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Io non sono riuscito: Scrittura Automatica

Io non sono riuscito è una nuova rubrica di Riciard’s, un angolo
di orizzonte che si è sottratto alla mia cura per affidarsi alle mani
di Alessandro Pagni. Per cui non ve la rifate con me se non vi
piace, ma dopotutto, lo dice lui stesso, Io non sono riuscito...
Spero vi piaccia, Riciard.

Stanotte by alessandropagni.

Foto e testi di Alessandro Pagni,
(lo trovate anche su Flickr: http://www.flickr.com/photos/alessandropagni/)


Scrittura automatica

È notte, metà notte circa, la notte di Natale e io scrivo, cucio, smentisco, ricucio, raccolgo a piene mani, per non pensare al sonno che non c’è, per non pensare agli incubi del giorno e a quelli che di notte mi tormentano e la mattina non ricordo.

È notte e fa il solito freddo bastardo in questa casa, il solito brivido lungo la schiena, la leccata ruffiana sotto la pancia, una mano al collo…davvero, il solito freddo, nient’altro.

Mi guardo in giro, e il buio sembra così profondo da poterci perdere dentro tutti questi pensieri inutili che mi tengono ebete e in sospeso, tutte queste congetture sterili in attesa di un mattino lontano, un pomeriggio lontanissimo, una sera remota e poi ancora la notte a sottrarmi al sonno e poi al mondo.

E tutto per l’attesa di una gioia assassina, che arriva solo a tradimento e rapace come una mannaia, apre ferite invisibili di una profondità da vertigine e si dilegua.

Il sapore di quelle ferite sale alla bocca ed è come succhiare la lama che le ha provocate, il sapore amaro di uno strumento perfettamente gelido e oscenamente affilato, pronto a falciare buoni propositi per l’avvenire e sogni semplici da caminetto, giorni fatti di niente, feste tollerate e torture comandate.

Si sente l’odore del silenzio mescolato alla paura di quel buio amico, l’odore pieno della tenebra che mi avvolge, squarciata solo dalla violenza artificiale di uno schermo acceso.

Mi sento in bilico sul filo dei miei giorni, felice di buttarmi e vaffanculo, felice che sotto non ci sia rete né riparo, solo il lurido, volgare e soffocante asfalto, pronto a farsi materasso per le mie interiora, pronto a raccogliere i miei ultimi pensieri sbrodolati via dalla mia bocca storta e imprecisa.


È solo un’altra notte morta, di tante senza sapere la direzione, di tante piene di tormentate riflessioni e pozzi neri dove affacciarsi per vacillare e avere il brivido di un imprevisto ancora.

Il rumore del niente mi gonfia e rilascia il petto, mi penetra con quell’odore così consistente e inesistente da sembrare un colore morbido, un fumo quasi da guardare, un vapore denso quasi da toccare, zucchero filato da mangiare.

Il silenzio assordante da affrontare, dove nuotare e poi annegare.
E non c’è niente che non sia oggettivamente rimediabile o riscrivibile con le dita sulla tua pelle, o da rincorrere con la mia lingua tra le tue foglie ricurve, non c’è niente che non si possa stringere di nuovo tra le dita e avere ancora la sensazione rassicurante della presa salda e ferma, dell’attimo in cui decidiamo di vivere senza più pensare al mondo.

Non c’è niente che mi riesca stanotte a persuadere che Cristo abbia fatto bene a farsi imbullonare, per sporgersi dal suo scomodo pulpito e sputare sentenze: c’è solo una vita, breve e piena di bugie che ci fanno sopravvivere alle contraddizioni nostre ma anche altrui, chi è senza peccato non scagli pietre ma si penta di quanto è imbecille e cerchi al più presto un rimedio, non un riparo.

Io ho peccato e peccherò ancora, come qualcosa di necessario per nutrire una a una le mie funzioni primarie.

Ho guardato questo buio fino scoprirvi le forme delle cose, ho ascoltato grida di rabbia fino a sentirmi bucare, annusato i tuoi capelli fino a perdermi, raccolto parole stringendo la presa così forte da non sentire più circolare il sangue.

Ho assaporato troppo e troppo affondo per non urtare la vostra beata morale.

Ma sinceramente non mi importa molto… buon Natale.

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