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(In)ter(per)culturando: alcune annotazioni su ’Ottobre, ore otto’ di N.Manea

Norman Manea è nato in Romania nel 1936. Da bambino ha vissuto in un campo di concentramento in Ucraina per le sue origini ebraiche. Dal 1986 vive negli Stati Uniti dove insegna.
 
Ha pubblicato romanzi, saggi e raccolte di racconti.
Appartiene a quest’ultima categoria ‘Ottobre, ore otto’ (in Italia edito da Il Saggiatore, 1998, traduzione di Marco Cugno) uscito nel 1981.
Mi ha stupito da subito la pressoché totale assenza di questo libro nell’immenso web italiano. In generale, di Norman Manea si fatica a trovare informazioni, analisi e commenti. E stupisce ancora di più, io credo, dopo aver letto un incipit o una pagina a caso.
 
Costeggiano la fila dei banchi angusti, a un passo l’uno dall’altra. La donna davanti, con andatura decisa. L’uomo a sinistra, con passo legato.
Ginocchio vetroso, che guizza ritmicamente: la mantella rossa, agitata, si apre a ogni caduta che distende la gamba lunga. Il tacco urta il selciato, folgorando il corpo che sussulta, colpito ogni volta dallo shock e dal suono del contatto, ferito, come se la violenza dello scatto nervoso compensasse la sofferenza di una fragilità estrema.
(pag.211)
 
Questo è l’incipit del racconto che dà il titolo alla raccolta, l’ultimo in ordine di lettura.
Un incipit che presenta senza nominare. Dettaglia senza eccedere. Tratteggia ma sfugge alle linearità. Il lettore memorizza che c’è una ’donna davanti’ e un ’uomo a sinistra’ poi viene come trascinato lontano da una folata di vento.
 
Manea spennella i personaggi con precisione sensoriale impressionante, di ogni ’attore’ si arrivano ad acquisire numerose informazioni, come piccoli mondi nel macro mondo della storia. Le stesse sequenze sono spennellate con dovizia di particolari, spessori, colori, odori, movimenti. E’ impossibile non ‘vedere’ ciò che si sta leggendo. E’ impossibile non finire annegati tra aggettivi, nomi, dettagli, miscelazioni in una struttura profondamente consistente, carnale, ’viva’.
 
In ogni storia Manea lavora coi piani temporali, si avvertono intensamente abilità e padronanze nelle gestioni della trama principale quanto delle diramazioni passate. I salti tra piani temporali sono frequenti e immediati, abilmente inseriti negli svolgimenti al punto che in alcuni snodi non si riconoscono finché ci si ritrova dentro. La narrazione parte da un presente che poi si dilata, torna indietro, si riavvolge diverse volte fino a progredire, oltrepassare il presente iniziale.
 
Manea narra chiedendo in continuazione attenzione.
Sensi, simbolismi, virate, tutto nella sua scrittura chiede attenzione. Non esistono mezze misure. C’è una superficie che resta a galla se la lettura è frettolosa, se non ci si lascia il tempo per assorbire e decodificare. E ci sono profondità che attendono annegamenti. Bisogna annegare tra le pagine per poter capire, seguire le briciole invisibili, afferrare intercapedini e cuciture. Annegare adattando il ritmo a una narrazione visionaria ma concreta, abile e potente, cruda e delicata, ’viva’ nelle declinazioni di ‘realtà possibili’ talmente forti nelle costruzioni da essere altrettanto vissute o vivibili da chiunque. Laddove un elemento comune, perfino banale, diventa centro nevralgico di conseguenze, simbolismi e importanze. Un maglione, un mercato, un muro che separa fragilmente abitazioni adiacenti, ricordi frantumati come tanti pezzi dalle forme mutevoli, una zolletta di zucchero da fissare per convincersi che il tè amaro sorseggiato è invece dolce.
 
Dalla finestra dello studio si vedeva il parco. Nella sala d’attesa non c’era più nessuno. Entro pochi attimi si sarebbe aperta la porta. Sono quasi le dodici. E’ primavera.
La prima volta lo vidi più o meno a quest’ora. Anni fa, in autunno, verso le dodici di un giorno ventoso, umido. Levava al cielo la sua disperazione. Urlava impetuoso, ferito, le sue onde salivano verso un cielo fosco, muto. […] Avevo finito il liceo solo da pochi mesi. Avevo perduto la mia città, i compagni di scuola, la famiglia.
Qualche settimana dopo l’inizio dei corsi, l’intera facoltà fu spedita in un cantiere del sud…
(‘Il punto di inflessione’, pag. 129. Esempio di inserimento piano temporale passato.)
 
Era di poche parole. La voce stanca più che severa. Quando, di rado, si accigliava, i suoi gesti si facevano più concitati.
Sobbalzava sulla sedia… Si passava da una mano all’altra il mozzicone di matita spuntato rigirandolo, nervosamente, tra le dita. Non era possibile ignorarlo. Attaccava anche il sonoro sincopato, bizzarro: la soffiata del grosso naso, violaceo, avveniva in fretta, smorzando il piacere che dà la lentezza. Ritornava la voce, in sordina, su un fondo nebbioso, bianco.
Le frasi assumevano a volte una strana oscillazione, come se non le pronunciasse seriamente. A volte fingeva di scherzare, come a evitare qualcosa di doloroso e di misterioso.
(‘Il maestro’, pag. 81. Esempio di descrizione del personaggio.)
 
Ogni estate, la città sulla collina è immersa nel verde. Il verde esplode nel parco della chiesa, alla Cittadella, alla Capanna e nel Bosco, i salici verdi del Fiume circondano la città. L’estate degli abeti e dei salici sventola grandi ali invisibili, in un ribollimento d’aria alto e puro, vampate torride di sangue fremente, tanto che il corpo illimpidito e languente, preso da vertigine, pare attratto e trascinato in alto da vortici astrali; l grosso bulbo batte veloce nel petto, il timpano si assottiglia, le mani cadono e risorgono, gli occhi mendicano, umidi; le ginocchia sono fredde, di pietra, dolgono le tempie e la nuca. Ma il corpo respira ingordamente, un senso di liberazione.
(‘L’estate’, pag. 119. Esempio di descrizione carnale di un’’atmosfera’.)
 
Consiglio la lettura di questa traccia (una delle poche) reperita nel web: articolo del 29 dicembre 2003, da Il Corriere della Sera con un’intervista a Norman Manea: L’Olocausto che ho attraversato.
 
’Ottobre, ore otto’ è uno di quei libri che lasciano tracce anche sullo ’scrivere’, nelle cui intercapedini si celano annotazioni oltre le storie narrate.
Andrebbe affrontato e proposto nelle scuole superiori, una sfida potenzialmente anche formativa.
 
 
Immagine in copertina: George Crosz, Crepuscolo, 1922.

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