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La magica finanziaria di Matteo Ponzi

Su lavoce.info, il professor Francesco Daveri analizza i tagli d’imposta della legge di Stabilità 2016, e giunge a conclusioni analoghe alle nostre (non era difficilissimo, comunque), cioè che essenzialmente trattasi di gioco di prestigio, dove i tagli di tasse sono fittizi mentre l’aumento di deficit è reale.

Il punto, ancora una volta, è la distinzione tra lordo e netto, che è ormai la cifra stilistica di questo esecutivo. Qui parliamo di riduzione dell’imposizione, in presenza della clausola di salvaguardia che è stata “disinnescata” per il 2016 semplicemente facendo deficit, e che nel 2017 tornerà a bussare alla nostra porta. Un espediente finanche banale, dopo tutto, nella descrizione di Daveri:

«Il calo di entrate per 19,8 miliardi è infatti calcolato rispetto alla legislazione vigente che include lo scatto delle clausole di salvaguardia, cioè degli aumenti di Iva (per 2 punti percentuali) e altre accise sui carburanti per un totale di 16,8 miliardi a partire dal primo gennaio 2016. Tali incrementi di imposta – introdotti da finanziarie precedenti per far quadrare i conti degli anni passati – saranno cancellati se la legge di stabilità sarà approvata»

E sin qui ci siamo: è quello che vi dicevamo ieri, con la piccola precisazione che questi “incrementi d’imposta introdotti da finanziarie precedenti” sono quasi tutti Made in Renzi. Ma questo enorme calo di imposte impatterà sulla fiducia delle famiglie, inducendole a fiondarsi a fare acquisti, no? Parola sempre a Daveri, visto che il vostro titolare soffre notoriamente di pregiudizi ed inimicizie che ne obnubilano la capacità di analisi:

«Ma, val la pena di ricordarlo, l’eliminazione delle clausole di salvaguardia è un pericolo scampato, non una riduzione di imposte in essere. Difficile credere che qualcuno abbia anticipato al 2015 l’acquisto di un bene durevole per non pagare l’Iva aumentata nel 2016. Ugualmente improbabile che la cancellazione di un aumento di imposta non ancora contabilizzato nei piani delle famiglie possa indurle a consumare di più nel 2016. Insomma, i 16,8 miliardi di minori entrate dal disinnesco delle salvaguardie sono poco espansivi. Ma se dai 19,8 miliardi si sottraggono i 16,8 miliardi delle clausole di salvaguardia, i veri tagli di tasse si riducono a tre miliardi, cioè a un modesto 0,2 per cento del Pil»

Ancora una volta, ribadiamolo, siamo di fronte a grancassa, trombe e fischietti su un dato lordo, esattamente come accaduto lo scorso anno per gli 80 euro. Ma lì, ci hanno detto, il “problema” era l’appostamento a bilancio di quei dieci miliardi, come spesa per prestazioni sociali anziché riduzione di entrate, giusto? Per fortuna ora stiamo lavorando con Eurostat per far spostare la posta di bilancio dove le compete, e quindi esporre il calo di entrate in tutta la sua magnificenza. Premesso che avremmo molti dubbi sul fatto che Eurostat accetterà questo spostamento resta il fatto che, anche in questa ipotesi, serve una copertura, possibilmente non a deficit.

Ma questi benedetti italiani, rimbecilliti di buone notizie, capiranno la sostanza della questione? Sempre Daveri, che appare ottimista sulla capacità di discernimento dei nostri connazionali, grassetto nostro:

«Peraltro, il pericolo per ora non è veramente scampato ma rinviato al futuro, come si capisce dai 14,6 miliardi di “flessibilità Ue” (cioè di maggiore deficit) che compaiono tra le risorse impiegate per finanziare gli impegni. Il disinnesco con rinvio delle clausole di salvaguardia (anziché con minori spese “vere” o maggiori entrate “vere”) porta a chiedersi se queste non siano altro che una pura finzione contabile. Se sì, giustamente gli italiani non le prendono sul serio. Avanti di questo passo, però, oltre agli italiani, un giorno anche la Ue e i mercati potrebbero smettere di prendere sul serio questi impegni a scadenza, crescenti di anno in anno e disattivati nell’anno successivo. Le conseguenze sarebbero facilmente misurabili: una procedura per disavanzo eccessivo da parte di Bruxelles o un aumento dello spread sui titoli pubblici italiani da parte dei mercati»

Giudizio piuttosto severo e non dissimile da quelli spesso espressi su questi pixel dal vostro titolare, che Daveri definisce simpaticamente “nichilista di talento”. E oggi abbiamo anche un altro noto gufo, Federico Fubini, che sul Corriere scrive:

«Oggi a Bruxelles il governo chiede di poter spendere 3,3 miliardi in più per i migranti nel 2016, ma sa che il problema di fondo è dieci volte più grande: “clausole di salvaguardia” (cioè aumenti automatici dell’Iva e delle accise) per 34 miliardi di euro nei due anni seguenti. Sono 14 miliardi nel 2017 e quasi 20 nel 2018. Poiché Renzi e Padoan non intendono far scattare quegli aumenti delle tasse né preparano tagli di spesa corrispondenti, tra 12 mesi i conti con Bruxelles non torneranno più»

Ma anche questo sapevamo da tempo, inutile fingere stupore. Lo aveva preannunciato lo stesso Yoram Gutgeld, che sulla spending review non ha esattamente brillato ma che sugli espedienti contabili appare molto più vocato. Ricordate? Ve lo ricorda sempre Fubini:

«Ufficialmente il deficit dell’Italia è previsto all’1,1% del Pil (Prodotto interno lordo) nel 2017 e allo 0,2% nel 2018, ma tutti sospettano già che non scenderà mai sotto il 2% e forse risalirà verso il 3%. Neanche il debito calerà come concordato. Si capirà allora se anche la tenda dell’Europa, per quando grande e flessibile, prima o poi si strappa»

Ecco, appunto. Forse Renzi immagina di tenere un deficit-Pil costante intorno al 2,5%, in qualsiasi fase del ciclo economico, e soprattutto durante un’espansione come l’attuale, pur se blanda. E che succederebbe se la ripresina venisse interrotta e volgesse in recessione? Dove andrebbero le nostre metriche di deficit e debito? Ma chi vuol esser lieto sia, e benvenuti nel magico mondo di Matteo Renzi, Signore del Granducato del Lordo.

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