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Il Vaticano e quei fatti inauditi e gravi

Il Vaticano e quei fatti inauditi e gravi

“Fatto inaudito e grave… di cui non ci sono precedenti neanche nei regimi comunisti di antica esperienza”. Così si è espresso un certo signor Bertone che lavora, con incarichi di cardinale, per un’istituzione religiosa chiamata Chiesa Cattolica; il suo boss il professor Joseph Ratzinger, d’accordo con il suo subordinato, ha parlato di: “sorprendenti e deplorevoli modalità delle perquisizioni”. Naturalmente si sta parlando dei fatti accaduti a Bruxelles il 24 giugno, quando la polizia è entrata nell’arcivescovado di Mechelen per eseguire una perquisizione.

Come scrive Paolo Flores d’Arcais, nel suo articolo, pubblicato da Il Fatto il 29 giugno, si dovrebbe cominciare pensare, laicamente, alle persone della Chiesa cattolica come a delle persone comuni, come a degli esseri umani che vivono e lavorano nella nostra società. Estensivamente, si dovrebbe percepire questi individui senza l’alone sacro che viene loro sovrapposto dai credenti e anche da coloro che si definiscono ‘non credenti’.

A questo punto, guariti da quella malattia che un buono psichiatra chiamerebbe percezione delirante, cioè, dare un significato ed un senso alterato all’oggetto percepito, si potrebbe guardare queste persone in modo naturale senza fare nessun nesso strano. Fare un nesso strano è, ad esempio: “tutti coloro che portano la tonaca, avendo un rapporto particolare con una certa divinità, sono sacri, vale a dire inviolabili; vale a dire che questi individui, essendo ‘unti da un signore’ fanno parte di una categoria che sta sopra le leggi sovrane dello Stato di Diritto". Questo è un nesso strano, che fa parte della percezione delirante, guarita la quale si può vedere la realtà senza filtri ideologici.

Guarito lo sguardo, questa perquisizione non può più essere percepita come un “fatto inaudito e grave”, ma come una normale operazione poliziesca atta a cercare prove. E lì ce n’erano dato l’opera occulta realizzata in dieci anni dalla commissione indipendente dell’arcivescovado, la quale, vistasi sottrarre il lavoro svolto e tenuto ben nascosto, indignata, ha dato le dimissioni.

Fatto inaudito e grave? Indignazione? Forse queste persone che affermano queste cose e coloro che le ascoltano supinamente hanno perduto il rapporto con la realtà, soprattutto con la realtà umana; hanno perduto non solo il senso del reale ma anche il buon senso comune.

Un fatto inaudito e grave sono le affermazioni antidemocratiche di Navarro Valls che scriveva ad aprile di quest’anno: «Una democrazia deve riconoscere il valore di verità, naturale e generale, della religiosità umana, considerandolo un diritto comune, indispensabile cioè per il bene di tutti (…) non è possibile, in effetti, escludere il valore politico e solidale della religione senza estromettere, al contempo, anche la giustizia dalle leggi dello Stato (…) la religione è un valore umano fondamentale e inevitabile, il quale deve essere valorizzato e garantito legalmente nella sua rilevanza pubblica». Ha proprio scritto così. D’Arcais scriveva, in risposta su La Repubblica il quattro maggio, che, con questo suo dire, Navarro Valls, in effetti, dichiara che «l´ateo, lo scettico, il miscredente, insomma il cittadino che non si riconosca in alcuna "religiosità umana", verrebbe irrimediabilmente colpito da ostracismo, e declassato a cittadino di serie B. Il suo ateismo, infatti, non solo non troverebbe posto in questo discriminatorio "diritto comune", ma verrebbe implicitamente tacciato di essere contrario al "bene di tutti"».

Un fatto inaudito e grave, di cui ci si dovrebbe indignare, sono le affermazioni del professor Ratzinger, alias Benedetto XVI, che continua imperterrito a voler impedire l’uso di profilattici in Africa dove ormai vi sono quasi cinquanta milioni di malati di Aids.

Un fatto inaudito e grave, è ciò che accadde in Rwanda meno di vent’anni fa: un milione di morti. Sono state le vittime del genocidio rwandese nel quale la Chiesa di Roma ha gravi responsabilità, avendo fomentato per anni l’odio razziale fra Hutu e Tutsi. Molti preti hanno partecipato attivamente al massacro dei Tutsi e degli Hutu moderati, compresi circa 200 religiosi cattolici, convinti di combattere il diavolo, di solito attirando i fedeli nelle chiese perché le squadre della morte, gli Interhamwe, potessero bruciarli vivi, mitragliarli o affettarli con i machete. Nel luglio del 1994, quando le truppe del Front Patriotique Rwandais entrano a Kigali mettendo fine ai massacri, la chiesa cattolica cominciò a organizzare una vasta rete per permettere ai suoi membri assassini di sfuggire alla giustizia internazionale. La questione diventerà pubblica solamente nell’aprile del 2001. Negli anni che seguirono il papa Giovanni Paolo II chiederà più volte di liberare i criminali colpevoli di genocidio e ancor ora molti sacerdoti colpevoli dei massacri sono nascosti nelle comunità religiose in Belgio.

Un fatto inaudito e grave è ciò che accadde in Cile nel 1987: nell’aprile di quell’anno, a Santiago, Wojtyla è in visita pastorale da Pinochet, gli stringe la mano, si affaccia con lui al balcone della Moneda. I giornali di destra cileni scrivono: “Due grandi leader anticomunisti si incontrano". Wojtila ha benedetto Pinochet, gli ha dato l’eucarestia anche se le sue vittime hanno guardato a questo come a un atto blasfemo; quando è caduto in disgrazia ed è cominciato il processo per i suoi crimini, il Vaticano ha voluto intercedere a suo favore, così come, a suo tempo, aveva aiutato a mettere in salvo nell’America latina i peggiori capi nazisti e Wojtyla stesso manda alla Camera dei Lords inglesi una lettera perché rifiutino l’estradizione del criminale. Eppure Pinochet è un dittatore sanguinario che ha preso il potere, grazie ai bombardieri americani, con un colpo di stato contro Allende, il presidente democraticamente eletto, ucciso nel 73 a colpi di bomba nello stesso palazzo della Moneda. Nonostante questo Wojtyla fa di tutto perché Pinochet non venga processato, causa malattia, e nel ‘99 rivolge una plateale richiesta di perdono per i crimini da lui commessi. Le Madres de Plaza de Mayo (l’associazione delle madri delle vittime del regime argentino) rispondono con una lettera dove si augurano che, da morto, Wojtyla non riceva il perdono di Dio e vada all’inferno.

Un fatto inaudito e grave è questo: nel1955, l’ex repressore dell’ESMA Adolfo Scilingo ha raccontato in modo particolareggiato al giornalista Horacio Verbitsky la metodologia di sterminio alla quale gli stessi carnefici si riferivano con il termine vuelos (voli). La testimonianza fu in seguito pubblicata in un libro, con il titolo "El Vuelo" (Il volo). Scilingo, nella sua testimonianza, racconta della procedura, dell’autorizzazione della Chiesa Cattolica, dell’utilizzo di iniezioni anestetiche, del tipo di aerei utilizzati (Lockheed L-188 Electra, Short SC.7 Skivan 3M-400), l’ampia partecipazione degli ufficiali, l’utilizzazione dell’aeroporto militare Jorge Newbury (Città di Buenos Aires). In un’intervista di Martín Castellano a Adolfo Scilingo (4 ottobre 1997), quest’ultimo afferma: «I voli furono comunicati ufficialmente da Mendìa (viceammiraglio della Armada, la marina militare) pochi giorni dopo il golpe militare del marzo 1976. Ci è stato spiegato che le procedure per lo smistamento dei sovversivi nell’ Armada si sarebbero svolte senza uniformi, indossando solo scarpe da ginnastica, jeans e magliette. Ci ha spiegato che nell’ Armada i sovversivi non sarebbero stati fucilati, giacché non si volevano avere gli stessi problemi avuti da Franco in Spagna e Pinochet in Chile. E neanche bisognava "andare contro al Papa", ma è stata consultata la gerarchia ecclesiastica ed è stato adottato un metodo che la Chiesa considerava cristiano, ossia gente che si alza in volo e non arriva a destinazione. Davanti ai dubbi di alcuni marinai, si è chiarito che "i sovversivi sarebbero stati buttati nel bel mezzo del volo". Di ritorno dai voli, i cappellani cercavano di consolarci ricordando un precetto biblico che parla di "separare l’erba cattiva dal grano"».

Questi sono fatti gravi e inauditi di cui ci si deve indignare, e ... mi fermo qui.

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