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 Home page > Tribuna Libera > Il caso Juncker e i paradisi fiscali nell’Unione Europea

Il caso Juncker e i paradisi fiscali nell’Unione Europea

Il Lussemburgo, sotto la guida di Juncker, ha sottratto con politiche fiscali attrattive 2000 miliardi di euro alle casse di altri paesi. 

Ma non c’è solo il Lussemburgo, sono tanti i paradisi fiscali in Europa. Il Belgio fornisce accoglienza fiscale al 20% delle più grandi società del mondo. In Olanda sembra che passino 13mila miliardi di dollari sottratti al fisco. E poi ci sono Monaco, l’Irlanda ed altri stati.

E intanto Juncker, ex-capo del governo Lussemburghese e come tale responsabile della sua politica fiscale, viene nominato presidente della Commissione UE.

È tollerabile la presenza in Europa di paradisi fiscali? È tollerabile che uno dei responsabili politici di questi paradisi conservi la carica di presidente della commissione UE?

La questione in Europa viene trattata con molta cautela e in termini riduttivi. Il problema dei paradisi fiscali nella UE viene ridotto ad un'anomalia, risolvibile con provvedimenti di contrasto all'evasione, la responsabilità di Juncker ad un incidente capitato ad una persona degna di fiducia.

Schultz difende Juncker e cosi anche Padoan. 

E invece la questione è politica e di estrema gravità.

Il Lusssemburgo è un paradiso fiscale, ma è membro della UE e questo è un problema politico. Juncker ha costruito questo paradiso fiscale, ma Juncker è presidente della commissione europea e questo è un problema politico. I trattati consentono la presenza di paradisi fiscali nella UE e quindi la sottrazione di risorse a taluni stati europei a vantaggio di altri stati europei e questo è un problema politico.

Non si può chiedere ai Paesi danneggiati dai paradisi fiscali di far quadrare i bilanci, mentre si consente ad altri di sottrargli, le risorse necessarie per tenere i conti in ordine.

Cosi come non è ammissibile che chi ha favorito, nel proprio paese, la nascita di un paradiso fiscale, possa conservare la carica di presidente della commissione europea.

Juncker in quanto presidente della commissione europea, è garante del rapporto equilibrato tra Stati, assicurato dalla disciplina della concorrenza che regola, tra l’altro, gli aiuti di stato, l’attrazione di investimenti e la loro delocalizzazione. Quale garanzia di imparzialità e di correttezza potrà offrire chi, attraverso aliquote favorevoli, sottrae soldi agli Stati UE per arricchire il proprio Paese? Quale affidabilità ha chi a Bruxelles promette misure contro l'evasione fiscale, mentre in patria adotta una politica fiscale che avvantaggia gli evasori?

Per questo Juncker non può restare al suo posto, si deve dimettere.

La UE non è una unione fiscale e, tanto meno tributaria, ognuno dei paesi europei può applicare le aliquote che vuole. E ciò consente la nascita di paradisi fiscali in Europa, che favoriscono l'evasione, consentono un drenaggio di risorse da un paese ad un altro e così rompe l'equilibrio finanziario tra stati. I paradisi fiscali avvantaggiano i paesi che li hanno e danneggiano quelli che non li hanno. Un fatto distorsivo gravissimo, specie In un periodo di crisi nel quale gli Stati, per attrarre investimenti, fanno a gara a chi offre di più.

La presenza di paradisi fiscali in Europa denuncia l'inadeguatezza dei trattati a garantire un minimo equilibrio tra gli Stati. E tuttavia, la Germania si preoccupa di contrastare l’evasione, ma non di impedire la nascita di paradisi fiscali.

Una raccomandazione o una direttiva che promuovono un’ attività di raccordo e di cooperazione anti-evasione non sono sufficienti ad evitare lo squilibrio finanziario tra Stati. La raccomandazione della Comissione a tutti gli stati membri, di fare una black list di paradisi fiscali e di adottare regole contro gli abusi, non evita politiche fiscali distorsive. E cosi anche una direttiva per lo scambio automatico dei dati tra gli Stati.

E allora, per impedire una leva fiscale distorsiva,occorre colpire ciò che consente il suo utilizzo. Occorre impedire che ognuno dei paesi europei possa applicare le aliquote che vuole, e quindi far uso di strumenti di squilibrio finanziario tra gli Stati. Per l’armonizzazione fiscale è un obiettivo non eludibile, né rinviabile.

Fino ad oggi gli stati europei hanno perseguito interessi nazionali, senza avere una visione d’insieme, una identità definita, del ruolo e della missione dell’UE. È mancata una politica estera europea, una politica industriale, una politica fiscale europea. E tutto ciò ha favorito gli Stati più forti e danneggiato quelli più deboli. Il rigore serve ed è necessario, ma per far fronte alle deficienze interne di ciascun stato e non alle distorsioni, come i paradisi fiscali, che nascono dalla inadeguatezza dei trattati. È ora di voltare pagina, di spazzare via gli strumenti distorsivi che, consentendo il drenaggio di risorse da un paese ad un altro, alimentano questa disparità. È ora di costruire rapporti paritari tra gli Stati. Anche per questo, l’Europa deve diventare una unione fiscale e tributaria.

 

Foto: European People's Party, Flickr

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