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Il trasformismo come metodo di governo comunale

Vincere le elezioni comunali con “ mai più con la destra” è stato un bel sogno e come tutti i bei sogni è durato poco rivelandosi un’illusione. Ho sostenuto il sindaco Vincenzo Telesca per diverse ragioni.

La prima perché ritengo fondamentale il rapporto con il modo cattolico ai fini della costruzione dell’alternativa alla destra – centro. Su questo punto continuo a essere dello stesso avviso nella speranza che cambino gli interlocutori; la seconda ragione è che mi sono auto convinto che potesse essere questo l’inizio di una nuova stagione politica per la città di Potenza; la terza è il lavoro che con gli amici e compagni del Comitato Comunità e Sviluppo Basilicata abbiamo fatto per promuovere momenti di confronto tra le forze politiche che vanno dal M5S al civismo cattolico passando da AVS e PD. 

Per l’economia del ragionamento che mi appresto a fare, per il momento, sorvolo sulla questione regionale, mi limito a prendere atto, salvo rare eccezioni, che le opposizioni continuano a non avere nessuna visione di regione. Vivono, per così dire, “alla giornata” rincorrendo l’emergenza. Visto il risultato regionale pensavo che almeno a livello comunale la questione potesse prendere una piega diversa, a distanza di mesi ciò che emerge è che siamo in presenza di un ceto di “politicanti” trasformisti, privi di cultura politica, molti sono solo dei vanesi, nani della politica che guardando le proprie ombre e pensano di essere dei giganti. Non escludo che la società potentina possa apprezzare l’operato riconoscendosi e quindi condividendo le scelte fatte fino ad ora da questa amministrazione comunale.

Purtroppo una società in declino è incapace di guardare la realtà, non è in grado di cogliere il nulla che avanza. Ricordo in primo luogo a me stesso il terribile dato demografico che riguarda la città di Potenza: il saldo negativo tra nati e morti è di 300 – 400 persone in meno ogni anno. Dati Istat per cui presumo attendibili. Andando ai provvedimenti qualificanti l’azione amministrativa il primo dato che emerge, le notizie le apprendo dai giornali locali, riguarda l’ affidamenti diretto di lavori e prestazioni, mi limito ad evidenziare che lo stesso ministero dei trasporti con circolare interpretativa ha chiarito che l’affidamento diretto sotto 150.000,00 euro per lavori e sotto i 140.000,00 euro per forniture e prestazioni non è un obbligo ma una possibilità per cui si l’amministrazione può procedere con gara pubblica nel rispetto di quanto previsto dal Codice degli appalti. Ciò che sicuramente è vietato è lo spacchettamento delle prestazione.

Visto quanto detto in campagna elettorale, penso che in molti si aspettavano una maggiore trasparenza. Al netto delle polemiche, a mio modesto parere pretestuose, legate ad acquisti di immobili da parte del sindaco ci sono due dati che danno il senso della qualità politica di questa amministrazione comunale. Il primo è l’aver proposto di intitolare il belvedere del Parco di Montereale ad un noto esponente di Forza Nuova, il secondo è relativo al tipo di interventi con i quali si pensa di rivitalizzare il centro storico. Sarei curioso di conoscere il bussines planing presentato dagli investitori, qualcuno potrebbe dire che siamo in presenza di rischio di impresa per cui il problema è di chi investe. Una tale osservazione, che non escludo che possa essere fatta, testimonierebbe la pochezza politica dell’amministrazione comunale. Faccio notare che cultura e cucina hanno la stessa etimologia. Il cibo ha a che fare con la cultura di una comunità con la sua identità, per cui pensare che la “mcdonaldizzazione”, mi scuso per il termine orrendo, sia sinonimo di progresso è il segnale del provincialismo della cultura di questa amministrazione comunale. Capisco che in mancanza di idee e di visione meglio accontentare qualche filiera clientelare, facendo la cosa più semplice, che provare a percorrere una via più difficile. 

Cultura, cibo, stili di vita sono legati tra di loro. Sono cosa nota le reprimenda di validi studiosi in merito agli effetti negativi sulla salute di certi tipi di alimenti. E’ cosi difficile per un’amministrazione comunale provare a dare degli indirizzi? Devo presumere che non è cosa difficile se la politica fosse autonoma ed indipendente. Per cui, mio malgrado, sono portato a pensare che i “debiti da pagare” sono davvero tanti e soprattutto pesanti per cui aspettarsi un qualche cambio di passo è cosa impossibile. Ritornando alla questione dell’intitolazione del belvedere del Parco di Montereale a un noto esponente di Forza Nuova, anche questo provvedimento denota l’incultura politica di molti degli amministratori comunali. Purtroppo viene facile pensare che molti di essi, o quanto meno quelli con maggiore influenza , hanno come unico merito quello di essere i garanti di filiere politico clientelari che nulla hanno a che vedere con la necessità di dovere rilanciare la città o almeno tentare di fermarne il declino. Il declino, purtroppo, attiene l’antropologia della società potentina. Molto dipende da come essa si è sviluppata in età moderna. 

Riflettendo sulla questione con onestà intellettuale si capisce che non si possono aspettare risposte politiche diverse. Potenza è una città cresciuta grazie alle filiere clientelari: prima liberali, poi fasciste, in età repubblicana democristiane e consociative. I ceti borghesi cittadini sono passati da un modello di assistenzialismo all’altro spacciando il trasformismo che li caratterizza come adesione a un progetto politico. Di politico nel senso alto del termine non c’è mai stato nulla. La stessa elezione a sindaco di Guarente è da ascrivere alla logica assistenziale che dal punto di vista storico ed antropologico caratterizza la società potentina. Un tempo si votava DC perché partito di potere, poi si è votato centrosinistra e PD perché erano questi gli aggregati politici capaci di garantire assistenzialismo. Quando PD e più in generale il centrosinistra vanno in crisi , gli stessi ceti, è più corretto dire consorterie, si rivolgono alla Lega, quindi Guarente viene eletto sindaco, sperando di potere essere ancora una volta assistiti. 

Questo voto non è stata una scelta di campo. I ceti borghesi potentini, le consorterie che controllano la città, hanno pensano di poter conservare le rendite di posizioni delle quali godono. Non capiscono che il contesto nazionale e internazionale è profondamente mutato con effetti anche sul sistema economico e sociale della propria città. Familismo amorale e mancanza di senso civico, secondo le analisi condotte da Banfield e Putnam, si calzano a pennello. L’elezione di Telesca , al netto di coloro che hanno voluto scommettere su un possibile cambio di passo, rientra a pieno titolo nella logica trasformista e assistenzialista che caratterizza la società potentina. E’ questa una logica nichilista che non va oltre il qui ed oggi. Siamo in presenza di una mancanza di visione. Per onestà intellettuale bisogna anche dire che l’ultimo sindaco di Potenza ad avere avuto una visione di città è stato Vito Santarsiero. Ricordo l’idea del Piano Strutturale metropolitano, gli interventi infrastrutturali miranti a migliorare la mobilità urbana, la promozione culturale, sono questi solo alcuni atti esemplificativi che delineano una visione di città. L’elezione di Telesca a sindaco si comprende ancora meglio alla luce del dato elettorale. Se analizziamo i risultati emerge in modo chiaro che nemmeno i potenziali eletti delle liste a sostegno di Fanelli hanno votato al secondo turno a sostegno del loro candidato sindaco , il che significa che le consorterie lucane hanno visto in Telesca il garante della conservazione del sistema. Segno questo del trasformismo che ispira l’indirizzo politico di questa amministrazione comunale.

Usando la metafora del trikli down, ossia la teoria secondo la quale la ricchezza sgocciola dall’alto verso il basso, le classi popolari potentine si mettessero l’anima in pace, questi non lasceranno sgocciolare nulla. Non sarà la vendita di qualche hamburger venduto in via pretoria capace di invertire le sorti di una città in declino. Alle classi popolari toccherà andare via o accettare la subalternità politica, economica e sociale.            

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