La laicità è alle porte. Ma non ci aprono
E pure la Slovenia ha riconosciuto le unioni omosessuali. O per meglio dire, e fare, ha espunto dalla sua legislazione di famiglia qualsivoglia riferimento al sesso dei coniugi, dando pertanto piena parificazione a tutti i tipi di matrimoni. Normativa già introdotta e riconosciuta non solo pressoché ovunque nel cuore dell’Europa occidentale, ma anche per dirne una nella cattolicissima Malta, adozioni comprese, fin dallo scorso aprile.
A guardarci intorno, insomma, siamo circondati dalla civiltà. Intorno, appunto. Perché a casa nostra tira aria diversa. Il dibattito sulla legge per le unioni civili (che matrimonio fa paura la sola parola), legge promessa mesi e mesi fa entro gennaio 2015 e ancora arenata in Commissione Giustizia, ha regalato di recente nell’ordine: una psichiatra che ha paragonato il vincolo affettivo omosessuale a quello che si prova per il proprio cane (e quindi non bisognoso di alcun riconoscimento); la rappresentante dell’adinolfiano comitato “Di mamme ce n’è una sola” che ha preconizzato future unioni multiple o tra specie diverse e dulcis in fundo uno psicanalista — dai titoli incerti — che, con una leggiadria un rigore scientifico e una consequenzialità degne dei migliori annali, ha identificato le unioni civili con l’Isis, poiché in entrambi “prevalgono istinti di morte”.
E in effetti che di morte non si parli, a meno che non sia il caso di cronaca nera del giorno. Su questioni più comuni, si passi il termine, come quelle delle volontà sul fine vita, il ministro Madia ci conferma in un’intervista televisiva come non vi sia alcuna necessità di una legge che regolamenti alcunché, di come sia meglio lasciare il tutto in una sorta di “zona grigia”. Cioè in quell’indeterminatezza e discrezionalità a seconda del momento del luogo delle persone, all’italiana insomma, e che per non avere il coraggio di fissare punti fermi, all’italiana calpesta quotidianamente il basilare diritto alla propria dignità, anche se non soprattutto a conclusione della vita. Quella zona grigia che ha permesso un “caso Welby” o un “caso Englaro”, che continua a permettere un “caso Fanelli”. Con tutta la vergogna profonda che dovrebbe comportare per un paese che si voglia definire civile.
Meglio lasciare tutto com’è, meglio non sollevare questioni eticamente sensibili. O questioni che, più semplicemente, imporrebbero alla classe politica una scelta precisa, a nostro avviso non più rimandabile, nella direzione dell’autodeterminazione dell’individuo. E questo nonostante le migliaia di firme raccolte per un’iniziativa di legge popolare che giace da mesi in Parlamento, nonostante i moniti e gli appelli da istituzioni e personalità, nonostante siano altri livelli di governo, forse perché più territoriali, meno distanti (o con meno intenzione di esserlo, distanti) dalla “società reale” a premere e persino a normare in tal senso: si veda la prima legge regionale sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento sanitario, appena approvata in Friuli Venezia Giulia.
Stessa cosa che succede peraltro mutatis mutandis coi registri per le domestic partnership e i riconoscimenti comunali di matrimoni omosex contratti all’estero, in bagarres non sempre e non tanto giuridiche che vedono Sindaci contrapporsi a Prefetti e ancor più direttamente al Ministro dell’Interno Alfano. Ministro e Prefetti di indubbia prontezza efficienza e celerità nel negar diritti, con foga decisamente superiore a quella mostrata in altre vicende di altra natura (dai rapimenti internazionali alle vandalizzazioni di città e opere d’arte).
Resta il fatto che passano i mesi e non si vede la fine, ma in molti casi neppure l’inizio, di alcuna normativa nazionale che finalmente colmi il divario, in tema di diritti civili, tra il nostro paese e quelli ai quali ci permettiamo talvolta persino di guardare con sufficienza. In altre questioni però il Governo Renzi è celere almeno quanto i suoi Prefetti. Il ddl sulla “Buona Scuola” ancora in discussione infatti parrebbe aver subito messo in pratica il suggerimento (per usare un gentile eufemismo) di 44 parlamentari della maggioranza, così come strombazzato dalle pagine di Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani.
Per dirla in breve, più soldi alle scuole private paritarie, per la maggioranza cattoliche e non sottoposte nella maggioranza dei casi ad alcun controllo, soprattutto sul piano della qualità dell’offerta formativa che si supporrebbe, appunto, pari. Scuole già più volte ricordate e citate, con stima e affetto è il caso di dire, dal Ministro dell’Istruzione (pubblica?) Giannini. Detto, fatto: in mezzo a una scuola pubblica che cade a pezzi in senso purtroppo più che letterale e in cronica astinenza di fondi, nel Ddl sono inseriti prontamente sgravi fiscali per le famiglie che scelgono di mandare i propri figli in istituti paritari. Non sarà un caso se la decisione è piaciuta persino alla rivista integralista di Cl Tempi.
Piaciuta un po’ meno ad altri, non solo parlamentari. Certo molti più di 44. Chiamiamola società civile, qualunque cosa significhi. Ma, verrebbe quasi da scommetterci, questi molti di più avranno comunque meno voce in capitolo.
Perché se la laicità bussa non c’è peggior sordo di chi vuol sentire solo la campana.
Adele Orioli, responsabile iniziative legali Uaar
Questo articolo è stato pubblicato qui
Lasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox