• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Europa > Intermittenti dello spettacolo: chi sono i precari della cultura che (...)

Intermittenti dello spettacolo: chi sono i precari della cultura che protestano in Francia

Gli intermittents du spectacle ("intermettenti dello spettacolo") hanno manifestato a Parigi giovedì 27 febbraio. Erano diverse migliaia, in protesta contro la proposta del Medef (Mouvement des Entreprises de France, il patronato francese), che all'interno di una più ampia revisione dello stato sociale, ha ipotizzato di cancellare il loro statuto, un unicum in Europa.

 

Chi sono gli intermittenti dello spettacolo?

Sono coloro che lavorano nel mondo dello spettacolo e dalla cultura: attori, cantanti, fotografi, ma anche videomaker, registi, montatori, tecnici del suono, musicisti, circensi… Tutti coloro che contribuiscono all’industria culturale e che sono, per la natura stessa di questi mestieri, spesso e volentieri precari. Gli intermittenti beneficiano di un regime fiscale particolare, nato nel 1936, prima nell’industria del cinema, poi esteso a tutti i lavoratori della cultura.

È quindi possibile, per un datore di lavoro, assumere questi lavoratori con contratti a durata determinata, anche molto corti, e rinnovabili per diversi anni: fatto, questo, che non sarebbe consentito all'interno dei regimi classici. Tra i due contratti è lo Stato che, con i sussidi di disoccupazione, “paga” al lavoratore lo stipendio (o la differenza tra lo stipendio e quello che ha lavorato durante il mese). Lo scopo? Compensare e arginare la precarietà degli impieghi, i differenti committenti o la breve durata – anche giornaliera – dei lavori. 

Per beneficiare di questa disoccupazione bisogna lavorare regolarmente 507 ore su 10 mesi. Questo permette di avere le indennità di disoccupazione per 8 mesi. I lavoratori “normali” invece, per avere diritto alla disoccupazione, devono lavorare 610 ore su 28 mesi, maturando un giorno per ogni giorno lavorato. Secondo il Medef questo sistema non è equo: i primi hanno più diritti contributivi dei secondi. 

Va detto che se le 507 ore (tre mesi e mezzo di lavoro, calcolato però sulle 35 ore settimanali di un lavoratore "normale" in Francia) danno diritto a 8 mesi di disoccupazione, queste ultime si contabilizzano su lavori che spesso si basano su tournée, situazioni atipiche o che non contano, per esempio, le ore di lavoro "spese" per realizzare e concepire uno spettacolo. 

Secondo la stima fatta nel 2011 gli intermittenti dello spettacolo in Francia sono 254.394 mila, erano 50mila nel 1989, 100mila nel 1998. Se i lavoratori aumentano, gli stipendi sono invece stabili (o leggermente in diminuzione, in effetti). Si tratta, comunque, di un settore dove non si guadagna molto (neanche 14mila euro all’anno nel 2007, per fare un esempio).

Bello, bellissimo, diciamo noi. È giusto finanziare la cultura, permettere a chi vuole fare un lavoro nel campo artistico di poter sopravvivere – e di essere riconosciuto come un lavoratore, soprattutto. Il problema? Questo regime fiscale è in crisi, strutturalmente in crisi. E, dice la Corte dei Conti francese (rapporto 2012), ha creato un deficit cronico di oltre un miliardo di euro.

Ma sono gli intermittenti il solo problema? In periodo di crisi la Francia ha visto aumentare anche i contratti a tempo determinato e quelli a interim: questi due costano, sempre secondo i dati della Corte dei Conti, 5,592 miliardi il primo, e 1,464 il secondo.

Quali sono le critiche?

Tutti i lavoratori francesi (e i datori di lavoro) pagano i contributi per la cassa di disoccupazione allo stesso ente, l’Unedic (Union nationale interprofessionnelle pour l'emploi dans l'industrie et le commerce) la stessa alla quale li versano gli intermittenti dello spettacolo. Secondo il calcolo della Corte dei Conti un terzo del deficit della cassa di disoccupazione è dovuto agli intermittenti, mentre questi rappresentano solo un terzo dei lavoratori.

Un altro calcolo

L’Unedic, dal canto suo, fa un calcolo un po’ diverso. Abrogare lo statuto degli intermittenti, infatti, non li farebbe sparire. Anzi, in realtà, avendo tutti contratti di breve durata, secondo il regime francese dovrebbero percepire aiuti più alti. Il calcolo complessivo – che trovate dettagliato nel documento sopra – ci dice, in soldoni, che eliminare lo statuto farebbe risparmiare 420 milioni di euro; allo stesso tempo entrerebbero anche 100 milioni di euro in meno nelle casse dello Stato (perché gli intermittenti pagano più contributi sociali: il 10% contro il 6 degli altri lavoratori). Il saldo? Un risparmio di 320 milioni di euro.

Calcoli a parte: la cultura è un settore come tutti gli altri? È su questo argomento che gli intermittenti portano avanti le loro rivendicazioni: "La culture coûte trop cher? Essayez l'ignorance!" ("La cultura costa troppo? Provate l'ingnoranza!") c'era scritto sui cartelli degli intermittenti che hanno sfilato a Parigi e in altre città di Francia. E della stessa opinione è anche Laurence Parisot, ex segretaria del Medef, che difende gli intermittenti, proprio in nome della difesa dalla Cultura. 

Per il governo è una questione assai spinosa: gli stessi dibattiti in Francia si erano già avuti nel 2003. Gli scioperi degl intermittenti dello spettacolo portarono all'annullamento di diverse manifestazioni culturali, tra le quali il Festival di Avignone. L'industria dello spettacolo in Francia è un settore importante, consta di oltre 160mila imprese, e impiega circa il 2,3% dei lavoratori. Più o meno le stesse cifre del settore agricolo. 

 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità