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L’America infiamma la guerra dell’aborto

Il 26 giugno scorso, dopo ben 49 anni, la Corte Suprema degli Stati Uniti, la più alta corte della magistratura americana, ha deciso di abolire la sentenza relativa al diritto all’aborto con 6 voti a favore e 3 contrari[1]. Lo stesso giorno il Presidente Biden ha commentato: “Oggi è un giorno triste per la Corte suprema e per il Paese […] la Corte suprema ha portato via un diritto costituzionale […] un tragico errore.”

Di Gino Fontana e Simona Destro Castaniti.

 

Secondo Brookings, importante organizzazione e rinomato centro di ricerca statunitense, la percentuale di americani che sono a favore della legalizzazione dell’aborto si aggira tra il 25% e il 35%. Più bassa invece la percentuale tra chi ritiene che debba essere vietato: tra il 10% e il 15%; mentre il restante 50% e 65% della popolazione sostiene che dovrebbe essere legale ma con alcune eccezioni[2]. Un dato che non può essere trascurato dalla più grande democrazia del mondo e baluardo del mondo libero. Tuttavia, gli Stati Uniti, sembrano fare un passo indietro nei confronti della garanzia del diritto all’aborto.

Con le elezioni di mid-term alle porte, precisamente a novembre, il tema dell’aborto, con annessa la sentenza della Corte Suprema, sarà uno dei temi centrali del dibattito politico tra candidati Democratici e Repubblicani.

Nel 2020 il numero di interruzioni di gravidanza negli Stati Uniti ha raggiunto quasi il milione, precisamente 930,160[3], anche se altre fonti hanno rilevato invece un numero inferiore: 629,898[4].

Ogni anno, nel mondo si verificano circa 73 milioni di interruzioni di gravidanza (volontarie e non)[5]. Più della metà di questi unsafe abortions, sono stati registrati in Asia, principalmente nel centro e nel sud del continente. Per quanto riguarda invece gli aborti in Africa e in America latina, circa 3 su 4 avvengono in condizioni pericolose. Secondo i dati rilasciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra le cause principali vi sono: emorragie, infezioni, perforazioni uterine e danneggiamento degli organi genitali dovuti all’inserimento di oggetti[6].

Volgendo lo sguardo oltre l’Atlantico, com’è regolata la materia del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza? Quali conseguenze porteranno gli storici legami e l’influenza culturale che tutt’ora esercitano gli Stati Uniti sul vecchio continente?

Innanzitutto, è interessante rilevare la “risposta” europea a distanza di pochi giorni dalla sentenza della Corte suprema americana. Il Parlamento Europeo ha infatti approvato una risoluzione con 324 voti a favore e 155 contrari, che prevede la richiesta di aggiungere il diritto all’aborto nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea[7]. Sebbene la maggiorparte dei membri dell’UE già prevedano nei rispettivi ordinamenti, leggi per l’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) su richiesta, vi sono tuttavia Paesi in cui la situazione è più complessa.

In Polonia per esempio, la possibilità di interrompere volontariamente la gravidanza può avvenire solamente in questi casi: stupro, pericolo di vita per la madre e malformazione del feto. Tuttavia, quest’ultima possibilità è stata rimossa con una decisione del Tribunale costituzionale prevedendo per i trasgressori, sia medico che paziente, fino a 3 anni di carcere. Sempre rimanendo in nord Europa, Finlandia e Gran Bretagna, prevedono le medesime restrizioni, aggiungendo tuttavia un’ulteriore motivazione, ovvero per cause socio-economiche.

Spostandoci in Ungheria, l’aborto è legale dal 1953 ma non oltre la 12 settimana. Tuttavia, il Premier Orban, ha previsto una procedura che tenta di ostacolare l’IVG prevedendo una serie di visite mediche e appuntamenti dagli assistenti sociali, per far desistere la gestante dall’interrompere la gravidanza. La sua motivazione è stata quella di difesa all’integrità della famiglia. Infine, I Paesi dell’UE che invece vietano l’aborto sono Malta, San Marino e il Vaticano.

Nel nostro Paese, la materia è regolata dalla Legge 22 maggio 1978, n. 194, recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza[8].

La promulgazione della citata legge ha segnato un momento di svolta nel panorama giuridico italiano, sancendo definitivamente il diritto alla interruzione volontaria della gravidanza.

Dalla data di entrata in vigore della Legge 194, infatti, è stato abrogato il Titolo X del Libro II del Codice Penale[9], che puniva qualsiasi caso di interruzione di gravidanza commesso con o senza il consenso della donna interessata, ivi compresa l’ipotesi di istigazione all’aborto e aborto procuratosi dalla donna.

In particolare, ai sensi della predetta normativa, viene accordato un importante ruolo ai consultori familiari e alle strutture socio-sanitarie[10], che hanno il compito di accompagnare la donna durante tutto il percorso di IVG, informandola dei propri diritti e delle eventuali possibili alternative alla interruzione di gravidanza.

Andando ad analizzare più dettagliatamente i termini di legge, la IVG è consentita entro i primi 90 giorni di gravidanza nell’ipotesi in cui “la donna accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica”, anche in considerazione del suo stato di salute, delle sue condizioni economico-sociali di vita, delle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o, ancora, nel caso in cui il feto sia affetto da anomalie o malformazioni[11].

Tali previsioni assumono grande importanza se si pensa ai casi in cui il concepimento sia frutto di violenza contro la donna o, comunque, si tratti di contesti familiari caratterizzati da violenza.

Nel caso in cui si ravvisino delle ragioni di urgenza nel procedere alla IGV, il medico competente rilascerà alla interessata un certificato attestante l’urgenza, con cui la donna potrà, quindi, presentarsi nelle strutture autorizzate per praticare l’intervento.

Al di fuori dei casi di urgenza, invece, il medico rilascia un certificato attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta di interruzione, invitando l’interessata a soprassedere per 7 giorni, al termine dei quali, la stessa potrà presentarsi per sottoporsi all’intervento.

Decorsi i primi 90 giorni di gravidanza, l’interruzione è consentita in due ipotesi, previste all’art. 6 della Legge 194: se la gravidanza o il parto comportano un grave pericolo per la vita della donna; e quando siano accertate patologie del nascituro che comportino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

L’intervento di IVG è praticato solo ed esclusivamente dal personale medico e dalle strutture indicate dall’art. 8 della norma: con tale previsione si è inteso rendere illegali tutte le pratiche di aborto “domestico” o “clandestino”, che comportavano un serio rischio per la salute della donna.

Una disciplina a sé è, poi, prevista per l’ipotesi di obiezione di coscienza, ai sensi dell’art. 9 della Legge 194, che stabilisce che l’obiettore è tenuto a comunicare (mediante dichiarazione) la propria posizione al medico provinciale e al direttore sanitario della struttura, nel termine di 30 giorni dal conseguimento dell’abilitazione o dall’assunzione presso la struttura stessa.

In particolare, l’obiezione di coscienza esonera il dichiarante dal compimento di attività volte a determinare l’interruzione di gravidanza, ma non anche dalle attività finalizzate all’assistenza nelle fasi precedenti e successive all’intervento.

In ogni caso, l’obiezione di coscienza non potrà essere invocata nel caso in cui l’intervento si renda necessario per salvare la vita della donna in imminente pericolo.

La normativa prevede, poi, una particolare tutela per la riservatezza della donna, anche nel caso in cui la stessa sia minore: in tale ipotesi, infatti, è necessario l’assenso dei soggetti che esercitano la responsabilità genitoriale sull’interessata, solo nel caso in cui l’intervento sia richiesto entro i primi 90 giorni di gravidanza; tuttavia, nell’ipotesi in cui i predetti soggetti rifiutino di prestare l’assenso, il medico è tenuto a presentare una relazione al Giudice tutelare, che entro 5 giorni può autorizzare la minore a decidere sulla IVG.

Ai fini di un’analisi più dettagliata, non può non menzionarsi il raccordo con la disciplina penalistica prevista dal nostro Codice Penale[12], che commina la pena della reclusione per chiunque cagioni (anche per colpa) l’interruzione della gravidanza o un parto prematuro, senza il consenso della donna.

In particolare, la stessa Legge 194 prevede la pena della reclusione sino a 3 anni per chiunque cagioni l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità previste dalla Legge[13]; invero, la donna stessa sarà punibile in questi casi (salvo l’ipotesi di persona minore o interdetta). Infine, è previsto un aumento di pena nel caso in cui il responsabile sia obiettore di coscienza.

L’art. 21 della Legge 194 prevede, poi, l’applicazione del reato di rivelazione di segreto professionale (ex art. 622 c.p.) per chi riveli l’identità di chi abbia fatto ricorso agli interventi di IVG: tale previsione è volta a tutelare intensamente la riservatezza della donna, anche in un’ottica di prevenzione di eventuali side effects sociali dell’aborto.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, può affermarsi che la Legge 194 ha certamente contribuito a un generale calo del ricorso agli interventi di IVG in Italia, come dimostra anche la Relazione annuale 2021 sull’attuazione della legge 194/1978[14] del Ministero della Salute.

Inoltre, si evidenzia come i dati riportati siano tra i più bassi a livello internazionale.

Da uno sguardo oltralpe, invero, si evince che la normativa italiana si colloca tra quelle più garantiste a livello mondiale, permettendo il ricorso all’aborto nei primi 90 giorni di gestazione, anche a prescindere dall’eventuale pericolo per lo stato di salute della donna.

L’analoga disciplina svedese[15], ad esempio, prevede un limite di 18 settimane entro cui poter ricorrere all’intervento; in Islanda, le donne possono interrompere la gravidanza fino alla 22esima settimana[16]. In Portogallo, invece, la Legge n. 16/2007[17] prevede che l’aborto volontario sia consentito fino alla decima settimana di gravidanza, indipendentemente dalle motivazioni.


[1] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/06/24/la-corte-suprema-usa-abolisce-la-sentenza-sul-diritto-allaborto-_d33b6686-331a-499d-b5cc-56311a5a2bb8.html

[2] https://www.brookings.edu/blog/fixgov/2022/06/24/roe-v-wade-overturned-despite-public-opinion/?fbclid=IwAR2RMcnj8HQL5iXGTQUvJe1LVKCNqueo-d_e6YRxRGKyrH6ZEnwoXl5P-Tc

[3] Vedi analisi in: https://www.pewresearch.org/fact-tank/2022/06/24/what-the-data-says-about-abortion-in-the-u-s-2/.

[4] Ivi.

[5] https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/abortion

[6] Ivi.

[7] https://it.euronews.com/my-europe/2022/07/07/il-parlamento-ue-chiede-di-inserire-laborto-nella-carta-dei-diritti-fondamentali

[8]Legge 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, G.U. Serie Pregressa, n. 140 del 22 maggio 1978 (https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=22302);

[9]Artt. 545-555 c.p.;

[10]Art. 2, L. n. 194/1978;

[11]Art. 4, L. n. 194/1978.

[12]Art. 593bis c.p.; art. 593ter c.p.;

[13]Art. 19, L. n. 194/1978;

[14]Ministero della Salute – Relazione annuale 2021 sull’attuazione della legge 194/1978
Anno 2021 (https://www.biodiritto.org/Biolaw-pedia/Docs/Ministero-della-Salute-Relazione-annuale-2021-sull-attuazione-della-legge-194-1978);

[15] RFSU, About abortion (https://www.rfsu.se/contentassets/48adfec3a7254bd590c07c79766000a8/en_om_abort.pdf);

[16] Government of Iceland, Ministry of Health, Termination of Pregnancy Act, No. 43/2019 (https://www.government.is/lisalib/getfile.aspx?itemid=60ae8fd2-0b91-11ea-9453-005056bc4d74);

[17] Lei n.o 16/2007 de 17 de Abril, Exclusão da ilicitude nos casos de interrupção voluntária da gravidez (http://www.apf.pt/sites/default/files/media/2015/lei_16_2007.pdf).

L'articolo L’America infiamma la guerra dell’aborto proviene da Osservatorio Globalizzazione.

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