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Le orchidee: un viaggio attraverso l’arte e la letteratura

Le orchidee, poiché sono una famiglia vastissima, eterogenea e largamente diffusa, sono entrate in molti modi nella vita dell’essere umano. Lo fecero anticamente le specie europee ed orientali i cui tuberi vennero utilizzati da tempi memorabili in medicina, e per confezionare prodotti alimentari. In seguito ed in circostanze varie, queste piante hanno fatto il loro ingresso nelle arti magiche e nei riti religiosi. In tempi moderni in Occidente, hanno trovato posto nella letteratura, nell’arte, nella vita di società, nel cinema.

Tutto questo ha portato loro un’immagine artificiale che è rimasta inalterata nel tempo sin nei giorni nostri. Si tratta sicuramente di un aspetto assai poco considerato, poiché la maggior parte degli orchidofili si ferma, molto spesso, alla sola conoscenza sulla coltivazione. Tutto il resto, la lunga e complessa storia delle orchidee, dopo essere venute a contatto con l’uomo conta poco, ma il ruolo di queste piante nella vita umana, ed i valori che hanno rappresentato, sono assai importanti e svelano aspetti a noi sconosciuti che non avremmo mai saputo, potessero esistere.

Nell’ambito letterario in Oriente, per esempio, le orchidee sono sempre apparse nei testi letterari, in Occidente invece la loro comparsa è rimasta ai margini delle letteratura, come spettatrici di un mondo a loro sconosciuto, e le rare volte in cui sono apparse sono confinate per lo più al mero settore farmacologico. Quando infine le specie esotiche, sono entrate con prepotenza nel mondo occidentale, si era ormai alla fine del settecento, troppo tardi ormai per determinare la storia della letteratura. Tuttavia un rapido “excursus” ci permetterà di rintracciare le composizioni che ospitano orchidee.
 
Sembra ormai certo che alcune delle piante presenti nel bouquet di erbe e fiori della folle Ofelia, altro non fossero che orchidee. Nell’Amleto shakespeariano la regina, annunciando l’avvenuta morte della giovane, la descrive nei suoi ultimi istanti, quando avvolta dalle nebbie del delirio, si incammina cantando verso il ruscello che la trascinerà via. Reca con sé curiose ghirlande composte di ranuncoli, ortiche, margherite e “fiori purpurei” cui gli sboccati pastori danno un nome triviale, mentre le caste fanciulle le chiamano “dita di morto”. È assai probabile che si trattasse di orchidee, certamente conosciute dai contadini con termini scurrili. 
 
Le orchidee attirano anche l’attenzione di John Ruskin, grande intellettuale inglese dell’ottocento, che portò avanti con fervore una crociata al bisogno di bellezza, che in un mondo il cui grigio squallore della civiltà industriale minacciava di sommergere. Insieme all’arte, che lui considerava un mezzo per innalzare vita spirituale, i fiori divennero la maggiore espressione della bellezza divina, tanto da combattere con forza le teorie sulla sessualità delle piante. 
 
Queste premesse, di certo non erano favorevoli alle orchidee, le cui specie esotiche erano rifiutate in blocco. Ma nella seconda metà dell’Ottocento e verso la fine del secolo, il naturalismo delle fresche foreste tropicali stava sbiadendo in favore di sensazioni ben più "forti": la passione sensuale, l’erotismo, la decadenza.
 
Per mezzo di uomini come Ruskin i fiori, i nome della loro purezza, entrarono sempre di più nel campo artistico e letterario, ma solo quelli "innocenti" quali il giglio, l’iris, le rose, o quelli delle campagne. Non è un caso che sia proprio Oscar Wilde ad essere stato assunto come simbolo dell’orchidea.
 
La lunga anticamera delle orchidee esotiche volge al termine ed il loro ingesso sulla scena letteraria occidentale avviene con l’autore che più di tutti ne rimase affascinato, Marcel Proust.
 
Forse per questo aspetto decisamente appariscente, quell’aria effimera e sensuale, per quell'essere frivolo e contemplativo al tempo stesso, questo misterioso fiore non poteva che insinuarsi con facilità fra le pagine culturali e letterarie, e rimanervi resistendo alla volubilità delle mode anche ai giorni nostri.

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