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Il cibo della festa come sacralità e cultura

Il cibo da sempre è considerato un elemento indispensabile per la sopravvivenza dell’uomo. Ma cosa non così scontata è che sia ugualmente necessario nutrire la parte culturale dell’individuo.

Se torniamo indietro nel tempo andando ad osservare le varie fasi dell’esistenza degli uomini e della loro aggregazione in comunità, ci rendiamo conto di come il cibo assuma un valore simbolico per la società in cui appartiene, e la cultura che ne deriva. Sviluppa in pratica, il cibo e la sua unione, una serie di progetti che sono importanti per il futuro di tutti gli esseri umani presenti nel pianeta.

La storia ci narra esempi molteplici. Uno per tutti, religiosi e non, l’ultima Cena di Gesù Cristo nella quale durante l’Eucarestia nelle parole citate “poi prese il pane lo spezzò e disse, 'prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi.' Poi prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse, 'bevetene tutti, poiché questo è il mio sangue dell’alleanza verso tutti in remissione dei peccati.' 

Proprio in relazione al cibo inteso come sacro, unione e cultura, numerosi antropologi, sociologi e storici si sono rappresentati, ognuno con il proprio punto di vista, creando un curioso convegno con numerosi interventi che è durato per circa tre giorni, sviluppando una nuova tesi sulla cibo la sua sacralità nelle varie religioni e la cultura. Partiamo per prima cosa dalla Grecia antica, in cui Eschilo parla di banchetti divini in cui gli dei si intrattenevano con nettare e ambrosia, alimenti mitici che sgorgavano dalle corna della capra-ninfa Amaltea, che aveva allattato Zeus neonato. Il cibo quindi nella mitologia greca è inteso come equilibrio nella sfera divina.

Il cibo, poi, nella sacralità del Cristianesimo si compone di quattro elementi: l’acqua il pane di frumento, il vino e l’olio d’oliva. Il pane, il vino e l’olio, appartengono alla cultura mediterranea, dove il cristianesimo (in Israele) si è sviluppato. Quindi il legame che Dio ha con la storia degli uomini. L’acqua, elemento indispensabile per la creazione della vita ed esistenza del corpo. Tutti e tre gli elementi sono sì doni del creato, ma anche segni ed indicazioni precise della storia di Dio con noi e la sua sacralità. Dio in questi luoghi del mondo ha voluto agire con noi nel tempo della storia, e diventate così uno di noi. Il pane quindi, dono della vita quotidiana, come ci insegna il Padre Nostro quando ci invita a chiederlo ogni giorno, il vino invece ci rinvia alla festa, al sabbath, il giorno dedicato alla gioia che proviene dall’incontro con il Signore ed i fratelli.

Anche a Babilonia il pane ed il vino erano considerati elementi di un pasto culturale. Adapa era il fornaio divino. Il pane, ottenuto dalla cottura della farina, con la macerazione dei chicchi, divenne per l’uomo che vedeva oltre la superficie delle cose, simbolo della trasformazione della materia vivente. In pratica la cosa che se consumata può conservare la vita. Il cibo quindi visto come dono del Signore, ma il pane “cotto” ci introduce alla civilizzazione dell’uomo, dagli elementi crudi alla cottura del cibo. Il ricorso al fuoco, un’alchimia di elementi naturali indispensabili. Il pasto quindi, come mezzo di unione, un insieme di norme socioculturali nelle quali alla necessità di alimentazione si legano preferenze unite a valori e gusti che vanno a determinare un’epoca ed un periodo culturale.

Il pasto inteso come un mistero, quasi un “codice da decifrare” un connubio perfetto tra comportamento alimentare ed atteggiamento sociale. Un Codice Divino dove quindi il cibo esprime unione e sacralità fra tutti gli uomini indipendentemente dallo loro credenza e religione. Il cibo quindi non sarebbe associato al sacro ed al suo piacere. Nel consumare un alimento si raggiunge una soddisfazione, che a livello semplice e primordiale sembrerebbe una necessità. Il doversi nutrire per vivere. Ma la gratificazione che ne deriva viene intesa come elemento aggiuntivo del piacere che si prova nel gustare del cibo in abbondanza, e di qui il suo gusto proibito e divino.

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