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Il difficile bilanciamento della Bielorussia

Il Paese è un satellite della Russia, e questo per anni gli ha permesso di godere di una discreta situazione economica. Ma le sovvenzioni russe sono sempre minori. 

Per molti anni la Belarus ha importato a prezzi di favore petrolio e gas naturale dalla Russia, come compenso per la sua posizione dipendente nei confronti di Mosca. Il Paese raffinava il petrolio nei suoi impianti e vendeva i prodotti ai suoi partner commerciali, realizzando guadagni cospicui. Ma quest’estate, quando il prezzo del barile di Brent ha toccato i 43 euro, il vantaggio di questo import-export è quasi venuto a mancare e per la Belarus, governata da quasi venticinque anni dalla stessa persona, Oleksandr Lukashenka, è cominciato un periodo più difficile.

Fra tutti i Paesi europei che sono usciti dal comunismo nei primi anni Novanta, la Belarus è quella che se ne è allontanata di meno. L’80% della sua industria è ancora nelle mani dello Stato: e si tratta di imprese inefficienti, con attrezzature che erano già lì nel periodo comunista. Quel tanto di mercato che hanno è praticamente tutto nell’Unione doganale eurasiana che gira intorno alla Russia.

Per tenere legata a sé la Belarus, Mosca chiude tutti e due gli occhi sull’autoritarismo di Lukashenka e apre, invece, i cordoni della borsa. Nell’ultimo ventennio le sovvenzioni russe hanno rappresentato in media circa il 15% del pil bielorusso. L’istituto di Economia dell’Accademia delle scienze bielorussa ha calcolato che nel 2012 il risparmio sull’acquisto di energia ottenuto grazie alle forniture russe a prezzi di favore sia stato l’equivalente del 16% del pil. La Russia ha potuto finora permettersi simili regali perché la Belarus ha solo dieci milioni di abitanti. Il risultato è che il pil per abitante del Paese è inferiore di appena un decimo a quello della stessa Russia e supera dell’80% quello dell’Ucraina, la cui economia è in declino relativo fin dal giorno dell’indipendenza.

Il vantaggio della Belarus si è comunque venuto assottigliando nel tempo. Nel 2007 Minsk pagava il gas russo da tre a cinque volte meno del prezzo che la Russia praticava alla Polonia; nel 2014, il prezzo è del 55% inferiore. Nonostante questo, la differenza comporta un guadagno pari al 5,5% del pil.

L’influenza russa sulla Belarus è innegabile. Sebbene dall’inno nazionale sia stato concellato il riferimento di un tempo al “fraterno popolo russo”, il russo è la seconda lingua ufficiale del Paese e gli interessi russi permeano largamente l’economia. Nel novembre 2011 la Belarus ha ceduto alla Russia la parte che ancora le rimaneva di Beltransgaz, l’operatore dei gasdotti bielorussi; con gli introiti (2,5 miliardi di dollari), e con un prestito di 3 miliardi ricevuto dal fondo speciale della Comunità economica eurasiana (oggi Unione economica eurasiana) e uno di un miliardo dello Sberbank, la Belarus ha potuto stabilizzare la sua economia, anche se da allora il suo pil è aumentato in media solo dell’1,4% all’anno e l’inflazione ha inciso sui redditi della popolazione fino al 2014.

Se gli idrocarburi riesportati fanno della Belarus, che non è un Paese produttore, uno dei grandi esportatori mondiali, ultimamente le sanzioni europee hanno offerto al Paese la possibilità di trasformarsi in un venditore di parmigiano, scampi e salmone, tutta roba acquistata nell’Unione e rivenduta a Est. Nel complesso, tuttavia, i benefici che la Belarus può trarre dal comprare e rivendere si stanno riducendo, in campo petrolifero perché i prezzi sono ormai bassi sul mercato mondiale, in quello alimentare perché Putin preferisce ormai le iniziative eclatanti (distruggere con il bulldozer frutta e prototti alimentari europei importati illegalmente), per stimolare la risposta nazionalista dei russi, al compromesso di lasciar consumare qualcosa di europeo sotto una finta provenienza. Per l’economia bielorussa si profila ormai qualche difficoltà.

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