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Ivan Illich: lo specchio dell’occidente

Lo studioso Ivan Illich può essere considerato un pensatore "ecologico" ed è stato soprattutto un libero ricercatore che è riuscito a smascherare le ipocrisie dell’occidente, anche perché conosceva ben quattordici lingue.

Illich nacque nel 1926 e morì nel 2002. Fece studi eclettici (storia, teologia, scienze naturali, filosofia, pedagogia) ed era davvero uno studioso ammirevole: “il suo modo di procedere ragiona, rielabora e critica le sue opere precedenti” (La Cecla). Il filosofo era innamorato del presente: “La sua metodologia del distacco, che va dal registro geografico e antropologico a quello linguistico e storico, nasce da una ipersensibilità al presente che sbalordisce in un uomo che avanza negli anni” (Franco La Cecla, antropologo).

Quindi Illich non si poteva incasellare in una delle ideologie in voga in Italia negli anni ’70 e ’80, perché era un uomo che nuotava agevolmente e instancabilmente nella tradizione ebraica e in quella cattolica, nel mondo viennese e in quello balcanico, nell’investigazione teologica e nella critica sociale. Il teologo poteva “scalare” le burocrazie vaticane, ma da uomo semplice e intelligente preferì risparmiarsi i veleni debilitanti delle gerarchie ecclesiastiche, che inacidiscono la mente e il cervello (le burocrazie esistono anche perché sono utili alla stragrande maggioranza dei mediocri: potenti e impotenti).

Chi non ha letto le sue opere, non può ritenersi in grado di capire o insegnare davvero il rispetto, la libertà, la responsabilità e l’obiettività. Nonostante molte posizioni discutibili è ancora oggi un grande autore catalizzatore del pensiero e della libertà intellettuale. Per farvi capire meglio l’originalità delle sue idee e delle sue azioni vi propongo questo estratto sulla “Teoria del bambino bisognoso”: è attraverso Philippe Ariès “che sono stato introdotto alla storicità della percezione del bambino. Probabilmente sono rimasto affascinato da Ariès perché ho sempre provato fastidio quando i figli dei miei amici assumevano un atteggiamento riassumibile nella frase: “Sono un bambino e devi prestarmi attenzione”. È da quando ho compiuto quindici anni che rifiuto di interessarmi o di avere qualunque tipo di relazione con persone simili. Alcuni dei miei amici, dei miei migliori amici, amici di famiglia, mi hanno considerato per tutta la vita un bruto. Tuttavia diverse volte è accaduta una cosa interessante: quando questi ragazzi avevano difficoltà con i loro genitori, si presentavano improvvisamente alla porta di casa mia (questo accadeva quando avevano quattordici-quindici anni). In due casi vennero a cercare rifugio addirittura in un altro continente” (Elèuthera, 2008).

Del resto per Illich la burocrazia della scuola non segue le esigenze e le curiosità dei ragazzi, ma risponde piuttosto ai bisogni di potere delle istituzioni. L’istruzione può segnare negativamente gli studenti solo perché vanno male in una sola materia e troppo spesso si afferma che i ragazzi non possono imparare da soli (quando si sa che nella vita può essere sufficiente far bene una cosa sola per trovare un buon lavoro).

Un altro problema legato all’educazione della sua epoca era quello che riguardava i presunti vantaggi del monolinguismo rispetto al multilinguismo: in realtà “veniva completamente trascurata l’ipotesi che l’Homo monolinguis, questo assunto che riguarda la stessa natura umana, potesse essere un’invenzione recente collegata alla creazione dello Stato-nazione” (Illich, 2008). Inoltre “il sistema universitario è diventato come la televisione. C’è un po’ di questo e un po’ di quello e qualche programma obbligatorio messo insieme in un modo che soltanto chi l’ha progettato può comprenderlo” (2008). La libera discussione dei temi, il dialogo a 360 gradi, il contributo di idee da parte degli studenti è sempre una cosa secondaria e troppo occasionale. Inoltre “tutta la popolazione oggi accetta l’ideologia dei suoi insegnanti come una volta accettava la teologia dei suoi preti… La gioventù vuole istituzioni educative che forniscano effettivamente l’educazione; non vuole essere coccolata maternamente, diplomata legalmente o indottrinata totalmente, e non ne ha bisogno” (p. 156 e p. 168, 1986).

Per lo scrittore della semplicità “quando una parola non è più rivolta direttamente ad una persona, ma ad una massa indistinta, essa non è più rivolta a nessuno. Quando l’apprendimento non è più il processo naturale di ciascuno a contatto con i suoi simili e la natura, ma diventa un curricolo obbligatorio per tutti, finalizzato ad un certificato, esso si blocca e si deforma e vien diffusa più ignoranza che sapere”. Anche oggigiorno “la scuola serve a smorzare il potenziale sovversivo che l’educazione può avere in una società alienata, poiché, se l’educazione viene confinata nella scuola, soltanto coloro che attraverso di essa sono stati piegati all’obbedienza nei gradi inferiori possono essere ammessi ai suoi livelli più alti” (Rovesciare le istituzioni. Un messaggio o una sfida?, p. 142, 1986).

Per quanto riguarda l’ambientalismo il pensatore cattolico affermava questo: la burocrazia ecologista rischia di essere una semplice creazione di istituzioni tutorie, popolate da esperti nel controllo e nella gestione della vita quotidiana. Si crea così una politica sociale che sfrutta la natura e i cui limiti vengono determinati in base alle previsioni dei cosiddetti “esperti” (D. Cayley, 2008). Dunque “la contro-ricerca di alternative fondamentali alle soluzioni attuali prefabbricate è il fattore di cui hanno più criticamente bisogno le nazioni povere se desiderano avere un futuro degno di essere vissuto… La difficoltà d’una simile ricerca sono evidenti. Per prima cosa il ricercatore deve dubitare di qualsiasi cosa appaia come ovvio agli occhi di tutti. In secondo luogo, egli deve persuadere quanti hanno il potere decisionale della società ad agire contro quelli che, a breve termine, sono i loro interessi o creare una pressione per costringerli a farlo” (p. 221, 1986). 

Il cosmopolita Illich pensava che le regole organizzative e gli interessi economici legati alle tecnologie derubano gli essere umani delle loro capacità psicologiche e del processo naturale della morte: l’imitazione meccanica della vita biologica non è la vita umana. A parere del filosofo la medicina può “generare più miseria, più dolore e più invalidità che cure, e allo stesso tempo riduce la capacità della gente di impegnarsi nell’arte di soffrire e morire” (Illich, Elèuthera, 2008). Quando il grande teologo si ammalò di cancro ci lasciò queste parole come testamento spirituale: “L’ossessione della salute perfetta è il male della medicina moderna. Sono vissuto bene e non mi piace vivere troppo a lungo nella sofferenza. Spero di riuscire a salvare l’aspetto umano della vita”. Perché fare una gara fine a se stessa o alle istituzioni mediche per vivere sempre più a lungo? Chi sono veramente questi cristiani che credono nella resurrezione e nel paradiso, conservando e trasmettendo una paura tremenda della morte?

Il pensatore multilingue e pluri-temporale credeva nello spirito del rinnovamento: “Il servizio più importante che si può fare al mondo e agli altri consiste nel girare intorno al proprio cuore” (Illich, 2008). Per lui “la Chiesa romana è la più grande organizzazione burocratica del mondo a livello non governativo… Sorge il sospetto che essa abbia perso il suo rapporto con il Vangelo e con l’uomo” (Rovesciare le istituzioni, p. 82, 1986). Purtroppo idee forti e senza precedenti, portate nella storia occidentale attraverso la cristianità e il Vangelo sono state pervertite in nozioni normative di una crudeltà e di un oscurantismo orribili e non c’è nulla di peggio della corruzione dei migliori”. E alla fine di questa riflessione Illich confessa a se stesso: “So di vivere in un mondo in cui più sono grandi i nostri ideali, più le compagnie di assicurazione diventeranno grandi. Questo comprende anche la Chiesa. La Chiesa è una compagnia di assicurazioni, in senso lato, con polizze sulla virtù, la virtù cristiana, l’amore… la sopravvivenza. E, in un modo alquanto strano, lo è effettivamente perché senza di essa non avremmo una tradizione e non potremmo risalire fino al Vangelo” (Elèuthera, 2008).

L’amico Erich Fromm ha descritto Illich come un pensatore radicale umanista, inteso nel senso del dubbio radicale che promuove l’uomo: “Mediante uno choc creativo gli scritti di Ivan Illich comunicano un messaggio; solo chi reagisce esclusivamente con rabbia a quelle che gli sembrano semplici assurdità, non può intendere questo messaggio”: per gli altri, per tutti, essi parlano la lingua della forza e della speranza che spingono a cominciare di nuovo” (1986). Perciò Illich era anche un impareggiabile e moderno comunicatore: aveva capito “come utilizzare il linguaggio ordinario in quel modo sottilmente osceno che fa vedere a una persona qualcosa di nuovo senza che sappia esattamente il perché” (Illich, Elèuthera, 2008).

 

Bibliografia italiana consigliata:

La perdita dei sensi, Libreria Ed. Fiorentina, www.lef.firenze.it, 2009, www.macrolibrarsi.it.

I fiumi a nord del futuro. Testamento raccolto da David Cayley, www.quodlibet.it, 2009.

Pervertimento del cristianesimo, Quodlibet, 2008.

Conversazioni con Ivan Illich. Un archeologo della modernità, D. Cayley, www.eleuthera.it, 2008 (Qui si svela uno dei più stimolanti, originali, anticonformisti pensatori degli ultimi cinquant’anni).

Esperti di troppo. Il paradosso delle professioni disabilitanti, www.erickson.it, 2008.

Ivan Illich: una voce fuori dal coro, Maurizio Di Giacomo, Milano, 2006, www.ancoralibri.it.

La convivialità, Mondadori, 1974; Red-Studio, 1993, www.borolieditore.it, 2005.

Nello specchio del passato, Red-Studio, 1992; Boroli Editore, 2005.

Disoccupazione creativa, Boroli Editore, 2005.

Nemesi Medica, l’espropriazione della salute, Bruno Mondadori 2004, Boroli Editore, 2005.

Rovesciare le istituzioni, Armando, 1973, 1986 (con una prefazione di Erich Fromm).

Energia ed equità, Feltrinelli, 1974.

Il genere e il sesso, Mondadori, 1984.

Lavoro-ombra, Mondadori, 1985 (qui si parla molto dei sistemi economici informali).

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