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Il vero problema della querelle Travaglio-Santoro

Il vero problema della querelle Travaglio-Santoro

Il vero problema che la querelle Travaglio-Santoro, con contributi di Paolo Flores d’Arcais, Furio Colombo, Barbara Spinelli e Pierluigi Battista, pone sul tappeto è quella dell’incapacità o, semplicemente, della rinuncia del giornalismo italiano all’equidistanza rispetto alle parti politiche o, peggio, della sua dipendenza strutturale e culturale dalle logiche partitiche o di governo. Siamo cioè lontani anni luce sia dall’ autonomia del giornalismo statunitense, sia dall’attenzione spiccata alle regole di autoregolamentazione, la forte professionalità, la sensibilità all’interesse pubblico del giornalismo dell’Europa centro-settentrionale.
 
Questa simbiosi giornalista-politico, questa metamorfosi di giornalisti che prendono parte in prima persona alla contesa politica, fino a identificarsi con la figura stessa del politico, in spregio dei loro doveri professionali verso il lettore o lo spettatore, si è spinta da noi a tal punto che oggi come oggi si arriva a dire che è il direttore del Giornale Vittorio Feltri “a dettare la linea del PDL”: da giornalista (se mai lo è stato) a segretario in pectore del suo partito di riferimento.
 
Quindi, quello che Barbara Spinelli, tra gli altri, rimprovera a Porro, con riferimento all’attacco subito da Travaglio ad Annozero: “Non sembrava un giornalista, l’osmosi con le fattezze del politico era totale”, è cosa che riguarda – con poche eccezioni – quasi tutta la classe giornalistica italiana.
 
Non per nulla Morando Morandini (quello del famoso, omonimo “Dizionario dei film") ha dichiarato che “fare il critico cinematografico mi ha evitato di dover fare il giornalista , mestiere decaduto e degradato al pari dell’intera società".
 
Il vero obiettivo di Porro, vicedirettore del Giornale, non era né quello di vincere il Pulitzer, come ironizza la Spinelli, né soltanto quello di “mostrare a una parte politica di essere suo fedele palafreniere e propagandista, cosa della quale tale parte politica non avrà mai avuto motivo di dubitare, ma soprattutto quello di costringere, a forza di provocazioni su argomenti triti del tutto fuori tema – e perciò ancora più irritanti, il suo bersaglio Travaglio a dismettere il suo quasi proverbiale aplomb, sul quale si basa buona parte della sua credibilità (per lo spettatore di buon senso è più credibile chi espone con pacatezza le sue tesi rispetto a chi urla e sbraita per cercare di far valere le sue ragioni), per mettersi finalmente sullo stesso (basso) piano dei suoi interlocutori. E Travaglio – anziché limitarsi a fargli una risata in faccia, che - da che mondo è mondo - smonta un avversario più di una botta in testa o di una parolaccia - ha abboccato, pentendosene (“forse ero stanco e nervoso per conto mio”).
 
Quindi, prima di scrivere a Santoro, doveva scrivere sul suo diario: “Prometto a me stesso che non cadrò più in tentazione”. Certo, non è impresa facile, giacché il lavorio ai fianchi dei provocatori di professione ( i vari Porro, Sgarbi, Belpietro, Ghedini) è estenuante. Ma se Travaglio tiene alla sua credibilità di giornalista super partes (con buona pace dei P.G. Battista che si arrogano tale nomea e la negano agli altri), capace di dire la sua anche – quand’è il caso - alla sua presunta parte politica (ma lui ci tiene a dire di non essere di sinistra, ma un liberale della scuola di Montanelli) - dovrà abbozzare ed ingoiare il rospo. Tanto più che si è scelto come tribuna proprio la trasmissione di Santoro al quale piace da matti mescolare le carte, provocare la bagarre che ritiene il sale delle sue trasmissioni, tant’è che non si perita di invitare personaggi come Sgarbi, che in una puntata del maggio 2008 interrompeva ogni due secondi Travaglio dandogli ripetutamente del “pezzo di merda”: in tale occasione Travaglio saggiamente non reagì . Continui così (se ci riesce). Giornalisti che prendono parte in prima persona alla contesa politica, fino a identificarsi con la figura stessa del politico, in spregio dei loro doveri professionali verso il lettore o lo spettatore.

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