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L’Ucraina, l’aggressione russa e le ipocrisie occidentali: la visione di Franco Cardini

L’Ucraina è teatro di una guerra senza limiti e di opposte narrazioni. Narrazioni che spesso diventano preponderanti sulla realtà dei fatti e sulla necessità di una lucida visione degli eventi. 

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C’è il pericolo che la storia della guerra in Ucraina possa essere ricostruita e appresa basandosi soltanto su una narrazione faziosa, magari a fin di bene, ma non equa, non oggettiva e quindi iniqua, fuorviante e dannosa per le stesse vittime. Franco Cardini, tra i massimi storici italiani, ha curato assieme al generale Fabio Mini e a Marina Montesano il saggio Ucraina 2022 – La storia in pericolo”, edito da “La Vela” su gentile concessione della quale pubblichiamo oggi un estratto dell’introduzione scritta dal professore fiorentino. Dedicato all’ambivalenta pproccio della politica occidentale al percorso che ha portato all’invasione russa del 24 febbraio scorso, per l’autore potenzialmente evitabile. Buona lettura!

. Nella Francia sconvolta dalla débâcle del 1940 furono parecchi, magari di opposte simpatie politiche – da Marc Bloch a Pierre Drieu la Rochelle –, a parlare di una drôle de guerre, “una strana guerra” (o “una stranezza di guerra”), a proposito di quella avviata nel settembre del ’39 e la cui prima fase si concluse nove mesi dopo con l’occupazione tedesca di Parigi.

Anche questa, avviata dalla Strafexpedition di Vladimir Vladimirovicˇ Putin nei confronti dell’Ucraina di Zelensky il 24 febbraio 2022, si presenta come “una stranezza di guerra”: e può darsi che sia davvero così. Gli italiani e gli occidentali non riescono ancora, per la maggior parte, a capire neppure perché sia iniziata, dal momento che – disinformati dai nostri media e dai nostri politici –, sono all’oscuro del fatto ch’essa non è cominciata con l’annuncio di Putin in quel mattino di febbraio, bensì con il colpo di mano ucraino in funzione antirussa del 2014 e l’accordo tra Unione europea e l’allora nuovo premier ucraino Porošenko che nelle intenzioni preludeva all’ingresso del nuovo stato slavo nella ue, e di lì a poco all’allargamento verso Est del limite (cioè del “fronte di fuoco missilistico”) della nato, in contraddizione rispetto a impegni contratti fin dal 1991, sia pure non in termini formalmente cogenti.

Allo stesso modo, oggi qualcuno si meraviglia e quasi s’indigna se il primo e pur incerto passo verso una pace ancora lontana è stato possibile grazie alla mediazione – com’è stato con scandalo denunziato – di tre “dittatori”: Putin, Xi Jinping ed Erdog an. Si deve infatti all’incontro diplomatico d’Istanbul sotto la regia di Erdog ̆an se, dopo alcune settimane di questa guerra, che provvisoriamente definiremo “russo-ucraina”, a Est potesse profilarsi davvero “qualcosa di nuovo”. Al che si potrebbe replicare in due modi.

Primo: molti occidentali seguono una bizzarra metodologia nell’individuare e nel definire i “dittatori”, termine peraltro antico di oltre due millenni ma che ha conosciuto una complessa e non sempre chiara avventura semantica. L’irakeno Saddam Hussein, ad esempio, non era affatto considerato tale negli anni ottanta del secolo scorso quando, con il pieno consenso dell’Occidente, massacrava i suoi avversari, gasava i curdi e bombardava gli iraniani sotto il benevolo sguardo di Kissinger, il quale lo definiva “il Presidente del Sorriso”: ma fu promosso dittatore, e addirittura “nuovo Hitler”, tra anni novanta e primi del nostro secolo, quando se la prese con il Kuwait e con Israele nostri alleati e fu accusato di possedere “terribili armi di distruzione di massa”, secondo una parola d’ordine che più tardi si appurò essere stata piuttosto una “spiritosa invenzione” di George W. Bush e di Tony Blair, costata peraltro migliaia di morti.

Secondo: se qualche settimana fa la futura pace in Ucraina è sembrata dipendere (fra l’altro) dai più o meno buoni uffici di tre “dittatori” (cioè da capi di tre stati per istituzioni e per strutture molto differenti sia dalle nostre, sia fra loro), ciò è avvenuto non già a causa della natura dei loro poteri, bensì del fatto che l’“Occidente democratico” non è riuscito a esprimere nemmeno uno dei suoi virtuosi leader giudicato in grado d’assumersi credibilmente simile compito: il che torna semmai a disdoro di questi, non a merito di quelli.

A proposito di Saddam Hussein, ci sarebbe da osservare altresì ch’egli era a capo di un governo pessimo ma regolarmente rappresentato all’Onu; reggeva un paese magari non libero nelle sue istituzioni interne, tuttavia indipendente e sovrano: e quella perpetrata contro l’Iraq nel 2003 dagli Usa e dai loro complici, come quella due anni prima contro l’Afghanistan, fu aggressione allo stesso identico titolo di quella commessa oggi da Putin ai danni dell’Ucraina. Allora però nessuno parlò di crimini di guerra, né si mosse alcuna Corte dell’Aja; né i nostri media ci mostrarono allora bambini colpiti da spezzoni o vecchiette sofferenti, generi dei quali evidentemente a Kabul e a Baghdad v’era penuria mentre abbondano oggi tra Kiev, Mariupol e Leopoli.

Mettiamo comunque da parte queste considerazioni, della serie (dicono a Roma) “er più pulito c’ha la rogna”. Parliamo dell’oggi. Putin è evidentemente, obiettivamente un aggressore. Ma aveva invitato più volte – l’ultima nel dicembre del ’21 – il governo statunitense a desistere dal suo progetto di allargamento della nato a Oriente e dalla sua ostinazione a coprire i nazionalisti ucraini che seviziavano, uccidevano e bombardavano i loro compatrioti definiti con disprezzo “filorussi” o, sic et simpliciter, russi, residenti nel Donbass. Perché una delle molte cose che finora politici e media ci hanno taciuto è che almeno dal 2014 in Ucraina è in corso una crisi che minaccia di sfociare in una guerra civile, anzi, in alcune aree è tale già da tempo.

Ma la politica e la diplomazia di Washington e quelle degli stati suoi satelliti sono andati avanti per la loro strada di pressioni e di provocazioni, armando – come si è più tardi ben dimostrato – gli uomini di Zelensky il quale, almeno prima del 24 febbraio, si sentiva talmente sicuro del loro appoggio da immaginare addirittura che si sarebbe spinto fino a trasformarsi in supporto apertamente militare, e per questo provocava con impudenza la Russia: mentre più tardi, deluso e indispettito se non disperato, avrebbe a più riprese tacciato di “viltà” gli occidentali constatando ch’essi esitavano dinanzi all’ipotesi dell’inasprirsi di una guerra che avrebbe potuto anche coinvolgerli sul piano dell’intervento attivo.

Il fatto è tuttavia che Zelensky, per “europeo” e “occidentale” che possa considerarsi, non è sul serio né l’una, né l’altra cosa. Se lo fosse, saprebbe molto bene che – con pochissime eccezioni – qualunque occidentale, da Biden fino all’ultimo ragazzino cliente di un McDonald’s di provincia, è tutto men che disposto a rischiare una guerra. Da noi si è senza dubbio pronti a combattere contro i russi: ma solo fino all’ultimo ucraino, cioè per procura. Per “interposto popolo”.

L'articolo L’Ucraina, l’aggressione russa e le ipocrisie occidentali: la visione di Franco Cardini proviene da Osservatorio Globalizzazione.

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