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Il colore del sangue: la Fontana di Trevi si tinge di rosso contro le persecuzioni

Al di là di quel modo di dire secondo cui le persone di nobile discendenza lo avrebbero di colore blu, non c’è nessuna differenza cromatica nel sangue neppure tra la maggior parte delle specie animali, figuriamoci se potrebbe essercene tra persone diverse. Per questa ragione il colore assunto dalla Fontana di Trevi la sera dello scorso 29 aprile non dovrebbe essere interpretato come quello del sangue cristiano, com’era nelle intenzioni degli organizzatori riportate dalla stampa, bensì come quello di qualunque persona uccisa a causa delle proprie convinzioni religiose. Anzi, a voler assumere un’accezione ancora più ampia dovrebbe essere quello di qualunque persona uccisa per la propria identità o per le scelte personali, ivi incluse quindi le vittime dell’odio etnico, politico, di genere e così via.

Non che si voglia sminuire la gravità delle persecuzioni contro i cristiani, ci mancherebbe. Né tanto meno si vuole negare il fatto che in tutto il mondo tanti cristiani muoiono per il solo fatto di essere tali. Al contrario, quello che si vuole cercare di fare è evidenziare che non sono solo i cristiani a morire per odio religioso, tantissima altra gente muore per lo stesso motivo e anche la loro morte merita attenzione. L’iniziativa in questione non era a memoria di un episodio specifico, per cui avrebbe avuto perfettamente senso restringere il campo delle definizioni, era abbastanza generalizzata e se si parla di una sola categoria di vittime si comunica implicitamente che i cristiani rappresentano la parte più consistente delle vittime. Il che è semplicemente falso.

I principali esempi riportati solitamente sono quelli dei conflitti nelle regioni mediorientali e africane, in particolare nell’area siro-irachena ma anche in Yemen e Nigeria, solo per citarne alcuni. Zone in cui lo scontro è principalmente tra gruppi religiosi ma in cui i cristiani sono a ben vedere una delle varie minoranze, perseguitata dai fondamentalisti islamici insieme a tutte le altre. La stragrande maggioranza delle vittime degli islamisti sono altri musulmani, che siano di una confessione antagonista come gli sciiti, o di diversa etnia come i curdi, o entrambe le cose come gli yazidi. Non occorre poi chissà quale acume per rendersene conto, è sufficiente vedere chi sono i disperati che preferiscono affidare la propria vita a un’imbarcazione di fortuna pur di non rimanere a casa loro, nel teatro degli scontri. Anche al di fuori di Siria e Iraq sono stati principalmente i musulmani a morire per mano dell’Isis.

Che dire poi di chi è anche solo sospettato di essere ateo. Si muore di ateismo anche dove non c’è guerra, è sufficiente che ci sia islam perché la considerazione della religione musulmana nei confronti dei non musulmani è molto diversa categoria per categoria. Cristiani ed ebrei possono contare su una sorta di trattamento di riguardo rispetto agli altri per via della comune origine, mentre all’opposto gli atei sono ritenuti privi della stessa umanità. Anche questa concezione accomuna musulmani e cristiani, basti pensare alla recente e infelicemetafora di Bergoglio sul cellulare senza campo, ma nel mondo islamico le conseguenze vanno ben oltre l’offesa verbale. In Bangladesh il numero degli omicidi per odio religioso è impressionante, anche nell’ultima settimana la media si è mantenuta alta con l’uccisione del professor Rezaul Karim Siddique, accusato di aver promosso l’ateismo, e dei due attivisti gay Xulhaz Mannan e Tanay Mojumdar. In Yemen la critica alla religione su Facebook è costata la vita al giovane Omar Mohammad Bataweel.

Anche quando gli attacchi vengono condotti nei paesi occidentali a farne le spese sono spesso atei e laici. Erano non credenti i componenti della redazione di Charlie Hebdo trucidati oltre un anno fa, così come dovevano esserlo per ragioni meramente statistiche un’ampia fetta dei giovani morti nella strage del Bataclan. La cosa curiosa è che se a morire è qualcuno che ha rifiutato di limitare la propria libertà d’espressione, come nel caso dei vignettisti francesi, da più parti arrivano accuse di autolesionismo: “del resto se la sono cercata” si sente dire, perché rivendicare la propria fede è sempre una virtù mentre rivendicare le proprie convinzioni a-religiose o il diritto di fare satira diventa una colpa, e se si è in paesi come la Turchia può diventare perfino un reato. O addirittura si arriva a negare la stessa matrice religiosa della barbarie facendo diventare atei gli assassini, perché si sa che a dare addosso a chi non crede non si rischia mai di sbagliare.

Per i professionisti della propaganda cattolicista i cristiani rimangono però sempre la categoria più perseguitata. Il sociologo Massimo Introvigne riuscì a suo tempo a introdurre il meme del cristiano che muore ogni cinque minuti, che si diffuse poi in maniera incontrollata acquisendo dignità di verità. Ma i dati su cui si basava quel calcolo erano alla fine gonfiati perché tutti provenienti dalle stesse fonti e citati più e più volte, e nel mezzo c’erano anche i cristiani morti per mano di altri cristiani come nella guerra in Ruanda. Perché sì, i cristiani non sono stati solo vittime ma spesso anche carnefici, e non solo in epoche lontane ma anche più recentemente, come ad esempio nel genocidio canadese denunciato dal sacerdote Kevin Annet o negli attacchi a Sabra e Shatila.

Non c’è da stupirsi se poi persone come Aristide Malnati, primo a essere aggredito in territorio italiano di cui si ha notizia in tempi recenti per aver manifestato il suo agnosticismo, tenga a dichiarare la sua ammirazione verso chi ha fede, perché questo è il risultato di campagne martellanti che attribuiscono al credente una marcia in più, un valore aggiunto alla sua persona. Personalmente non ammiro né disprezzo nessuno per la sua fede, e sono abbastanza certo che chi mi conosce non mi ammiri né mi disprezzi per il mio ateismo. Siamo tutti esseri umani con le nostre personalissime idee, con il diritto di averle e di non meritare di essere picchiati o uccisi per questo. E tutti con il sangue dello stesso colore della Fontana di Trevi.

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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