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India, uno scontro elettorale lungo un anno

Si erano scrutati da vicino Rahul e Narendra, in occasione dei trascorsi insuccessi di Gandhi, corrosivi per la sua carriera politica tutta interna alle logiche familiari. Una famiglia che è di per sé una casta.

 Invece Modi si faceva forte di un’autopromozione scaturita dal basso: se non proprio un dalit, è un figlio della classe lavoratrice col padre micro commerciante di thè e lui che s’è fatto da sé. Eppure nella volatona elettorale partita con ampio anticipo (in India si voterà nel maggio 2024) il nuovo Rahul avrebbe pretese di rilancio sostenute dalla speranza guadagnata passo dopo passo coi quattromila chilometri di marcia dei mesi scorsi, un viaggio socio-antropologico nella pancia del Paese dal profondo sud al lontano settentrione. Se fosse ancora quello che era fino alla bruciante sconfitta del 2019 il figlio di Sonia e Rajiv non attirerebbe la vis polemica del partito di Modi, che invece interessandosi a lui mostra qualche nervo scoperto. Ultimamente il ministro della Difesa Singh, ha chiesto le scuse di Rahul per una presunta calunnia rivolta allo Stato indiano tramite i colloqui pubblici con accademici e giornalisti durante un recente viaggio nel Regno Unito. La tesi del partito al potere (Bharatiya Janata Party) è che Gandhi parlando di pericolo per “la democrazia indiana” stia subdolamente cercando un intervento straniero nella nazione-continente. Secondo alcuni commentatori internazionali il caso sembra montato ad arte per attaccare l’uomo politico in recupero di consensi interni. Gandhi ha ripetuto un concetto che sostiene da tempo: il pericolo per la democrazia indiana deriva dalla linea razzista dell’attuale governo di Delhi e costituisce un allarme per la comunità internazionale e la democrazia mondiale. Un passo del suo intervento all’Indian Journalists Association di Londra è esplicito: “Come reagireste se la democrazia scomparisse improvvisamente in Europa? Sareste scioccati... Come reagireste se una struttura grande tre volte e mezzo l'Europa improvvisamente diventasse non democratica. Sta già accadendo. Non è qualcosa che accadrà in futuro. È già successo”.

Una vera stilettata alle ambizioni del premier, al suo desiderio di triplicare il mandato e di lanciarsi nell’ultima fase della sua vita politica - Modi ha settantatré primavere - nell’empireo della leadership mondiale, in virtù anche del gigante nazionale che rappresenta. In un altro intervento il combattente Rahul ha paragonato lo schieramento paramilitare dove Modi ha militato da giovane (Rashtriya Swayamsevak Sangh) e che costituisce un alleato ideologico del Bjp, un gruppo “fascista e fondamentalista simile alla Fratellanza Musulmana”. Probabilmente quel che ferisce l’induista Modi è il secondo termine di paragone, non il primo. Ma oltre al tema delle libertà di appartenenza etnica, culto, organizzazione i temi che risulteranno cogenti nel confronto dei prossimi mesi riguardano questioni palpabili relative all’economia e le conseguenze per occupazione e inflazione reale. Prendiamo le stime offerte lo scorso anno dal governo sulla produzione di cereali (il Paese poggia sull’agricoltura ancora per il 45% del Pil): erano più che ottimistiche. Prevedevano la quota di 111 milioni di tonnellate di grano, due milioni in più rispetto al biennio terribile (2020-21) segnato da lotte contadine e pandemia, nei fatti la quota è scesa a 105 milioni di tonnellate per i picchi di calore che hanno bruciato parte dei raccolti. Per l’anno in corso le ipotesi ricalcano le precedenti, quelle reali non più le presunte. E questo vuol dire che si esporterà meno e il Pil ne risentirà. Sul fronte energetico l’India, che produce e consuma tanto carbone, circa 800 milioni di tonnellate, cercherà di aumentare la quota di 100-150 milioni di ulteriori tonnellate, con un’invasività inquinante senza pari. Su questo la maggioranza tace, seguita spesso anche dagli altri partiti, intenti come tutti a promettere lavoro, più che aria pulita. I mesi a venire mostreranno i vari piani della battaglia. Per ora ci si concentra sull’attacco alla democrazia denunciato dal Congress Party, cui la destra hindu risponde seminando la paura dell’attacco all’India. 

Enrico Campofreda

Questo articolo è stato pubblicato qui

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