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La svolta di Berlusconi

Dopo la batosta elettorale niente può rimanere come prima, la maggioranza è costretta a cambiare linea politica.

Le imprese hanno abbandonato il PDL e La Lega.

L’industriale Bassetti fa campagna elettorale per il comunista Pisapia, l’industriale Amato fa campagna elettorale per la toga rossa De Magistris.

La Confindustria da qualche tempo lamenta l’assenza di una politica industriale e segnala l’esigenza di riforme per la crescita della nostra economia. Dunque una presa di distanza dell’impresa dal governo e dalla maggioranza, contrassegnata anche da atteggiamenti minacciosi. E’ significativa, in tal senso, la marcia di 2500 imprenditori di Treviso, contro la politica economica del governo.

La politica degli annunci non funziona più.

E tutto ciò preoccupa gli ambienti più esperti del PDL.

Diventa sempre più urgente per la maggioranza, recuperare i voti moderati e il rapporto con CONFINDUSTRIA .

 E così Ferrara dalle pagine del foglio e dalla tribuna di Radio Londra ,"invoca un piano B” articolato in due punti:

- un processo di riforme e quindi, il ritorno ad una politica che affronti i problemi del Paese;

- l’abbandono della politica di aggressione contro i magistrati e l’avversario politico, slegata dalle tematiche economiche e sociali.

Su questa linea si collocano i maggiori esponenti del PDL.

E la Lega? che farà la Lega? Seguirà l’alleato in questa mutazione strategica, oppure si tirerà fuori, per fare il battitore libero, per ritornare alla politica movimentista?

La Lega, per il momento, non pensa allo strappo da Berlusconi, continuerà con questa alleanza e con questo governo. Il partito di Bossi chiede una riforma del welfare e del fisco collegata al federalismo fiscale. Le dichiarazioni Di Maroni e di Calderoli, sembrano confermare questa linea. Il movimentismo è un vago ricordo, uno specchietto per le allodole, che si esprime solo sul versante dell’immigrazione e del secessionismo.

Le richieste della Lega e della Confindustria non possono essere eluse.

La scelta sembra dunque obbligata: ristabilire un rapporto privilegiato con Confindustria. Ma quale Confindustria, quella convinta che la globalizzazione si affronta con l’esasperazione della liberta di impresa e con la riduzione del costo del lavoro, o quella che propende per un rapporto più equilibrato tra impresa e lavoratori? La Confindustria di Marchionne o di Romiti?

La risposta di Berlusconi a questi interrogativi è facilmente intuibile.

Ci sono due modi per venire incontro alla Confindustria: soldi oppure leggi di favore. La maggioranza potrebbe varare una politica di riduzione del carico fiscale, oppure una legislazione per dare mano libera all’impresa nella fabbrica.

Le risorse finanziarie sono difficili da reperire, anche per il varo di una manovra correttiva di 40 miliardi di euro. Per queste ragioni, la riduzione delle tasse sarà, necessariamente, di entità limitata. Sarà dunque privilegiata la legislazione di favore per le imprese.

Del resto qualche riflessione in tal senso era già stata fatta ai tempi della vertenza di Pomigliano:

la riforma dell’art 41 della costituzione, proposta da Tremonti, per assicurare un potere assoluto dell’imprenditore in fabbrica e una restrizione dei diritti del lavoratori;

l’ipotesi di modifica dell’art 1 proposta da Brunetta, per cancellare la centralità del lavoro nel nostro sistema democratico;

l’attivismo di Sacconi contro l’unità sindacale.

Tutto ciò lascia prevedere, con buona approssimazione, quale sarà la politica del cavaliere per l’industria:

il passaggio da un radicalismo slegato dai fatti, e piegato sui suoi interessi processuali, a un radicalismo legato agli interessi dell’ala rampante della Confindustria.

 

 

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