gates come consigliere d’amministrazione della Berkshire Hathaway, ricorda come Buffett abbia accumulato l’attuale ricchezza attraverso la Government Employees Insurance company con la quale ha venduto assicurazioni ai dipendenti pubblici. 

In secondo luogo, un altro strumento rilevante nella globalizzazione capitalistica è certamente il Vanguard group e cioè i fondi di investimento. Trattasi di un vero e proprio gestore di risparmi specializzato nella vendita di fondi indicizzati che amministra al momento patrimoni il cui valore è pari all’intero settore degli hedge funds. Infatti nel 2018 il patrimonio gestito da questo fondo superava i 5000 miliardi di dollari. È significativo che questo fondo sia presente in alcune delle principali corporation americane e fra queste la Apple, la Microsoft, la General elettric, Facebook, Amazon, Chevron, Coca-Cola, Pepsi Cola, AT&T, etc.

La seconda parte delle riflessioni dell’autrice è relativa a Monsanto e a Bayer: entrambe queste grandi Corporation hanno prodotto esplosivi e gas letali, cooperando sul piano tecnologico e facendo business con entrambe le parti durante la seconda guerra mondiale (pag.66). Di estremo interesse il fatto che nel 1954 sia Monsanto che Bayer siglarono una joint-venture creando Mobay che, fra le altre cose, fornì ingredienti per l’Agente Arancio durante la guerra del Vietnam. Non dimentichiamoci inoltre che le due aziende grazie alla loro collaborazione hanno anche sviluppato e brevettato la resistenza all’Agente Arancio. Infine è significativo che l’industria dei pesticidi e quelle delle biotecnologie siano ormai un numero ristrettissimo di multinazionali e cioè la BAsf, la Bayer, la DuPont, la Dow Chemical company, la Monsanto e la Syngenta.

Inoltre, attraverso operazioni di acquisizione iniziate nel 2018, il 70% di tutta l’industria agrochimica del mondo finirà per trovarsi nelle mani sostanzialmente di tre sole compagnie e attraverso accordi di sfruttamento congiunto dei brevetti il loro potere di condizionamento nei confronti dei governi aumenterà in modo rilevante. Non a caso i principali investitori dell’industria Bíotech sono propri i fondi di investimento e queste fusioni tra le multinazionali sono – sottolinea l’autrice – come il gioco delle sedie musicali organizzato dai veri proprietari ossia dai fondi di investimento come Vanguard o Blackrock con due finalità: espandere i mercati e ridurre le loro responsabilità di carattere legale. Sia le corporation del Bíotech sia i fondi di investimento costituiscono per l’autrice un pericolo non solo per la sovranità economica dell’India ma soprattutto per la democrazia: proprio per questo è necessario costruire movimenti dal basso per ostacolare il crescente controllo delle Corporation sulle sementi rafforzando il concetto di libertà e sovranità sulle sementi e nel contempo quello di libertà e sovranità alimentare attraverso tecniche mutuate da Gandhi cioè attraverso l’uso della disubbidienza civile (pag.73). 

Al di là delle osservazione fortemente critiche da parte dell’autrice nei confronti della ingegneria genetica e al di là della difesa che l’autrice compie nei confronti della epigenetica e della agroecologia interpretate come le uniche alternative all’ingegneria genetica, l’autrice ricorda ai lettori distratti che negli Stati Uniti contro l’OGM Roundup della Monsanto sono state intentate numerose cause dal momento che chi ne ha fatto uso è stato affetto anche dal linfoma non Hodgkin. Parliamo, dice l’autrice, di più di 100 denunce che sono sfociate in una causa multi-distrettuale intentata presso il tribunale federale di San Francisco e California mentre istanze della stessa natura sono state presentate anche nel Delaware e in Arizona. A conferma della legittimità di queste denunce sono poi arrivati i Monsanto papers che hanno rivelato non solo come l’azienda fosse al corrente delle implicazioni cancerogene dello OGM di cui sopra ma di come abbia diffamato gli scienziati firmatari della ricerca che confermavano le implicazioni cancerogene dello OGM e infine di come abbia pagato scienziati e giornalisti perché facessero propagando a suo favore.

A tale proposito pensiamo allo scandalo del giornalista di Forbes Henry Miller il cui articolo sulla nota rivista americana in difesa di Monsanto era stato scritto e pagato dalla stessa azienda. Un altro aspetto, che opportunamente l’autrice sottolinea, che non possiamo non definire inquietante è quello relativo all’acquisizione da parte della Monsanto di una delle più grandi società di raccolta di dati sul clima e cioè la Climate Corporation per 1 miliardo di dollari nel 2013. La Climate corporation non fornisce agli agricoltori una migliore comprensione del ruolo dell’agricoltura industriale ma fornisce certamente un maggiore profitto alla Monsanto. Un altro inquietante intreccio rivelato dall’autrice è quello tra il fondatore di Facebook e una corporation indiana Reliance Industries che ha acquistato terra dal governo indiano per installare ripetitori per la telefonia mobile in zone rurali sottraendo in questo modo terra agli agricoltori per creare zone economiche speciali. Analogamente il legame tra la Monsanto e Facebook nonostante sia noto non è meno inquietante: infatti quasi tutti i 12 principali investitori della multinazionale delle sementi figurano anche tra i principali investitori in Facebook e tra questi il noto Vanguard group.

La logica egemonica delle Corporation americane si è tuttavia manifestata, o meglio palesata, in tutta la sua rapacità nell’iniziativa nota come One agriculture, One science che pretende di affermare un unico modello in campo agricolo indipendentemente dai climi, dagli ecosistemi e dalle culture differenti. D’altronde iniziative analoghe ci sono anche in Africa: la volontà di imporre un’agricoltura dipendente da prodotti chimici e combustibili fossili e anche dall’uso di OGM si è manifestata attraverso l’alleanza per la rivoluzione verde in Africa non a caso fondata sulla sinergia tra la Rockfeller Foundation e la Gates Foundation. Secondo l’autrice si tratta di un tentativo di intrappolare: “gli agricoltori africani nella dipendenza dei combustibili fossi lì, che andrebbero lasciati nel sottosuolo, e da Monsanto per la fornitura di sementi e di prodotti petrolchimici” (pag.105).

E proprio riguardo alla rivoluzione verde questa non è forse stata imposta in India dal governo americano attraverso il contributo della Rockfeller Foundation? La risposta della Shiva non può che essere scontata. Di fronte a questa drammatica situazione è significativo il commento fatto dall’autrice: “nel mondo dell’1%, i governi sono un’estensione del grande capitale, sono i suoi piazzisti“ (pag.105). Come se non bastasse l’avidità delle corporation si è ormai da tempo rivolta al genoma umano come dimostra il progetto globale lanciato nel 2015 e noto come Diversity Seek con lo scopo di mappare il genoma delle sementi sviluppate dai contadini e conservate da loro nelle banche delle sementi: si tratta ovviamente di un progetto estrattivo che punta a sfruttare i dati relativi alle sementi per questioni di profitto. Ancora una volta un ruolo determinante è rappresentato da Bill Gates e in modo particolare dalla Gates Foundation che sovvenziona uno dei partner di questo progetto e cioè l’African Agricoltural Technology Foundation. Tutte queste operazioni hanno una semplice finalità: porre in essere un vero e proprio colonialismo genetico attraverso una privatizzazione dei beni comuni.

Un altro strumento attraverso il quale le corporation stanno di fatto privando l’India della sua autonomia economica è certamente l’economia digitale che determina il divieto dei contanti: questa scelta implica che i cittadini abbiano uno smartphone e una carta di credito ma queste tecnologie non sono così diffuse in India come in Europa. Ebbene la demonetizzazione introdotta nel 2016 è stato l’ennesimo tentativo da parte delle multinazionali per appropriarsi della ricchezza degli indiani mettendoli al riparo di una chiave crittografica e chiudendo da un giorno all’altro i rubinetti del denaro per l’economia reale. Sfortunatamente, sottolinea l’autrice, il 90% dell’India funziona ancora per mezzo dei contanti. Ora ritirando l’86% di tutti i contanti da un giorno all’altro e dichiarandoli illegali il danno inflitto alla maggioranza dei comuni cittadini indiani è stato enorme. Ma chi sono le Corporation che hanno promosso una iniziativa di questo genere? Ancora una volta la Gates Foundation, la Dell Foundation, MasterCard e Visa. Non dobbiamo infatti dimenticare che nel mondo digitale coloro che controllano gli scambi-sottolinea l’autrice-attraverso reti digitali e finanziare ricavano sempre un profitto da ognuno dei numerosi passaggi che vengono fatti per attuare le transazioni. In questo modo l’economia digitale ha creato una vera e propria classe dei miliardari dell’1%.

Quale è l’unica alternativa percorribile sul piano politico per opporsi a logiche di questa natura? In primo luogo è indubbio che il dominio dell’1% sia una vera e propria dittatura poiché distrugge le libertà fondamentali e la libertà di evolversi di tutti gli esseri viventi; perché distrugge il nostro essere sociale, le nostre comunità e i nostri beni comuni, attraverso la privatizzazione. In secondo luogo siamo di fronte a un nuovo modello di colonizzazione fondato anche questo sulla violenza, sulla distruzione della libertà dell’economia dei popoli attraverso l’appropriazione indebita e attraverso la riscossione di rendite ingiuste. Ma a differenza del passato possiamo addirittura affermare che le catene della illiberalità – sottolinea la Shiva – sono integrate a livello globale poiché controllano ogni dimensione della nostra vita attraverso un sistema consolidato, concepito dal capitalismo. Solo l’auto organizzazione, l’autogoverno, l’autosufficienza e la creazione di economie locali attraverso la disubbidienza civile – come ha dimostrato la prassi non violenta della stessa autrice durante vent’anni in India – sono le uniche alternative percorribili per opporsi ai nuovi predatori.

Foto di Thomas G. da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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