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L’Ordine dei cachi

Che accade quando una professione, regolamentata da albo pubblico e rappresentata da un Ordine professionale, si trova schiacciata dalla crisi, economica e di transizione tecnologica? Che di solito l’Ordine si attiva per erigere alcune barriere difensive, che quasi sempre finiscono col rovinargli addosso, coprendolo di ridicolo. In alcuni casi, poi a correre in soccorso dell’Ordine sono i legislatori, che lastricano di buone intenzioni la grottesca strada dell’inferno.

E’ quanto accaduto con una proposta di legge che mira a contrastare l”l’esercizio abusivo della professione” giornalistica, estendendo anche ai fruitori dell’attività giornalistica le garanzie offerte, ad esempio, ai pazienti di esercenti professioni sanitarie. Il Senato ha approvato l’inasprimento di pena prevista dall’articolo 348 del codice penale, che nella formulazione ancora vigente prevede l’alternativa tra multa e detenzione. Ebbene, rallegratevi! Il nuovo articolo 348 c.p. somma le due sanzioni:

«Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a 2 anni e con la multa da 10.000 euro a 50.000 euro. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle attrezzature e degli strumenti utilizzati»

In pratica, resta da capire se all’”abusivo” verrà confiscato solo il computer (o penna e taccuino), oppure anche il cervello, in quanto “strumento di lavoro”. Nell’attesa, l’Ordine si preoccupa per quanti ambiscono a diventare pubblicisti, e si trovano nel periodo di collaborazione senza essere ancora iscritti all’albo. Per loro potrebbe servire apposito “foglio rosa“, e così via, verso nuove autorizzazioni.

Nel frattempo, con colpevole ritardo (ma sempre riconducibile alla categoria “adotta un neurone”), vi segnaliamo che la psicopolizia dell’Ordine della Lombardia se l’è presa col povero Ferruccio De Bortoli per la pubblicazione sul Corriere della ormai nota pagina pubblicitaria acquistata da amici di Marcello Dell’Utri, che desideravano con essa esprimergli la loro solidarietà. Pare, secondo l’”accusa”, che tale pagina possa configurare nientemeno che “apologia di reato”. Ora, noi non siamo legali né giuristi, ma ci sembra piuttosto difficile che esprimere solidarietà ad una persona condannata possa ritenersi “apologia di reato”, men che mai leggendo il testo di quella inserzione.

E peraltro, scusate l’ignoranza, che c’entra il direttore responsabile di un giornale con una pagina pubblicitaria? Forse che De Bortoli è pure direttore commerciale del Corriere? Vai a saperlo. L’unica certezza è che siamo in un paese densamente popolato di abusivi, neuroni inclusi.

Come sempre, Elio aveva capito tutto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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