L’ordinanza con l’elastico: il caso di Mandas e la scrocifissione dei pubblici uffici
Nel 2009 il sindaco di un paesino della Sardegna impone il crocifisso negli uffici pubblici. Grazie ai ricorsi dell’Uaar il Consiglio di Stato nel 2024 dichiara illegittimo il provvedimento, come ricostruisce la responsabile iniziative legali Uaar Adele Orioli sul numero 3/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Corre l’anno 2009: quello del tragico terremoto dell’Aquila, della morte di Michael Jackson e di Mike Bongiorno e della vittoria agli europei di volley femminile. Ma è anche l’anno in cui la Corte europea dei diritti umani stabilisce che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e del diritto degli alunni alla libertà di religione» e condanna l’Italia a risarcire 5.000 euro alla ricorrente, Soile Lautsi, socia Uaar, per danni morali.
Sentenza riformata dopo inaudite pressioni due anni dopo, con il crocifisso trasfigurato magicamente, è il caso di dire, in «simbolo passivo» e quindi non più di per sé immediatamente discriminatorio, come purtroppo ben sappiamo. Ma qui siamo ancora nel 2009 e in un piccolo paese del Sud Sardegna, Mandas, i venti di Strasburgo colpiscono in faccia Umberto Oppus, l’allora sindaco eletto in quota Udc. Che si appella al concetto di urgenza e grave pregiudizio per emanare una ordinanza con la quale impone l’affissione forzata del crocifisso in tutti gli uffici pubblici e prevede persino una salata sanzione da 500 euro in caso di inottemperanza.
Ordinanza contro la quale la Uaar non tarda a presentare ricorso, forte non solo e non tanto della pronuncia europea quanto proprio dei limiti che qualsivoglia potere costituito trova nella previsione di legge.
E nell’ordinamento italiano, seppur non certo perfetto, non vi è alcun atto avente forza di legge che prevede l’obbligo di esposizione di simboli religiosi e men che meno che consenta ai primi cittadini di inventarne uno, di atto normativo, sul momento e a seconda delle occasioni.
Ma Oppus, come rivela in seguito a cronisti locali vantandosi nemmeno troppo sommessamente della sua furbizia, appena terminato di appendere i crocifissi in tutti i luoghi pubblici provvede anche a ritirare l’ordinanza: non più esistente, non più impugnabile, non più censurabile.
Ma reiterabile se necessario ad libitum, in caso di obbligo di scrocifissione a seguito dell’eventuale esito del ricorso. Un bel (si fa per dire) trucchetto che porterebbe, in legalese, alla cosiddetta cessazione della materia del contendere, non esistendo più nell’ordinamento l’atto contro il quale si è agito in giudizio; atto che nel frattempo è stato però libero di produrre i suoi effetti (e i suoi crocifissi).
Il Tar Sardegna, che con la calma propria dei procedimenti amministrativi decide sul caso nel 2017, invece di bacchettare quello che è pur sempre un pubblico ufficiale, che non dovrebbe fare il gioco dell’oca, quanto piuttosto amministrare equamente una intera comunità, appoggia il modus operandi del primo cittadino, ritenendo improcedibile il ricorso e nel merito non disdegnando di rinverdire lugubri definizioni del simbolo religioso.
Simbolo religioso tipico del solo cattolicesimo e che per i giudici amministrativi dell’isola, in una rilettura frettolosa ed erronea della, nel frattempo sopraggiunta, sentenza di secondo grado sul caso Lautsi, è invece «espressione dell’identità culturale e religiosa dei Paesi di tradizione cristiana».
Forti di una certa qual dose di caparbietà personale, ma soprattutto dell’organizzazione e delle disponibilità anche ma non solo economiche dell’associazione, lo staff legale Uaar decide di proseguire appellandosi al Consiglio di Stato, nonostante sia acquisito questa non essere una corte solita brillare per progressismo illuminista.
È quindi, oltre che con soddisfazione, anche con una buona dose di stupore che si è felicemente preso atto della sentenza planata a fine marzo 2024, nella quale viene accolto in toto quanto sostenuto contro l’ordinanza, vuoi nel merito vuoi nel metodo.
Da un lato il trucchetto furbetto messo in atto dal sindaco non esime i giudici, come veniva invece sostenuto in primo grado, dal dover giudicare o meno sulla legittimità dell’atto stesso, seppur poi revocato. Il fatto invero che, per quanto limitatamente nel tempo, sia stato in vigore espone, in caso di suo contrasto con l’ordinamento, alla possibilità di risarcimento del danno. L’ordinanza va quindi esaminata e al Consiglio di Stato non resta che acclararne la palese illegittimità, avendo esuberato dai poteri e dalle funzioni attribuite al sindaco di un Comune.
L’urgenza di «preservare le attuali tradizioni ovvero mantenere negli edifici pubblici di questo comune la presenza del crocifisso quale simbolo fondamentale dei valori civili e culturali del nostro Paese», come argomentava Oppus, non solo non può esistere, insomma, ma non rientra in ogni caso fra i motivi che legittimano in caso di pericolo l’esercizio di un potere “extra ordinem” (quali invece i disastri ambientali o la regolamentazione delle bevande alcoliche, per fare due esempi tirati in ballo dall’amministrazione comunale).
Ma i giudici vanno oltre. Nel caso specifico infatti non solo il metodo ma anche il merito risulta da censurare. Alla luce infatti della sentenza della Cassazione a sezioni unite sul caso del professor Coppoli (anche qui, patrocinato dall’Uaar) la stessa pretesa di imporre il crocifisso, senza alcun contemperamento fra gli interessi pluralisti della comunità, è ormai definitivamente dichiarata illegittima. Un «residuato del periodo fascista» non più compatibile con l’odierno ordinamento costituzionalrepubblicano.
Fuori i crocifissi dalle scuole pubbliche con Coppoli, fuori anche dagli uffici pubblici adesso, grazie a questa vicenda che solo all’apparenza riguarda un piccolo comune di 2.000 abitanti. Dispiega invece ben oltre i suoi effetti, tanto di autorevole precedente, quanto di segno di una sempre maggiore presa d’atto dell’inconciliabilità fra confessionalismo di Stato e attuale società democratica.
Insomma, i tempi sono cambiati da quel 2009, fra alterne fortune, tra polveri e altari, ma sono cambiati. Il sindaco di Mandas no, a sorpresa è sempre lo stesso, Umberto Oppus, rieletto dopo la pausa obbligatoria a seguito di due mandati consecutivi. Per una volta tanto la ingiustificabile lentezza dei contenziosi amministrativi ha, per ironia della sorte, recapitato una sonora sconfitta proprio al principale responsabile.
Per fortuna che, oltre al primo cittadino sardo, in questi quattordici anni anche qualcosa di altro ha continuato a esistere, a resistere, a impegnarsi a ragion veduta per un mondo migliore, senza simboli imposti e contro i trucchetti furbetti del clericalismo al potere: voi, noi: l’Uaar.
Adele Orioli
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