La fine del capitalismo finanziario?
La rivoluzione che viene è un’opera che riunisce sei saggi molto originali di David Graeber, uno dei protagonisti del movimento Occupy Wall Street (Manni Editori, 2012, 184 pagine, euro 10).
Graeber è nato il 12 febbraio 1961 e a 55 anni si sta godendo la piena maturità intellettuale. In questo libro la tesi principale dello studioso americano consiste nel ritenere i pensatori neoliberisti ossessionati dall’idea di dover garantire che “non c’è nessuna alternativa” al capitalismo finanziario. Naturalmente i trionfi ideologici neoliberisti portano a ripetute catastrofi economiche e al diffondersi del “capitalismo kamikaze”: “un sistema che non esiterà ad autodistruggersi se ciò sarà necessario per sconfiggere i propri nemici”. Per questo motivo Graeber insiste nell’evidenziare alcuni aspetti centrali della lotta di classe nella società statunitense: “la negazione del diritto di comportarsi bene, di essere nobili, di ricercare valori diversi dal denaro”.
In realtà i principali membri della casta del potere multinazionale hanno compreso che il sistema “basato su un’antica alleanza tra potere militare e potere finanziario, tipica dell’ultimo periodo degli imperi capitalisti” è ancora in piedi quasi per miracolo. Oramai non si preoccupano di salvare l’attuale sistema capitalista-debitalista che è destinato all’implosione più o meno lenta e violenta. La loro strategia principale è diventata quella di eliminare ogni alternativa possibile dalle menti dei cittadini, in modo da essere “gli unici a poter fornire delle soluzioni” al momento della crisi finale.
In molti casi la società civile è riuscita nella difficile impresa di creare una piccola e breve egemonia culturale: ad esempio ha fatto progredire i diritti delle donne, ha arrestato l’espansione delle multinazionali dell’energia nucleare e ha in parte ridotto lo strapotere del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Le caste dirigenziali occidentali temono i primi segnali di mobilitazione “e di solito cercano di distrarre l’attenzione con la proclamazione di una qualche guerra”, più o meno sbagliata. In particolare gli Stati Uniti “possono, in qualsiasi momento gli torni utile, decidere di regolare il livello di violenza in un altro continente. Questo si è dimostrato un metodo veramente efficace per disinnescare i movimenti che si occupano di problemi nazionali”.
La violenza è l’unico vero monopolio gestito dai governi. Permette di stabilire delle semplificazioni pericolose e delle relazioni più schematiche in bianco e nero. Per questo motivo “la violenza è spesso l’arma preferita degli stupidi: uno potrebbe quasi dire che sia la carta migliore, dal momento che è quella forma di stupidità alla quale è più difficile dare una risposta intelligente”.
Comunque oggigiorno il problema di molte nazioni è quello del debito pubblico. Le multinazionali si fanno fare delle leggi su misura per non pagare le tasse. Troppi lavoratori sono stati licenziati o vengono pagati troppo poco e quindi non saranno più in grado di ripagare i vecchi debiti legati alla casa e ai consumi. D’altra parte dall’inizio della storia umana “il debito è il mezzo più efficiente mai creato per mantenere relazioni che sono fondamentalmente basate sulla violenza e su disuguaglianze violente, facendole sembrare giuste ed eticamente corrette. Quando il trucco non funziona più, esplode tutto”. Quando i beni diventano troppo costosi e gli interessi sui vari finanziamenti sono troppo pesanti i cittadini crollano a terra come asini massacrati dalla fatica.
Probabilmente non sarà questa gente disperata a trovare gli strumenti e le energie per innescare l’inevitabile rivoluzione culturale. Infatti saranno prevalentemente i giovani diplomati e i laureati disoccupati e precari i protagonisti di una nuova rivoluzione culturale che reinventerà i rapporti tra i cittadini, gli stati e le imprese, attraverso l’individualismo cooperativo. E in ultima analisi “l’unico modo in cui si può convincere se stessi ad abbandonare il desiderio di fare del bene al mondo intero è quello di sostituirlo con un desiderio ancora più potente di fare del bene ai propri figli”.
Quindi serve una rivoluzione culturale centrata sulla creazione di oasi nazionali e internazionali dell’immaginazione gestite autonomamente dai giovani. A mio parere bisognerebbe rafforzare e finanziare l’educazione demografica in tutte le scuole pubbliche del pianeta. Alla fine dei conti il controllo delle nascite permetterà di lasciare più tempo e più spazio ai sentimenti altruistici e cosmopoliti di tutti i cittadini. In questo modo si eviteranno i ricatti lavorativi più miserabili, molti conflitti sociali, molte guerre civili e molte malattie gravi e debilitanti.
Nel 1900 eravamo un miliardo e ora siamo sette miliardi: nessun genio sarebbe oggi in grado di fare il miracolo di dare un posto di lavoro a tutti. Ma qualsiasi burocrate animato dal buon senso potrebbe garantire un reddito minimo di sopravvivenza a tutti, in molti paesi, evitando gli alti costi sociali di molte immigrazioni che forse pagheranno innumerevoli figli disoccupati degli immigrati. Ad esempio la Banca Mondiale potrebbe finanziare direttamente i cittadini attraverso i micro-finanziamenti personalizzati agli studenti e ai disoccupati invece di perseverare nel foraggiare i dittatori e le caste dirigenziali parassitarie di quasi tutti i paesi.
In estrema sintesi la peggiore politica risiede nel monopolio del potere dello Stato e la politica è la “dimensione della vita sociale in cui le cose diventano veramente reali se un numero sufficiente di persone ci crede”. Così “Il rifiuto dei capitalisti di ripensare seppur minimamente ad alcuni dei propri assunti di base sul mondo, potrebbe significare non solo la fine del capitalismo, ma di tutto il resto”. Anche senza l’implosione finanziaria e la terza guerra mondiale termonucleare, questa cecità di classe finirà per certificare la fine del salutare senso di solidarietà tra gli esseri umani.
Nella vita l’importante non è saper anticipare il futuro, ma fare in modo che si realizzi nel modo migliore possibile, prima che sia troppo tardi per evitare eventuali sofferenze. Tra salvare una persona che sta affogando e recuperare il cadavere di un affogato c’è un bel po’ di differenza.
David Graeber è stato allontanato dall’Università di Yale a causa delle sue idee anticonformiste. Ora insegna Antropologia Sociale alla Goldsmiths University di Londra (www.gold.ac.uk). Nel 2012 ha pubblicato Debito. I primi 5.000 anni (il Saggiatore, www.youtube.com/watch?v=CZIINXhGDcs). Nel 2014 ha pubblicato Progetto democrazia. Un’idea, una crisi, un movimento (il Saggiatore). Nel 2015 è uscito l’ultimo saggio in lingua inglese: The Utopia of Rules (prende in esame la stupidità, la tecnologia e la burocrazia). Per approfondimenti video: www.youtube.com/watch?v=-QgSJkk1tng, http://www.writersvoice.net/2011/07/debt-david-graeber.
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