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La Francia in fiamme: ondata di proteste contro la riforma delle pensioni

Da mesi Parigi, Marsiglia, Tolone, Lione e le altre città francesi manifestano contro la riforma delle pensioni voluta da Emmanuel Macron. Tutta la società civile si è mobilitata per frenarla. Dai sindacati, ai partiti di sinistra fino ai singoli cittadini, tutti sono scesi in piazza manifestando il loro dissenso. 

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Dal 19 gennaio, giorno in cui il presidente Macron ha annunciato il progetto di legge, le manifestazioni in tutto il paese non si sono mai fermate. Ma è da giovedì 16 che la situazione è precipitata, cioè da quando il primo ministro Elisabeth Borne ha annunciato di voler ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione scavalcando così il voto dell’Assemblea nazionale, contrario alla riforma. Sono anni che i francesi aspettano un punto di svolta riguardo al tema, da quando Macron durante la campagna elettorale del 2017 annunciò di voler ribaltare completamente il sistema pensionistico. Tra ritardi e una decina di manifestazioni, la situazione adesso sembra sull’orlo del precipizio con una bomba sociale pronta ad esplodere.

La tormentata riforma

“Creeremo un sistema pensionistico universale dove un euro versato dà gli stessi diritti, indipendentemente da quando è stato versato e dallo status della persona che ha contribuito”, così dichiarava Macron nel 2017. Il piano prevedeva quindi l’istituzione di un fondo pensionistico nazionale universale e un’età cardine al di sotto della quale chi va in pensione subisce uno sconto sulla pensione. A causa della pandemia, della guerra in Ucraina e delle violente proteste dei Gilet gialli la riforma è stata rimandata di anno in anno fino ad arrivare al secondo mandato presidenziale di Macron.

Già nel 2017 i piani erano quelli di alzare l’età pensionabile dai 62 ai 64 anni. I due anni verrebbero aggiunti gradualmente da qui al 2030 aumentandoli di tre mesi ogni anno per i prossimi otto, diversamente dalla riforma Fornero che prevedeva immediatamente l’innalzamento dell’età pensionabile. Secondo quanto deciso la pensione minima dovrebbe salire a 1200 euro mensili. La riforma prevede in aggiunta la fine dei regimi speciali ovvero i trattamenti pensionistici previsti per alcune categorie di dipendenti di grandi gruppi come la Banca di Francia e la RATP, azienda dei trasporti pubblici della regione parigina.

Il sistema pensionistico francese, in rapporto al Pil, costa allo stato il 14,8%. Sistema molto più oneroso del nostro e che grava enormemente sul debito pubblico in aumento dal post pandemia. La pressione fiscale è alle stelle e diminuire l’età pensionabile vorrebbe dire aumentare le tasse ai cittadini. Macron e il suo governo sentono la pressione dei mercati per equilibrare il bilancio statale in affanno.

Il parlamento scavalcato

Dopo essere stato approvato al senato, il disegno di legge è passato all’assemblea dove non avrebbe avuto i voti necessari. A presentarsi in aula è stata il primo ministro Elisabeth Born che in un discorso di qualche minuto ha invocato l’articolo 49.3 della Costituzione scavalcando di fatto il voto delle’Assemblea. Quest’ultima è centro nevralgico del dibattito democratico nato dalla rivoluzione francese e che ha portato la democrazia nel resto d’Europa. Non ha gli stessi poteri del parlamento italiano, trovandosi in una forma di governo presidenziale, ma il dibattito che vi ha luogo per discutere e approvare le leggi è appannaggio vero e proprio dei voti dei singoli cittadini.

L’articolo 49.3 se adottato, consente al governo francese di non passare attraverso il dibattito e il voto dell’assemblea e far entrare in vigore immediatamente i disegni di legge. Non è la prima volta che l’articolo 49.3 viene utilizzato dal governo in carica. Nel 2016 ad esempio lo ha adottato Hollande. Adesso Elisabeth Borne ha aggiunto il suo nome all’elenco dei primi ministri che hanno fatto ricorso al 49,3. Il capo del governo lo ha attivato undici volte negli ultimi mesi, per approvare il bilancio 2023 e la riforma delle pensioni. Prima di lei, quindici capi di governo vi avevano già fatto ricorso, in 89 occasioni. Oggi come allora la risposta cittadina è stata quella di scendere nelle piazze.

All’annuncio dell’articolo 49.3 tutte le opposizioni hanno alzato la voce. Dalla destra di Marine Le Pen che batte ai pugni sugli scranni di legno alla sinistra della coalizione Nupes che intona la marsigliese, al parlamento francese è scoppiato il dissenso poi riversatosi nelle piazze. Tutti i leader dell’opposizione hanno chiesto le dimissioni del presidente e proposto una mozione di sfiducia che poi, per 9 voti, non è passata. Il governo e Macron ottengono la fiducia e la riforma è diventata legge.

La rabbia sociale

Alle 16.30 del 16 marzo, all’annuncio dell’articolo 49.3, migliaia di persone si sono riversate in Place de la Concorde a Parigi e da quel giorno le manifestazioni non si sono più fermate. Un centinaio gli arresti e innumerevoli i danni provocati alle città. Da Parigi arrivano immagini di auto e rifiuti dati alle fiamme, di forze dell’ordine int netta anti sommossa che caricano i manifestanti. Tutto riconduce alle proteste dei gilet gialli che ogni volta sfociavano in guerriglie urbane e che hanno messo a ferro e fuoco l’intero Paese. L’aria che si respira è la stessa e il rischio di una bomba sociale è dietro l’angolo.

Simili manifestazioni ci furono nel 2010 quando l’allora presidente Sarkozy aumentò l’età pensionabile dai 60 ai 62 anni. Al tempo, come adesso, vi furono scioperi degli stessi settori, quelli della raffineria, dei trasporti, dei rifiuti. Oggi come allora si parla di sciopero reconductible ossia quello sciopero che non ha una data di fine e quindi non ha bisogno di preavvisi. Ogni giorno i dipendenti si riuniscono in assemblee per decidere se rinnovare lo sciopero il giorno successivo, e non sono obbligati a dare un nuovo preavviso. E sono i dipendenti ad avere l’ultima parola. Ogni giorno si riuniscono in assemblea per decidere se continuare o meno lo sciopero. Se decidono di farlo, il preavviso originale rimane valido. E questo fino alla fine dello sciopero “rinnovabile”, deciso dai dipendenti stessi.

Giovedì 23 mazo è andata in scena un’enorme manifestazione invocata soprattutto dai leader della France Insoumise, partito di Mélenchon, col fine di bloccare totalmente il Paese.

La partecipazione alle proteste dei maggiori leader dei sindacati Philippe Martinez (Sgt) e Laurent Berger (Cfdt), unita a quelle di tutte le opposizioni rendono il clima esplosivo e in tutta la Francia come all’estero ci si chiede quanto potrà ancora continuare la legislatura di Macron ormai rimasto solo con l’intera Francia contro

 

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