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L’Aquila - Siamo giunti al capolinea

I cittadini aquilani e quelli del cratere avrebbero voluto mettere fine a questo esasperante tira e molla tra i comuni, la regione e il governo. Stanchi di essere condotti a protestare a destra e a manca, quasi condotti come un branco di pecore sui luoghi della "transumanza". Penso che la loro capacità di governo e di controllo dei terremotati abbia raggiunto il grado di saturazione. Dopo di che ogni movimento potrebbe far riferimento solamente ad una legge puramente fisica: "ad ogni azione corrisponde un reazione uguale e contraria". Non è davvero augurabile che si possano raggiungere tali livelli. I presupposti, comunque, ci sono tutti e l’esasperazione può condurre a qualsiasi incontrollata reazione.

di Maria Cattini

I cittadini aquilani e quelli del cratere avrebbero voluto mettere fine a questo esasperante tira e molla tra i comuni, la regione e il governo. Stanchi di essere condotti a protestare a destra e a manca, quasi condotti come un branco di pecore sui luoghi della "transumanza". Penso che la loro capacità di governo e di controllo dei terremotati abbia raggiunto il grado di saturazione. Dopo di che ogni movimento potrebbe far riferimento solamente ad una legge puramente fisica: "ad ogni azione corrisponde un reazione uguale e contraria". Non è davvero augurabile che si possano raggiungere tali livelli. I presupposti, comunque, ci sono tutti e l’esasperazione può condurre a qualsiasi incontrollata reazione.

Sono mesi, ventuno per la precisione, che i cittadini contribuenti ascoltano le più disparate promesse; le dichiarazioni di guerra del sindaco, della giunta e del consiglio comunale. Ci avviciniamo al biennio di quella fatidica data del 6 aprile e, se vogliamo, è stato concluso poco, anzi niente, in merito alla restituzione delle tasse, al pagamento delle forniture elettriche, idriche ed energetiche. Sono stati costituiti comitati mirati per mantenere alto il grado di attenzione sulla città e sul territorio, già condannato dalla completa abulia dei rappresentanti politici locali, a qualsiasi corrente essi appartengano. Il popolo dei "carriolanti" comincia a manifestare stanchezza, inquietudine, sfiducia negli uomini e nelle istituzioni. Si è perduto del tempo prezioso in faccende e faccenduole di poco conto; intrallazzetti da borghettari.

In questa circostanza non doveva esistere la divisione politica in seno al consiglio tra maggioranza e minoranza. Sarebbe stato necessario costituire un fronte unico per poter acquisire una maggiore capacità contrattuale da esercitare nei confronti della regione e del governo. Le ripicche di quartiere a che cosa miravano? All’ennesima divisione delle già dilaniate "vesti di Cristo". Intanto, Chiodi, i coordinatori del centro destra, l’esecutivo regionale, hanno tirato sempre più acqua al loro mulino, disinteressandosi dei veri e seri problemi della ricostruzione del tessuto sociale locale e degli impianti urbanistici distrutti dal sisma.

Neppure l’opposizione e gli uomini politici di sinistra si sono positivamente distinti nel cercare una soluzione razionale e completa per la ripresa delle attività produttive e sociali del territorio. Hanno inseguito la chimera delle "proroghe", pensando, forse, a mantenere alta la tensione degli elettori in vista di un imminente ritorno alle urne. Se questa è una strategia politica di un paese civile, allora, sarà meglio voltare pagina, azzerando tutto e tutti e ricominciando da capo con la possibile individuazione degli uomini giusti da sistemare al posto giusto.

Dove stavano i nostri parlamentare, di destra e di sinistra e anche quelli che gracidano sempre dell’Idv, al momento del voto del decreto finanziario?

Dov’erano gli uomini di governo che si spacciano per "grandi difensori dell’Aquila”?

Forse, avevano preferito farsi riprendere a Telespazio in occasione dell’annuncio del nuovo programma di investimenti satellitari, anziché stare in Parlamento, a fianco di Tremonti, per garantire l’inclusione della definizione del pacchetto delle aspettative delle genti aquilane nel provvedimento finanziario dello stato. Eppure Chiodi si è esposto notevolmente nell’annunciare la sicura concessione della proroga della restituzione delle anticipazioni delle detrazioni dell’Irpef. Proroga che è arrivata solamente quando uno sparuto ed esasperato gruppo di cittadini ha forzato simbolicamente i cancelli della regione.

Consentitemi uno sfogo personale: stiamo assistendo quotidianamente ad uno spettacolo deprimente, indecente, offensivo della dignità personale dei cittadini. Arrivare ad ottenere la proroga semestrale della data delle detrazioni indiscriminate, proprio come il rapporto di lavoro dei Co.co.co., quasi per dimostrare che, grazie al "mio" intervento (al ghe pense mì), alla "mia" decisa presa di posizione, abbiamo ottenuto una ulteriore proroga di sei mesi.

Non è una bella notizia, perché la chiave di lettura è un’altra: viene prorogata di altri sei mesi solamente l’agonia di molti cittadini. Guardate, infatti, se qualcuno dei politici regionali, provinciali e comunali si è mai posto il problema della restituzione delle anticipazioni da parte di quei cittadini che, dopo il terremoto, sono stati collocati in cassa integrazione o sono stati licenziati, oppure sono ancora disoccupati perché le attività produttive ancora non ripartono a pieno ritmo. Cosa dovrebbero restituire questi cittadini? Dove dovrebbero attingere risorse economiche per darle allo stato? A quello stato che li ha discriminati rispetto ai confinanti regionali delle Marche e dell’Umbria. È una vera e propria vergogna.

Anziché perdere tempo nell’accaparramento della presidenza di sparute commissioni, solo per farsi aumentare il gettone di presenza; anziché creare dei castelli in aria per costituire nuovi consigli d’amministrazione per la gestione delle acque pubbliche, in perfetta antitesi con le bellicose dichiarazioni del presidente della regione, volte alla soppressione dei costosissimi Cda improduttivi degli enti partecipati regionali; anziché arrovellarsi il cervello per creare situazioni difficili ed intricate, in maniera da affidare a fedelissimi consulenti il compito di ritrovare il bandolo della matassa magistralmente occultato, non sarebbe stato più opportuno ed urgente individuare gli obiettivi da perseguire prioritariamente per risolvere i problemi più impellenti per la città, per il cratere e per la intera collettività?

Non era necessario istituire un braccio di ferro con la regione e con il governo. Sarebbe stato necessario, urgente e indifferibile mostrare tutta la decisione possibile, ma, nello stesso, tempo esercitare le idonee pressioni, usando, però, tutta la diplomazia del caso. Il sistema del "muro contro muro" non offre alcun risultato positivo, specialmente quando si manifesta la volontà di non far rialzare la testa al capoluogo d’Abruzzo. È stato sprecato troppo tempo ad inseguire le chimere delle piccole e sporadiche concessioni. Si doveva puntare, fin dall’inizio, ad una organica legge, con la quale istituire la cosiddetta "zona franca", quale elemento efficace per i residenti e come oggetto polarizzante per l’attrazione sul territorio di cospicui investimenti economici. Il progetto di legge d’iniziativa popolare in proposito è partito troppo tardi e, anche questa volta, abbiamo dovuto notare il mancato sostegno della grande totalità dei parlamentari, dei coordinatori e dei consiglieri di ogni ordine e grado.

In tutto questo marasma, una sola cosa appare certa: la volontà degli aquilani e dei cittadini del cratere di esercitare con la massima attenzione il diritto di voto alle prossime elezioni politiche ed amministrative.

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