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Il giallo degli stagionali scomparsi

Le aziende utilizzano poco i canali ufficiali per ricerche di personale nel settore Horeca. Difficile valutare veridicità e congruenza delle offerte

 

Egregio Titolare,

questi pixel sono stati tra i primi ad evidenziare che il Reddito di Cittadinanza è più una politica sociale che del lavoro. I fatti hanno ovviamente confermato le impressioni iniziali: la funzione della misura e la sua attuazione rendono la ricerca del lavoro condizione solo accessoria del beneficio e non obiettivo specifico.

Anche perché, dei circa 3 milioni di percettori, una metà non è nemmeno tenuta a cercare lavoro: infatti, si tratta di persone che sono profilate come non immediatamente pronte per l’inserimento lavorativo e come tali non sottoposte alle cure dei navigator, bensì dei servizi sociali dei comuni. Non sottoscrivono, quindi, il Patto per il lavoro che prevede le modalità di ricerca attiva, ma il Patto per l’inclusione sociale, attento appunto a risolvere problemi ancor più prioritari del lavoro, come la casa e la condizione psico-sociale.

Pochi idonei al lavoro

Dunque, dei percettori del Reddito, solo la metà circa è potenzialmente idonea al lavoro. Ma da questa grandezza occorre sottrarre i disabili (che fruiscono dei servizi di inserimento lavorativo previsti dalla legge 68/1999), ed una serie di soggetti esclusi o esonerati dalla sottoscrizione del Patto per il lavoro: persone con carichi di cura, chi risulti affetto da malattia non compatibile col lavoro, studenti di corsi di studio regolari, persone impegnate in attività di formazione.

Alla fine, dunque, persone realmente e potenzialmente disponibili all’inserimento lavorativo ne restano qualche centinaio di migliaia, circa tra i 700.000 ed il milione.

Una cifra di meno della metà del totale dei disoccupati (circa 2,2 milioni) e quasi un quinto del totale tra disoccupati (persone che non lavorano ma cercano attivamente lavoro) e “inattivi” che sono disponibili al lavoro ma non lo cercano (poco più di 2,8 milioni).

Veniamo al punto, Titolare. In Italia vi è un potenziale di circa 5 milioni di persone che non lavorano, dei quali poco meno della metà cerca di lavorare, ma non trova lavoro.

In questa situazione di vasta offerta di lavoro, si creano problemi di mancato incrocio con la domanda delle aziende. In gran parte dovuto a problemi di cattiva programmazione dell’istruzione ed all’assenza di attività formative capaci di produrre qualifiche e competenze nuove e indispensabili alle aziende in tempo reale e on demand.

Grida di dolore

Tuttavia, vi sono settori che pur richiedendo certamente qualificazione, cercano profili professionali che è possibile formare anche sul campo, con una certa agevolezza, perché di natura semplice, per quanto le abilità da avere sul campo non siano per nulla banali. Tra questi settori, quello turistico e ricettivo.

In questi giorni è fortissima la presenza sui media delle lamentele degli imprenditori, i quali affermano diffusamente di domandare lavori anche ben remunerati, ma di non trovare riscontro da parte dei lavoratori, che rifiutano sistematicamente. A leggere le inchieste e gli articoli, parrebbe che il primo responsabile di questo mismatch sia il Reddito di Cittadinanza.

Da qui, sorgono spontanee alcune domande, che hanno anche suscitato iniziative normative fini qui ancora non concretizzate. Le domande sono: perché non obbligare i percettori del Reddito ad accettare le proposte di lavoro del settore turistico-ricettivo? Perché non prevedere che, se la retribuzione risulti inferiore al beneficio percepito, si possa mantenere quanto meno il differenziale, in modo da non disincentivare il lavoro? Perché non si considera congrua anche la proposta di lavoro stagionale?

Si tratta, purtroppo, di domande in astratto corrette e frutto di una sorta di allarme imprenditoriale-economico. Ma, sono del tutto fondate?

Come si è visto, le persone disponibili a lavorare in Italia sono circa 5 milioni. Il settore del turismo allargato, comprendente anche trasporti, logistica ed agenzie di viaggio, oltre che alberghi e ristorazione, occupa tra 1,6 e 2,2 milioni di persone.

Un bacino poco utilizzabile

È immaginabile davvero che quel milione scarso di percettori del RdC provenga tutto dal settore del turismo? Ovviamente no. Una parte molto ampia di percettori non ha nemmeno mai lavorato prima e di per sé non dispone di particolari esperienze lavorative specialistiche, né nel settore del turismo, né in qualsiasi altro settore.

Dunque, i percettori del Reddito di Cittadinanza in generale non rappresentano certo un bacino al quale attingere per acquisire personale già affidabile ed esperto.

Inoltre, è evidente che le attività nel settore turistico richiedono una forte propensione alla mobilità territoriale. Non è, allora, da dimenticare che i beneficiari del RdC percepiscono il reddito perché stanno sotto una certa soglia di ricchezza, molte volte tale da non consentire loro di disporre di un mezzo di trasporto privato, né di potersi permettere la spesa per mezzi di trasporto pubblico: un elemento fortemente penalizzante per l’immissione di queste persone nel mercato del lavoro. Specie nel campo del turismo.

Veniamo, poi, alla questione economica. Molti articoli di giornale evidenziano le lamentazioni di imprenditori che si infastidiscono per il rifiuto di proposte di lavoro remunerate, per esempio, 1.200 euro al mese:

Lordi, netti, orari

Purtroppo, però, poi è difficile apprendere da questi articoli se si tratti di un lordo, oppure di un netto, ma, sopratutto, orari e turni. Uno stipendio da 1.200 euro al mese netti è tutt’altro che disprezzabile, se per un lavoro da 40 ore la settimana. Se, come emerge da altre inchieste, invece la pretesa è un lavoro da 12-13 ore al giorno (con segnate in busta paga solo 6,4 ore), i 1200 sono la facciata di un lavoro remunerato 3-4 euro l’ora. Non il massimo della convenienza, non solo per chi percepisca un sussidio, ma per chiunque.

Ma è proprio vero che il Reddito, di per sé, induca a stare sul divano, perché meglio percepire il sussidio, invece di uno stipendio da 1.200 euro? Questo assioma, largamente utilizzato sulla stampa, sarebbe corretto se il singolo percettore del reddito percepisse in effetti un beneficio economico di 700-800 euro: a quel punto, ogni stipendio di poco superiore o anche di 1.200 euro non sarebbe competitivo.

Quanto incassa un percettore Rdc

Tuttavia, le cose non stanno così. Basta leggere la Relazione annuale Rdc dell’Anpal, che ci ricorda come funziona il beneficio economico:

La maggior parte dei nuclei beneficiari di Rdc/Pdc (61,8%) riceve un beneficio economico mensile di valore superiore a 400 €, con importi più elevati tra i percettori di Rdc rispetto ai percettori di Pdc. Rammentiamo che il beneficio economico previsto dalla misura si compone di due parti:
1. una integra il reddito familiare fino alla soglia annua di 6.000 € moltiplicati per la scala di equivalenza (7.560 € per la Pdc)
2. l’altra, destinata solo a chi è in affitto, incrementa il beneficio di un ammontare annuo pari al canone di locazione fino ad un massimo di 3.360 € (1.800 € per la Pdc).

Laddove sia stato acceso un mutuo è prevista una integrazione pari al massimo alla rata del mutuo (non superiore ai 1.800 € annui). L’importo complessivo, sommate le due componenti, non può comunque superare i 9.360 € annui (780 € mensili), moltiplicati per la scala di equivalenza e ridotti per il valore del reddito familiare.

La componente reddituale è legata, per via della scala di equivalenza, all’ampiezza del nucleo. Per i nuclei che non percepiscono contributi per l’abitazione, l’importo medio mensile del beneficio reddituale è di 514 € nel caso di Rdc (dai 438 € dei nuclei monocomponente, ai 650 € per quelle con 5 o più componenti) e di 216 € nel caso di Pdc (dai 200 € per chi vive solo ai 370 € per i nuclei di 3 o più persone).

È, dunque, nel regno della fantasia la presunzione che i beneficiari singolarmente abbiano sussidi da 600, 700, 800 euro. Quando va bene, è il nucleo familiare che ottiene al massimo 780 euro. La media è invece di circa 500 euro a nucleo: poche centinaia per ciascuno dei componenti.

Nebbia sulle offerte

C’è, poi, un altro problema, connesso alla proposta di lavoro. Giusto pensare di condizionare la percezione del RdC alla ricerca effettiva e all’accettazione del lavoro, ma vi sono una serie di problemi.

Il primo: perché un beneficiario di un sussidio possa decadere, con provvedimento amministrativo, dal beneficio, l’offerta di lavoro che gli si propone deve essere evidentemente chiara, completa e trasparente. Deve indicare il contratto collettivo o aziendale attuato, la sede, l’orario, i turni di lavoro, la regolazione degli straordinari, delle ferie e dei permessi; nel caso, poi, del settore turistico, strategici sono elementi accessori come benefit per i trasporti o l’alloggio.

Una proposta di lavoro sintetizzata in una cifra, 1.200 euro, non significa nulla e non può certo essere fonte di un atto amministrativo che faccia decadere dal beneficio.

Il secondo: l’offerta, quindi, deve essere “congrua”. La congruità sta non solo negli ovvi elementi visti poco prima, ma anche nei requisiti che oggi stabilisce la normativa: 1) coerenza con le esperienze e le competenze maturate; 2) distanza dalla residenza e tempi di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblico; 3) durata della disoccupazione; 4) retribuzione superiore di almeno il 10% del beneficio massimo fruibile da un solo individuo, inclusivo della componente ad integrazione del reddito dei nuclei residenti in abitazione in locazione.

Soprattutto l’ultimo elemento fa capire che l’importo dell’offerta di lavoro, per essere congrua, deve essere di almeno 858 euro netti, regolati da un contratto e senza la possibilità di richiedere prestazioni lavorative orarie ulteriori “fuori busta”.

Il terzo: lo abbiamo accennato anche prima. I beneficiari del RdC nella maggior parte dei casi non dispongono di esperienze lavorative qualificanti. Non deve essere congrua solo la proposta di lavoro, ma anche la figura professionale del lavoratore. Chi fa intermediazione fatica molto ad avviare ad un hotel o un ristorante, per il lavoro di cameriere, persone prive di qualsiasi esperienza o propensione o capacità.

Il quarto: perché domanda ed offerta si incontrino, occorre che esistano entrambe. L’offerta sta sul lato dei lavoratori. Come si è visto essa potenzialmente non manca e riguarda 5 milioni circa di persone.

Le aziende evitano i canali ufficiali

Il problema sta sul lato della domanda. Le inchieste di questi giorni danno l’idea di decine e decine di migliaia di opportunità di lavoro trascurata da chi “preferisce stare sul divano”. Però, è anche utile sapere come chi cerca lavoratori innesca la ricerca.

Noi, ci abbiamo provato, Titolare. Visto che si afferma che non si trovano camerieri, abbiamo provato a fare la ricerca con la voce “cameriere” in tutta Italia sul portale Trovolavoro del Corriere della sera: risultato, 45 annunci.

Vabbè, sarà andata male. Abbiamo provato, allora, anche su Infojobs; risultato, 1.053 offerte

Sarà stata sfortuna anche questa volta. Ultima ricerca su Bachecalavoro: risultato 14.695 offerte. Si tenga peraltro conto che le inserzioni sono per lo più di agenzie di somministrazione: quindi nel totale potrebbero esserci ripetizioni del medesimo posto, visto che i datori cercano la stessa vacancy con più agenzie e poi, giustamente, pagano quella che risolve il problema per prima.

Quindicimila offerte di lavoro per la posizione di cameriere sono molte? In realtà sono pochissime. Se si afferma che la figura professionale manca, ci si dovrebbe aspettare di trovare inserzioni per decine e decine di migliaia di figure di cameriere. Infatti, le posizioni di cameriere corrispondono ad alcune centinaia di migliaia (qui un ordine di grandezza dell’occupazione per bar e ristoranti nell’agosto 2019).

Se le imprese nei canali ufficiali inseriscono inserzioni per poche migliaia, vuol dire che cercano con canali non ufficiali. Il che rende impossibile verificare la congruità delle vacancy ed amplia i rischi di lavori con evasioni retributive, contributive e contrattuali.

Ora, se da giorni campeggia su ogni giornale e su tutti i media audio-video la disperata ricerca insoddisfatta di lavoratori nel turismo-ricettivo ma poi le ricerche di lavoro sui canali ufficiali e trasparenti sono pochissime, è un po’ dura affermare che i lavoratori non si trovano esclusivamente a causa dei sussidi.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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