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“La laicità è il collante che cerca di valorizzare le differenze”

Gli ultimi tre decenni hanno visto cambiamenti epocali nella società e nella politica. Abbiamo chiesto a Nicola Colaianni, magistrato della Suprema Corte di Cassazione, quale impatto hanno avuto sulla laicità italiana. Dal numero 1/2020 della rivista Nessun Dogma. Nessun Dogma.
 

Nicola Colaianni è magistrato della Suprema Corte di Cassazione, è stato deputato per il PDS nella XI legislatura e professore ordinario di diritto ecclesiastico all’Università di Bari. Autore di circa 200 pubblicazioni scientifiche, tra cui le più recenti monografie Diritto pubblico delle religioni. Eguaglianza e differenze nello Stato costituzionale (Il Mulino, 2012), e La lotta per la laicità. Stato e Chiesa nell’età dei diritti (Cacucci, 2017). Gli abbiamo posto qualche domanda sulla proclamazione, nel 1989, della laicità quale supremo principio costituzionale.

Professor Colaianni, la sentenza giunse dopo le modifiche concordatarie del 1985. Ne fu una conseguenza inevitabile, oppure una sorta di spinta ulteriore?

Direi che fu una conseguenza inevitabile non tanto della modifica stessa quanto piuttosto dell’interpretazione ostinata del Ministero della pubblica istruzione, supportata dal Consiglio e dalla stessa Avvocatura di Stato e che nei fatti non cambiava assolutamente nulla rispetto ai Patti lateranensi.

La disciplina dell’Irc era nella sostanza l’unica effettiva novità rispetto ai Patti del 1929, da obbligo con facoltà di esonero a libera scelta a materia opzionale, facoltativa. L’interpretazione più semplice sarebbe stata quella di far frequentare un’ora in più a chi sceglieva di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, ma sia il governo che i tecnici puntarono sul mantenere il medesimo monte-ore (stesso tempo-scuola, si diceva all’epoca) uguale per tutti, impedendo agli alunni non avvalentesi di allontanarsi da scuola o comunque di non frequentare.

Il principio di laicità conclamato nella 203 e mai prima di allora preso in considerazione dal diritto positivo è stato in effetti una sorpresa per tutti, soprattutto pensando che a rigore sarebbero bastati gli articoli 2, 3 e 19 della Costituzione per motivare a sufficienza la decisione della Corte. In tal senso allora si può dire che la spinta ulteriore sia stata questo motu proprio della Consulta, conscia del fatto che senza questa sottolineatura si sarebbe continuato a pretendere di interpretare l’intero ordinamento scolastico alla luce del concordato, una legge unilaterale alla luce di un accordo bilaterale.

Del resto, nel 1989 il parlamento era dominato da Dc, Pci e Psi. Oggi ci sono M5s, Pd e Lega: una rivoluzione. Con quali impatti, per la laicità italiana?

Erano in realtà già tutti partiti in fase di declino e in ogni caso indubbiamente la trasformazione avvenuta soprattutto dal 2000 è incontestabile. Allora quei partiti rappresentavano una società ancora differenziata, non un popolo indistinto. Dalla differenza si cercava di arrivare all’uguaglianza. Ora vige il populismo, la società indifferenziata e le ideologie unitarie, si disconoscono le differenze, che non devono permettersi di esistere.

Se all’epoca si parlava di collateralismo con la chiesa, di una sorta di alleanza fra trono e altare (Dc, Acli, Azione Cattolica…), restava però una distinzione tra cose temporali e cose spirituali. Adesso i 5 Stelle, i Renzi, i Salvini immaginano una società indifferenziata, con il populismo si cerca di far cessare l’idea che vi sia distinzione fra ordini distinti, la laicità va in soffitta e diventa un qualcosa da contrastare.

La società italiana è molto più laica, secolarizzata e plurale di trent’anni fa. Ma spesso sembra che la giurisprudenza non abbia oggi lo stesso coraggio di allora.

Si può dire che vi siano luci e ombre, partendo comunque dal presupposto che la giurisprudenza è per sua natura sempre piuttosto cauta. Per usare le parole di Jemolo, la Corte si spinge fin dove capisce che il legislatore le ha lasciato strada libera. Per di più la giurisprudenza si esprime sul caso singolo e concreto, così molto dipende dalla sensibilità del collegio di volta in volta. Ci sono anche cose positive, se si vogliono vedere. Sul matrimonio omosessuale ad esempio la Consulta ha comunque messo nero su bianco come il legislatore debba assicurare il diritto a vivere liberamente una condizione di coppia, e vediamo anche la recentissima sentenza sul caso Dj Fabo. Ma anche, sebbene ci siano voluti trent’anni, il giro di vite sulle procedure di delibazione per la nullità matrimoniale. Anche la Cassazione è ormai chiarissima sulla questione Imu-Ici e la Corte dei Conti è intervenuta pesantemente nel denunciare il malfunzionamento dell’otto per mille. Persino nella sentenza n. 52/2016 (sul diniego di intesa all’Uaar) c’è una bussola che un legislatore attento dovrebbe cogliere, dove si dice che i diritti di libertà vanno assicurati a prescindere dalla stipula di un accordo ai sensi dell’articolo otto della Costituzione. Ma abbiamo visto nella vicenda Cappato come il legislatore sia tutto fuorché attento, celere o disponibile in queste tematiche.

Secondo lei, c’è quindi bisogno di un movimento laico più forte, e adatto a tempi sempre più social?

C’è sicuramente un problema di metodo, la lotta per la laicità deve assolutamente essere realizzata anche attraverso i social, e non solo per raggiungere i giovani che sempre meno leggono giornali o si informano per altre vie, ma in generale perché altrimenti rischiamo di farne un argomento intellettualistico, quando invece deve entrare nel discorso pubblico. E il discorso pubblico è ormai sui social. E c’è un problema di sostanza: la laicità finora è andata a contrastare le condotte oggettivamente prevaricatrici della chiesa cattolica. Ma adesso si profilano altre problematiche: una è il populismo, un’altra è l’islam, religione che tende a non fare alcuna differenza fra fede e politica; va pertanto incoraggiata quella parte dell’islam italiano che questa distinzione la vede e la pratica. Infine, il multiculturalismo come ideologia, in base al quale le varie comunità diventano impermeabili e non esiste più il pluralismo in un tessuto unitario. La laicità diventa in questo contesto solo una opzione fra le altre e non quello che è realmente, il collante cioè che cerca di valorizzare le differenze, nessuna a scapito delle altre.

La laicità è e deve essere il presupposto di fondo, non un settore fra gli altri, perché il pluralismo non è una pluralità di monismi. Ridurla a una fra le tante scelte possibili vorrebbe dire rinunciare a cambiare la società nel suo complesso. E non ce lo possiamo proprio permettere.

intervista a Nicola Colaianni

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