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Il sistema carcerario israeliano è una rete di campi di tortura/1

Quando siamo scesi dall’autobus, un soldato ci ha detto: “Benvenuti all’inferno.”
Dalla testimonianza di Fouad Hassan, 45 anni, padre di cinque figli e residente a Qusrah nel distretto di Nablus, che era detenuto nella prigione di Megiddo. Leggi la testimonianza completa qui.

Welcome to Hell.

The Israeli Prison System as a Network of Torture Camps
Rapporto di B’Tselem
Agosto 2024, pp. 118.

Download (in inglese).

Executive summary

Questo rapporto riguarda il trattamento dei prigionieri palestinesi e le condizioni disumane cui sono sottoposti nelle carceri israeliane dal 7 ottobre 2023.
La ricerca di B’Tselem per il rapporto ha incluso la raccolta di testimonianze da 55 palestinesi che sono stati incarcerati nelle prigioni e nei centri di detenzione israeliani durante questo periodo.
Trenta testimoni sono residenti della Cisgiordania, compresa Gerusalemme est; 21 sono residenti nella Striscia di Gaza; e quattro sono cittadini israeliani (1).
Le testimonianze sono state rilasciate a B’Tselem dopo la scarcerazione dei testimoni, la stragrande maggioranza di loro senza essere stati processati.

Le testimonianze indicano chiaramente una politica sistemica e istituzionale incentrata su continui abusi e torture di tutti i prigionieri palestinesi detenuti da Israele: frequenti atti di violenza grave e arbitraria; aggressioni sessuali; umiliazione e degradazione, fame deliberata; condizioni non igieniche; privazione del sonno, divieti e misure punitive per il culto religioso; confisca di tutti gli effetti personali e condivisi e negazione di un trattamento medico adeguato – queste descrizioni appaiono più e più volte nelle testimonianze, in dettagli terrificanti e con somiglianze agghiaccianti.

Nel corso degli anni, Israele ha incarcerato centinaia di migliaia di palestinesi nelle sue prigioni, che sono sempre servite, soprattutto, come strumento per opprimere e controllare la popolazione palestinese.
Le storie presentate in questo rapporto sono la storia di migliaia di palestinesi, residenti nei territori occupati e cittadini di Israele, che sono stati arrestati dall’inizio della guerra, così come i palestinesi già incarcerati il 7 ottobre che hanno sperimentato l’aumento massiccio di ostilità da parte delle autorità carcerarie da quel giorno (2).

All’inizio di luglio 2024, c’erano 9.623 palestinesi detenuti nelle prigioni e nei centri di detenzione israeliani, quasi il doppio rispetto a prima dell’inizio della guerra.
Di questi, 4.781 sono stati detenuti senza processo, senza che fossero presentate le accuse contro di loro, e senza accesso al diritto di difendersi, in quello che Israele definisce “detenzione amministrativa.” (3) Alcuni sono stati incarcerati semplicemente per aver espresso simpatia per la sofferenza dei palestinesi.
Altri sono stati presi durante l’attività militare nella striscia di Gaza, per il solo fatto di rientrare nella definizione vaga di “uomini in età da combattimento.”
Alcuni sono stati imprigionati per sospetti, fondati o meno, di essere operativi o sostenitori dei gruppi armati palestinesi.
I prigionieri formano un ampio spettro di persone provenienti da aree diverse, con opinioni politiche diverse e un’unica cosa in comune: l’ essere palestinese.

Le testimonianze dei prigionieri hanno messo in luce i risultati di un processo accelerato nel quale più di una dozzina di strutture carcerarie israeliane, sia militari che civili, sono state convertite in una rete di campi dedicati agli abusi sui detenuti. Tali spazi, in cui ogni detenuto è intenzionalmente condannato a un dolore e una sofferenza gravi e inesorabili, funzionano come campi di tortura de facto.

Gli abusi descritti in modo costante nelle testimonianze di decine di persone detenute in diversi istituti erano così sistematici che non c’è spazio per mettere in dubbio una politica organizzata e dichiarata (4) delle autorità carcerarie israeliane.
Questa politica è attuata sotto la direzione del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, il cui ufficio sovrintende al Servizio carcerario israeliano (IPS), con il pieno sostegno del governo israeliano e del primo ministro Benjamin Netanyahu.

L’odioso attacco del 7 ottobre da parte di Hamas e di altre organizzazioni armate palestinesi e il fatto che i civili siano stati presi di mira in modo così diffuso hanno profondamente traumatizzato la società israeliana, suscitando in molti timori radicati e un istinto di vendetta.
Per il governo e il ministro Ben Gvir, ciò ha fornito l’occasione di esercitare una pressione più forte con l’applicazione della loro ideologia razzista, utilizzando i meccanismi oppressivi a loro disposizione. Tra questi, il sistema carcerario, per il quale hanno ideato una politica volta a calpestare i diritti fondamentali dei prigionieri palestinesi.

Il 18 ottobre, il ministro responsabile ha dichiarato uno “stato di emergenza carcerario” come parte della legislazione di emergenza (5) che produce una grave e sostanziale violazione dei più elementari diritti umani dei prigionieri palestinesi.
Koby Yaakobi, uno stretto collaboratore del ministro Ben Gvir nominato da lui come commissario dell’Israel Prison Service (IPS) nell’apice della guerra, ha dichiarato la sua intenzione di “rivoluzionare” l’IPS in conformità con le politiche del ministro non appena entrato in carica, Il declassamento delle condizioni carcerarie è una priorità assoluta (6).

Come rivelano le testimonianze, la nuova politica è applicata in tutte le strutture carcerarie e a tutti i prigionieri palestinesi. Tra i suoi principi principali vi sono la violenza fisica e psicologica, il rifiuto di cure mediche, la fame, la mancanza d’acqua, la privazione del sonno e la confisca di tutti gli effetti personali.
Il quadro generale indica abusi e torture eseguite sotto ordine, in totale disobbedienza agli obblighi di Israele sia nel diritto interno che nel diritto internazionale. Un chiaro indicatore della gravità della situazione e del degrado morale del sistema carcerario israeliano si può vedere nel numero di prigionieri palestinesi morti in custodia israeliana – non meno di 60 [dal 7 ottobre ndt]. Il rapporto include testimonianze fornite a B’Tselem riguardo tre di queste morti.

Thaer Abu ‘Asab, 38 anni, di Qalqiliyah detenuto nella prigione di Negev (Ketziot), è stato trovato morto nella sua cella il 18 novembre 2023. Sul suo corpo erano presenti gravi segni di violenza (7).

‘Arafat Hamdan, un diabetico di 24 anni di Beit Beit Sira che faceva affidamento su trattamenti all’insulina, è stato trovato morto nella sua cella il 24 ottobre 2023, due giorni dopo il suo arresto. Le testimonianze rivelano che gli è stato negato un trattamento medico adeguato.

Muhammad a-Sabbar, un ventenne della città di a-Dhahiriyah che soffriva di una malattia intestinale che richiedeva una dieta speciale, è morto nella prigione di Ofer l’8 febbraio, secondo testimonianze dovute alla mancanza di una corretta alimentazione, cure mediche scadenti e disprezzo sfacciato per la sua condizione.

La transizione da quelli che inizialmente sembravano essere atti di vendetta spontanea ad un permanente e sistematico regime che ha tolto tutte le protezioni destinate a sostenere e garantire i diritti fondamentali dei prigionieri palestinesi è stato reso possibile quando il governo ha sfruttato i suoi poteri per emanare draconiani e nocivi “regolamenti di emergenza”, applicandoli in modo sfrontato, con gravi violazione di molteplici norme e obblighi previsti dal diritto israeliano, dal diritto internazionale dei diritti umani, dalle leggi della guerra e dal diritto umanitario.

Le violazioni includono la pratica diffusa, sistematica e prolungata del crimine di tortura (8).
Altrettanto importante, Israele in queste azioni sta calpestando la morale umana fondamentale insieme ai diritti umani più protetti dei prigionieri detenuti sotto custodia statale.
Gli operatori legali, come la Corte suprema di giustizia e l’ufficio del Procuratore di Stato, apparentemente incaricati di difendere lo stato di diritto e proteggere i diritti umani, hanno chinato la testa in sottomissione all’agenda di Ben Gvir, e ha permesso che gli abusi e la totale disumanizzazione di questi prigionieri diventassero la premessa per l’intero funzionamento del sistema.

Il risultato è un sistema specializzato in torture e abusi, dove, in qualsiasi momento, molte migliaia di palestinesi vengono tenuti dietro le sbarre, la maggior parte senza processo, e tutti in condizioni disumane.

Testimonianze dall’interno: la realtà dei campi di tortura israeliani

Le testimonianze rilasciate a B’Tselem rivelano le seguenti condizioni prevalenti, costanti e diffuse.

Sovraffollamento e affollamento delle celle: le testimonianze indicano che l’occupazione delle celle è più che raddoppiata. Celle destinate a sei detenuti contengono da 12 a 14 prigionieri alla volta, con “eccesso” di detenuti costretti a dormire sul pavimento, a volte senza materasso o coperta.

Dopo il 7 ottobre 2023, […] l’amministrazione penitenziaria ci ha punito collettivamente su base regolare. La prima cosa è stata aumentare il numero di prigionieri in ogni cella da sei a 14.
Questo significava una minore privacy e un’attesa molto più lunga per usare il bagno nella cella. Inoltre, i nuovi detenuti che sono venuti in cella hanno dovuto dormire sul pavimento, perché c’erano solo tre letti a castello.
 Dalla testimonianza di S.B., residente a Gerusalemme est. Leggi la testimonianza completa qui.

Niente luce solare né aria da respirare: alcuni prigionieri si sono trovati chiusi nelle loro celle per tutto il giorno; altri sono stati autorizzati a uscire per un’ora una volta ogni pochi giorni per fare la doccia. Alcuni non hanno mai visto la luce del giorno durante il loro tempo in prigione.

Ci è stato anche proibito di uscire al cortile, a differenza di prima. Per 191 giorni, non ho visto il sole.
Dalla testimonianza di Thaer Halahleh, 45 anni, padre di quattro figli e residente a Kharas nel distretto di Hebron, detenuto nelle carceri di Ofer e Nafha. Leggi la testimonianza completa qui .

Chiamate all’appello violente, aumento della frequenza: secondo le testimonianze, le chiamate all’appello e/o le perquisizioni alla ricerca di cellulari avvengono da tre a cinque volte al giorno.
Nella maggior parte dei casi, i detenuti sono stati costretti a riunirsi in massa, di fronte al muro, con la testa chinata sul pavimento e le mani incrociate dietro il collo, in alcuni casi inginocchiati in prostrazione come durante la preghiera. Queste pratiche non servono più al loro scopo originario, e sono diventate un’opportunità per le guardie carcerarie di scatenare una violenza grave e un altro strumento per umiliare e degradare i prigionieri.

Ci contavano tre volte al giorno. È stato fatto in modo umiliante, con le guardie che urlavano.
L’unità arrivava pesantemente armata con gas e manganelli. […] C’era anche una politica di punizioni collettive e di perquisizioni casuali delle celle circa una volta alla settimana. Ci costringevano a spogliarci e poi ci perquisivano, ci portavano fuori dalle celle nel corridoio e facevano una ricerca approfondita della stanza.
Ci poteva volere un’ora o anche diverse ore, e comprendeva urla, aggressioni e percosse con i manganelli.

Dalla testimonianza di Muhammad Srur, 34 anni, padre di due figli e residente a Ni’lin nel distretto di Ramallah, detenuto nella struttura di detenzione di Etzion e nelle carceri di Ofer e Nafha. Leggi la testimonianza completa qui.

Negazione dell’accesso ai tribunali, agli enti di sostegno e ai consulenti legali: come consentito dal regolamento d’emergenza (9), la stragrande maggioranza dei testimoni ha trascorso giorni, settimane e in alcuni casi mesi prima di essere portata davanti a un giudice per la prima volta, e anche allora, le audizioni si sono svolte in remoto tramite Zoom. La presenza minacciosa delle guardie carcerarie impediva ai prigionieri di lamentarsi con i giudici o di riferire le torture che avevano subito.

Ci hanno portato uno per uno in una stanza dove abbiamo presenziato alle nostre udienze via Zoom.
Nel percorso, i membri dell’IRF mi hanno dato un pugno molto forte nel petto. Una guardia di lingua araba era nella stanza, e ha ascoltato l’intera conversazione tra me, il giudice e l’avvocato.
Ha minacciato che se mi fossi lamentato col giudice, l’avrei pagata. L’avvocato mi ha detto prima dell’udienza che i giudici sapevano già tutto quello che stava succedendo nella prigione, quindi non c’era motivo di parlarne. Tuttavia, nell’udienza mi ha chiesto: “Sei stato esposto alla violenza in prigione?” Non ho osato rispondere, perché temevo che le guardie mi avrebbero picchiato ancora più brutalmente. [… ] Ogni volta che mi portavano nella stanza dove partecipavamo alle udienze su Zoom, sopportavo lo stesso percorso di tortura, pestaggio e umiliazione. Tutti i detenuti della prigione hanno passato questo.

Dalla testimonianza di Firas Hassan, 50 anni, padre di quattro figli e residente a Hindaza nel distretto di Betlemme, che era detenuto nella prigione di Negev (Ketziot). Leggi la testimonianza completa qui.

Le riunioni con il consulente legale sono state negate per periodi sempre più lunghi, fino a 180 giorni, con il pretesto di “esigenze dinamiche sul campo” (10).
La maggior parte dei testimoni intervistati per questo rapporto non ha visto il proprio avvocato una sola volta durante l’intera detenzione. Inoltre, non ha potuto incontrare i rappresentanti del CICR, delle organizzazioni di aiuto e dei diritti umani, dell’Ufficio del difensore civico (11) o di altri organi ufficiali di controllo (12).

Confisca dei beni personali: una delle prime misure prese dalle autorità carcerarie non appena è iniziata la guerra è stata quella di confiscare tutti i beni personali e condivisi che i prigionieri palestinesi tenevano nelle loro celle.

Non avevamo vestiti diversi da quelli che avevamo addosso, quindi non potevamo cambiarli o lavarli veramente. Indossavamo gli stessi vestiti tutto il tempo. Ogni giorno effettuavano una perquisizione e se trovavano un altro indumento, lo confiscavano. Hanno anche effettuato perquisizioni a caso di notte e preso tutto ciò che trovavano. Un prigioniero è rimasto con gli stessi vestiti per 51 giorni.
Dalla testimonianza di Sami Khalili, 41 anni, residente a Nablus che stava scontando una pena detentiva dal 2003 e era detenuto nella prigione del Negev (Ketziot). Leggi la testimonianza completa qui.

Violenza fisica e psicologica incessante. La violenza istituzionale contro i prigionieri palestinesi da parte delle autorità carcerarie è diventata più frequente e più virulenta dal 7 ottobre.
Testimonianze attestano violenze fisiche, sessuali, psicologiche e verbali, dirette contro tutti i prigionieri palestinesi e perpetrate in modo arbitrario, minaccioso, di solito sotto una cortina di anonimato.
La portata della violenza che emerge dalle testimonianze chiarisce che questi non sono incidenti isolati, casuali, ma piuttosto una politica istituzionale, parte integrante del trattamento dei detenuti.
Violenza fisica e intimidazione: spray al peperoncino, granate stordenti, bastoni, mazze di legno e manganelli di metallo, calcio o canna dei fucili, pugni d’ottone e teaser, cani da attacco, percosse, pugni e calci – questi sono, secondo le testimonianze, solo alcuni dei metodi utilizzati per torturare e maltrattare i prigionieri. Questi assalti sono stati descritti come una parte fissa della vita quotidiana in prigione e spesso hanno portato a gravi ferite, perdita di coscienza, ossa rotte e, nei casi estremi, persino la morte.

Mi appoggiai contro un muro. Avevo le costole rotte ed ero ferito alla spalla destra, al pollice destro e a un dito della mano sinistra. Non potei muovermi o respirare per mezz’ora. Tutti intorno a me urlavano di dolore, e alcuni detenuti piangevano. La maggior parte sanguinava. Era un incubo senza parole.
Dalla testimonianza di Ashraf al-Muhtaseb, 53 anni, padre di cinque figli e residente nel distretto di Hebron, che era detenuto nella struttura di detenzione di Etzion e nelle carceri di Ofer e Negev (Ketziot). Leggi la testimonianza completa qui.

Abbiamo vissuto nella paura e nel panico. Le uniche espressioni che vedevamo sui volti delle guardie e delle forze speciali erano rabbia e vendetta. Anche durante l’appello, deridevano i prigionieri puntando su di loro dei raggi laser. Volevano solo che il prigioniero aprisse la bocca per poterlo attaccare, picchiarlo e schiacciarlo.
Dalla testimonianza di Khaled Abu ‘Ara, 24 anni, residente di ‘Akabah nel distretto di Tubas, detenuto nella prigione di Negev (Ketziot).

(Continua qui)

Tratto da B’Tselem.
Traduzione di Alexik.

Note:

1) Dal 7 ottobre, centinaia di cittadini palestinesi di Israele sono stati arrestati per sospetta istigazione e sostegno a organizzazioni terroristiche, a volte per atti minimi come esprimere solidarietà con il popolo palestinese o criticare Israele, la guerra e così via. Mentre la persecuzione politica dei palestinesi, e in particolare dei cittadini palestinesi di Israele, e l’istigazione dilagante contro di loro da parte dei pubblici ufficiali sono cresciute costantemente dal 7 ottobre e mentre la guerra continua, tutto questo va oltre il campo di applicazione della presente relazione. Tuttavia, il rapporto riporta le testimonianze di tre cittadini israeliani che sono stati incarcerati nelle stesse condizioni dei residenti palestinesi della Cisgiordania e hanno subito abusi simili a quelli descritti da altri detenuti (dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme est e la Striscia di Gaza).
2) In questa relazione, i termini “detenuti palestinesi” e “prigionieri palestinesi” si riferiscono ai detenuti palestinesi, ai detenuti condannati e agli amministratori classificati come “prigionieri di sicurezza” dallo Stato.
3) Vedi HaMoked: Center for the Defence of the Individual. A. Tra i 4.781 prigionieri detenuti senza processo, 3.379 sono definiti come “detenuti amministrativi” e 1.402 sono definiti come “combattenti illegali.
4) Un reportage televisivo (in ebraico) di Channel 14, trasmesso il 1° febbraio 2024, mostra un tour della prigione di Negev (Ketziot), durante il quale è stato intervistato il comandante della prigione, generale di brigata Yosef Knipes. Il servizio descrive le dure condizioni in cui gli operativi di Hamas sono incarcerati a causa delle politiche del ministro della pubblica sicurezza Itamar Ben Gvir.
Vedi anche, un articolo (in ebraico) nel giornale ultra-ortodosso “Mishpacha”, che contiene le impressioni su una visita a Ketziot dopo il 7 ottobre. Il reporter si è unito ad un’unità IRF per uno dei quattro appuntamenti giornalieri.
5) Il 18 ottobre 2023, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha dichiarato uno “stato di emergenza carcerario”, che da allora è stato esteso ogni tre mesi nel corso della guerra e fino al presente. Vedi emendamento all’ordinanza carceraria (n. 64 – Ordine temporaneo di Swords of Iron) (Emergenza carceraria) 5784-2023.
6) Vedi un rapporto di Ynet (in ebraico) riguardante una lettera inviata dal tenente generale Koby Yaakobi al comando IPS senior all’inizio del suo incarico. Per una storia in lingua inglese, vedere Haaretz.
7) Secondo vari media, tra cui Haaretz, 19 guardie carcerarie del Negev (Ketziot) sospettate di coinvolgimento nella vicenda sono state interrogate per i presunti reati di lesioni, danni in circostanze aggravate e ostacolo all’indagine. Per quanto ci è dato di sapere, al momento della pubblicazione, nessuno di essi è stato perseguito. Le relazioni indicano anche che cinque dei sospetti erano membri dell’unità IRF ed erano stati trasferiti dall’unità dopo l’incidente. Il loro ricorso per l’annullamento della decisione è stato respinto in tribunale.
8) Il divieto della tortura è uno dei cardini del diritto internazionale. Diversamente da altre norme, il divieto della tortura è assoluto e nessuno Stato può derogare o sospendere la sua applicazione in tempo di pace, guerra o emergenza. Nel corso degli anni, questo divieto è stato stabilito come una regola consuetudinaria che incombe su tutti i paesi, organizzazioni e persone del mondo, indipendentemente dall’applicabilità di qualsiasi particolare trattato internazionale.
9) Il 13 ottobre 2023, il governo ha emanato le norme di emergenza (termini per il trattamento dei combattenti illegali durante la guerra o le operazioni militari) 5784-2023. Il regolamento è stato emanato in conformità della sezione 39(f) della Legge fondamentale dal governo.
Inizialmente era valido per tre mesi, fino al gennaio 2024, e da allora è stato prorogato più volte, l’ultima delle quali fino al 31 luglio 2024.
Vedi a questo proposito, Risposta dello Stato, HCJ 1414/24 Public Committee Against Torture in Israel et al. v. Knesset et al. (in corso), disponibile qui.
10) La legge sull’incarcerazione dei combattenti illegali (emendamento n. 4 e ordine temporaneo di Swords of Iron) 5764 2023, del 18 dicembre 2023, ha stabilito termini più lunghi, che permettono 75 giorni prima che il detenuto sia portato davanti a un giudice (rispetto ai 14 giorni precedenti); l’ordine di confinamento temporaneo può essere esteso fino a 45 giorni (invece di 96 ore, come prescritto dalla legge, Sec. 10(a)(a)(3)); l’incontro con un legale può essere negato per un massimo di 45 giorni, o 180 con l’approvazione del supervisore (rispetto a 10 e 21 giorni rispettivamente). L’ordinanza provvisoria è stata recentemente modificata, prevedendo un periodo massimo di 90 giorni per negare l’incontro con il legale (Incarcerazione di Illegittime Combatants Law (Emendamento n. 4 e Swords of Iron Temporary Order) (Emendamento) 5764-2024 (pubblicato il 7 aprile 2024, Libro delle leggi 3203, pag. 780)).
11) Il primo rapporto del Public Defender sui prigionieri IPS e le condizioni carcerarie è uscito quattro mesi dopo la guerra, il 6 febbraio 2024; vedi sito web dell’Ufficio del Public Defender (ebraico).
12) Come riportato dai media, l’ordine di negare ai prigionieri di sicurezza le visite con rappresentanti del CICR e/o delle organizzazioni per i diritti umani era una direttiva politica 

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