• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Politica > Lavoratori italiani stretti nella morsa

Lavoratori italiani stretti nella morsa


Mesi or sono, la premiata ditta Elkann-Marchionne, nel presentare il progetto “Fabbrica Italia” dimostrarono le loro intenzioni di voler costruire più veicoli Fiat in Italia ed esportare il talento tricolore nel mondo. Nulla si rivela oggi più falso, si erano già avute le avvisaglie di "trasloco" in Serbia, il referendum farsa (con annessi e connessi) di Pomigliano (in contrasto coi punti firmati nel contratto nazionale), la previsione di altri tagli a fabbriche italiane ed ora dulcis in fundo l’attacco di Melfi. La FIAT, come la maggior parte delle industrie italiane che ne hanno le potenzialità, sta spostando la produzione il più possibile possibile all’estero e sta tentando di "strozzare" al massimo i diritti e le necessità dei dipendenti che lavorano in patria, chiedendo sempre più velocità e presenza sul lavoro, riducendone, se possibile il salario... Vuole abbattere il costo del lavoro erodendo poco per volta i diritti acquisiti. Come già successo spesso, il gruppo torinese fa da apripista, la vicenda di Melfi va oltre il conflitto interno di una fabbrica, è il proseguio di una strategia che tende ad imporre la propria legge su tutto e tutti. In questi anni ci stiamo trovando davanti ad una classe dirigente senza onore: davanti ai diritti acquisiti e sacrosanti dei lavoratori si erge un modello di società che sempre più fa della ingiustizia e della negazioni dei diritti stessi il proprio carattere distintivo. Oggi, come ha affermato Marco Revelli, si consuma non solo un aspro conflitto sociale, ma anche una "questione morale"; ogni cittadino, ogni contribuente, ogni movimento politico che si rispetti, oggi deve chiedere di bloccare ogni finanziamento in corso e futuro, a favore della Fiat e di ogni altra azienda che segua queste strategie, strategie che tendono abbattere il costo del lavoro erodendo, poco per volta, i diritti acquisiti. Non sono un grande esperto del settore, anzi tutt’altro, ma la strategia, ritengo sia nata nell’ormai lontano ’97, quando viene varata la legge 196/97, meglio conosciuta come “Legge Treu” (bissata e inasprita dalla legge 30/2003, ossia l’ormai famosissima Legge Biagi), che introduce in Italia il lavoro temporaneo ed elenca le situazioni in cui il suddetto lavoro diventa a tempo indeterminato, a totale discrezione di una sola parte in causa e sotto il rischio di ricattucci e vessazioni. 
 
Vengono con essa varati i contratti interinali, di natura temporanea, all’azienda poi di assumere o meno il lavoratore, a volte sì, altre invece si viene comodamente accompagnati fuori dalla porta. La legge prevedeva anche l’introduzione a larga scala del lavoro part-time, si narrava avrebbe donato al lavoratore maggiore flessibilità, in realtà del vantaggio si giovano le aziende che avranno maggiore flessibilità nel gestire il personale, si lavora a metà perché costa di meno.

Oggi i risultati li abbiamo sottomano, ultimo caso quello dei lavoratori della cooperativa Papavero, impiegati nel carico e scarico delle merci, presso la Gls di Cerro al Lambro (Milano), li è capitato che qualcuno abbia lavorato sempre nello stesso posto ma per tre padroni diversi, tre cooperative che nel corso degli anni hanno gestito la manodopera, circa 90 persone tutte straniere. Il loro tentativo di chiedere diritti "elementari" quali straordinari pagati, tredicesima e quattordicesima, carichi di lavoro sopportabili, un contratto e regole chiare, sicurezza sul lavoro, il corretto pagamento delle imposte e dei contributi da parte del datore di lavoro si è scontrato prima con le manganellate, poi col licenziamento. La storia di questi eritrei non è un caso isolato, è il risultato delle leggi sull’immigrazione e sul lavoro di questi ultimi anni, varate da governi di destra e sinistra. Mai denunciate ad alta voce dalla "Triplice" dei sindacati, un misto di razzismo e sfruttamento del lavoro molto comune, sfruttato al meglio da molte aziende per scaricare rischi, tasse e costi della manodopera. Un giro che spesso non viene adeguatamente denunciato dai sindacati maggiori.

Sarà bene che ogni lavoratore stia molto attento e cominci a agitarsi in difesa dei propri diritti, non esclusi i "titolari di partita IVA", falcidiati (nel numero, nei guadagni e nei rapporti coi committenti delle loro commesse) anch’essi negli anni da questo modo di gestire le strategie di produzione.

 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares