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Incubo energetico e minaccia competitiva

L'attuale shock energetico può curarsi da solo con distruzione della domanda e riequilibrio con offerta, ma resta la grave minaccia alla competitività nazionale

 

Non accenna a placarsi la cosiddetta tempesta perfetta che sta soffiando sui costi dell’energia, soprattutto ma non esclusivamente in Europa. Una serie di concause che rischia di mettere in ginocchio la manifattura e le famiglie a causa dell’esplosione dei costi. A livello aziendale, nel nostro paese soffrono le piccole e medie imprese, che pagano di più l’energia. Ma la sofferenza più acuta, quella che rischia di abbattersi sul sistema paese, coinvolge le aziende cosiddette energivore.

Acciaio, cemento, ceramica, fonderie, vetro, calcestruzzo, carta, chimica: la spina dorsale delle produzioni manifatturiere sta subendo uno shock senza precedenti. Il settore energivoro genera ogni anno 88 miliardi di euro di valore aggiunto e impiega direttamente circa 350 mila persone, oltre ad essere la matrice dell’industria. È alle prese con rilevanti investimenti pluriennali di autoproduzione da rinnovabili, spesso dopo inenarrabili odissee burocratiche.

Riequilibrio di mercato?

La fiammata dei costi del gas può essere gestita traslando a valle i maggiori oneri, ammesso che i compratori li assorbano. A quel punto, l’esito è un aumento di inflazione al dettaglio, che tende a sopprimere domanda. Oppure le aziende energivore possono essere costrette a distruggere domanda direttamente, semplicemente cessando le produzioni per antieconomicità causata dai costi delle materie prime.

Nel mezzo, soluzioni adattive ma non risolutive come il ridisegno dei turni di lavorazione durante i giorni e le fasce orarie in cui l’energia costa meno, previo accordo coi sindacati. Oltre al costo della materia prima, ci sono poi gli oneri legati al costo dei “permessi di inquinare”, cioè delle quote di CO2 che gli energivori devono acquistare.

Il cui prezzo è decollato: oggi siamo non lontani dai 100 euro a tonnellata di CO2 contro i poco meno di 20 euro di fine 2020. Anche da questi numeri si coglie l’assurdità di “proposte” come quelle formulate da legislatori non troppo consapevoli: “chi inquina, paghi”, così riusciremo a trasferire risorse a imprese e famiglie. Avere una classe politica così tragicamente inadeguata è da molto tempo la maledizione di questo paese ma oggi, al crescere della complessità ambientale, rischia di essere letale.

Competizione internazionale

Come gestire la crisi? La risposta coinvolge le dinamiche competitive legate al sistema paese e alla sua capacità di esportazione. Se, infatti, da un lato si può anche sostenere che non è la fine del mondo se le dinamiche di mercato fanno il loro corso, e quindi se la domanda viene distrutta sin quando vengono ripristinate condizioni di equilibrio con l’offerta, dall’altro lo shock impatta sulla competitività dei sistemi economici nazionali.

Il rischio è quello che paesi trasformatori possano beneficiare di alleanze geopolitiche con i produttori di energia, per creare emicranie a blocchi rivali. Pare che ciò stia accadendo, almeno a sentire le affermazioni di Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica, pubblicate oggi da Repubblica Affari & Finanza:

I turchi hanno firmato qualche giorno fa con gli amici russi di Gazprom contratti in cui pagano il metano 30 centesimi al metro cubo, un terzo rispetto a noi.

Ci sono diverse motivazioni alla base di questa fornitura a prezzo politico da parte di Mosca, prime fra tutte quella di prendere al guinzaglio l’autocrate turco Recep Tayyip Erdogan e poterlo quindi controllare in caso si allargasse troppo su altri teatri, ad esempio in Siria o nel confronto-conflitto tra Armenia e Azerbaijan. Ma anche il desiderio di dare una lezione alla Ue, tenuta a dieta stretta con le forniture di gas. Come che sia, nulla di inedito né imprevedibile.

Tasche profonde e aiuti di stato

A parte queste incursioni extra-blocco da parte della Russia, è chiaro che i paesi che hanno le tasche più profonde potranno non solo garantire la sopravvivenza dei propri energivori ma anche dare loro vantaggi competitivi sul mercato interno europeo, magari dopo aver ottenuto dalla Commissione Ue un nuovo allentamento della deroga alle norme che vietano gli aiuti di stato.

Quello che pare certo è che la crisi non finirà presto, anche se la sua fine potrebbe essere accelerata (in parte) dalla distruzione della domanda e dagli adattamenti che lo shock di offerta provoca. Oltre alla rimodulazione dei turni di produzione, già ora si segnala che i grandi utenti industriali cosiddetti interrompibili, che in virtù di questa clausola contrattuale ottengono condizioni migliori di fornitura, sono sul sentiero di guerra e si accingono a chiedere una rivalutazione economica del loro ruolo di “centrali di backup” per mettere in equilibrio il sistema.

Sullo sfondo, un mix energetico in cui i paesi che dispongono ancora di generazione di nucleare e non lo stanno dismettendo come invece sta facendo la Germania, sono alle prese con interruzioni causate da importanti interventi di manutenzione a reattori ormai vecchi.

Da tenere presente anche il sistema di sanzioni per mancato conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni nella Ue. Al quale si vuole (ovviamente) assegnare una cogenza che ricorda quella dei tempi che furono sugli scostamenti di deficit e debito, e che promette di alimentare robuste tensioni e rivendicazioni nazionali oltre che accuse di “neolocolonialismo energetico” ed economico. Sono tentato di scommettere su questi esiti.

Alternative problematiche

Superfluo (o forse no) enfatizzare che i tempi di costruzione di impianti nucleari di generazione corrente sono incompatibili con la situazione attuale di crisi. Pare incredibile doverlo ricordare ma tant’è. Tacendo peraltro di costi e tempi di costruzione e della loro irresistibile lievitazione, vedasi centrale francese di Flamanville. Speriamo negli Small Modular Reactor (SMR), ma neppure quelli sono per domani o dopodomani, temo.

A tutto ciò si sommano condizioni avverse sull’eolico, come sta accadendo da qualche mese alla generazione del Mare del Nord, in quelle che vengono definite condizioni di “siccità eolica“. Da ultimo, i sistemi di accumulo a batteria, che sono il pivot al quale sono appese le rinnovabili, ad oggi sono tecnologicamente inadeguati.

Il mercato europeo dell’energia resta unico oltre che unito da interconnettori. Ma nulla garantisce che, se la crisi dovesse peggiorare, quel mercato non vada in frantumi.

L’unica certezza è che, in ambito energetico molto più che altrove, dati i tempi coinvolti per gli investimenti, soprattutto in ricerca, non ammettono proiettili d’argento nel dibattito pubblico. Malgrado ciò, quei proiettili continueranno inesorabilmente a essere fusi e non ci sarà sanzione del ridicolo per i responsabili.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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