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Il caratteraccio degli italiani

Vittorio Zucconi ha colpito ancora. "Il caratteraccio" è il suo ultimo colpaccio (Mondadori, 2009).

Il caratteraccio degli italiani

Questo libro è una panoramica sull’evoluzione ed involuzione sociale italiana, è ricco di spunti storiografici, però per non sovraccaricare il vostro cervello internettiano, aprirò solo due brevi parentesi sul rapporto Stato e Chiesa e sulla Prima Guerra Mondiale.

Partiamo da Roma: “L’Italia serve a Roma perché la mantiene, ovviamente, e perché anche l’Italia ogni giorno di più scristianizzata resta pur sempre il cortile di casa, il retrobottega di una Chiesa Cattolica che la adopera per saggiare la propria residua capacità di influenzare la vita civile di nazioni e società le quali tendono ad ascoltarla sempre meno, sfruttando la debolezza e la vulnerabilità morale di una dirigenza politica sempre troppo ricattabile… Il problema non è sapere quanto potente sia la Chiesa in Italia, ma sapere quanto impotente sia la rappresentanza civile in Italia… Non si possono lamentare ingerenze e intrusioni quando si lascia aperta la porta di casa”.

Questo dualismo si può comprendere meglio analizzando un episodio irrisolto o risolvibile all’italiana: i cristiani che votarono per il Partito comunista italiano il primo luglio 1949. Secondo il Papa e il Sant’Uffizio, questi cristiani erano apostati e quindi furono scomunicati: “Nel momento di esercitare il massimo privilegio della democrazia, il voto, milioni di italiani hanno conosciuto il massimo momento della loro apostasia. Cittadini ed eretici con una croce su un pezzo di carta, una condizione lacerante, un conflitto, direbbe il terapista, sconvolgente, se non fosse che, per sopravvivere, per non cadere in preda a depressioni e turbe, alla fine, quasi tutti se ne fregano… frequentavano le chiese, mentivano al confessore, partecipavano sacrileghi al rito dell’eucarestia, magari soltanto per compiacere la moglie o la madre o per rispetto delle apparenze, almeno fino al 1966, quando Paolo VI (un altro lombardo) ridimensionò, ma senza mai un’abolizione dichiarata, quell’editto” (p. 64). L’antico potere assolutista ereditato dall’impero romano e dal suo pontefice pagano, che stabiliva anche le norme giuridiche, purtroppo non cessa di limitare i nostri orizzonti.

Durante le infernali carneficine della Prima Guerra Mondiale molti reparti degli eserciti Russi, Francesi e Tedeschi subirono dei veri e propri ammutinamenti, e invece i soldati italiani rimasero sostanzialmente passivi, tranne qualche disertore e qualche contestatore. Ci fu la disfatta di Caporetto, ma bisogna pensare che la stanchezza fisica e psicologica fu dovuta soprattutto alla carenza di rifornimenti e di direttive: “Come racconterà un giovane sottufficiale del genio trasmissioni travolto nella rotta di Caporetto, lo scrittore Giovanni Comisso, quando riconobbe un ufficiale in fuga e lo fermò per chiedergli che disposizioni avessero dato gli alti comandi, si senti rispondere: “Niente, non abbiamo sentito niente da loro e alla fine eravamo ridotti a combattere lanciando sassi”. Sarà soprattutto il grande sconfitto, il generale Luigi Cadorna (figlio di papà generale), ad accreditare la tesi dei “soldati che rifiutavano di battersi” e più tardi la propaganda della destra avrebbe insinuato che il virus del pacifismo disfattista, rosso socialista si fosse impadronito della truppa… Come se le undici offensive precedenti sull’Isonzo fossero state portate e subite da altri” (p. 77). Tant’è che sotto il comando del generale Armando Diaz, coordinato ai comandi alleati francesi e inglesi si arrivò al successo di Vittorio Veneto (a Padova c’è il bellissimo museo dell’Invitta”, l’unica armata italiana mai sconfitta). È invece molto probabile che la dissoluzione sociale dell’Impero Austro-Ungarico ci facilitò di molto le cose.

Riassumendo: gli italiani sono ancora reduci da 500 anni di ignoranza e ci vuole ancora un po’ di comprensione. Hanno un’identità molto fragile, per cui sono sempre alla ricerca di un nemico che la rafforzi. Di solito è un nemico interno e probabilmente all’epoca dei romani erano di più gli “italiani” morti nelle frequenti guerre civili (tanto intestine da essere suddivise su più fronti), che nelle guerre di conquista dei territori non “italiani”. I romani e gli italiani discendono da politiche e da eserciti fratricidi e nessun esercito può essere migliore di chi lo comanda (John Keegan).

Perciò sopravvive un’Italia che ama rifugiarsi sotto i campanili e rispolvera dialetti e tradizioni da lasciare in eredità alle sue genti, tutte “espressioni poetiche per dire la loro ignoranza”, sociale, economica, civile e storica (p .86). L’italiano è antimodernista e a seconda dei casi, “Dal Brennero a Lampedusa l’italiano è prima di tutto anticomunista, antiamericano, anticlericale, antilaicista, antifascista, antimeridionale, antiberlusconiano. Siamo contro qualcosa, dunque esistiamo”.

Comunque è da apprezzare lo spazio riservato all’opinione di alcuni studenti americani, che hanno scritto un piccolo saggio per manifestare il loro attaccamento alla scelta di studiare la lingua italiana (naturalmente sono allievi del Prof. Zucconi). Interessante il giudizio di Taylor Johnston: “Negli ultimi centoquarant’anni, l’Italia ha avuto cinque costituzioni, o tentativi di modificarla e non semplicemente emendarla con nuovi articoli come abbiamo fatto noi americani, più o meno ogni tre decenni, fra Costituzione monarchica, fascista, repubblicana, le modifiche volute dal governo di Centro Sinistra e poi cambiamenti ancora più forti voluti subito dopo dal Centro Destra e bocciati temporaneamente da un referendum. Come si potrebbe aver un senso di appartenenza a uno Stato che cambia il proprio documento fondamentale secondo il vento del potere politico?”.

Giudizio finale: Zucconi è sempre Zucconi, ma stavolta mi è sembrato meno sereno. Oggigiorno il maltempo sociale che perdura sull’Italia si può vedere e subire anche a molta distanza.

Vittorio Zucconi è modenese, italiano e americano. Fa il professore universitario americano, il giornalista italiano e a volte si trasforma in uno scrittore italo-modenese con ascendenze toscane. Ha vissuto e viaggiato in molti paesi in tutto il mondo: Giappone, Russia, Cuba, Israele, Francia, Messico, Filippine, ecc. Attualmente scrive per La Repubblica e dirige Radio Capital.

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