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Il Revenge Porn come punta dell’iceberg

Il discorso erotico contemporaneo è imbottito ancora una volta, nel caso del revenge porn, di tutte quelle retoriche che ancora costellano questi temi.

 

Ancora una volta infatti vediamo che vengono inflazionate semplificazioni che non rendono giustizia alla complessità e alle contraddizioni del tema stesso perché come ogni cosa riguardante il discorso sessuale, in Italia, si ha un investimento ed un’attribuzione di significato moralista e moralizzante.

Non è compito degli articoli divulgativi di tema psicologico stabilire un colpevole ed una vittima, né se la colpa e il danno siano stati causati giustamente o ingiustamente, nè tantomeno sentenziare su quanto adeguata sia la pena giuridica inflitta al colpevole.

Spesso infatti, quando ci approcciamo ad un argomento moralizzandolo, tendiamo a non scavare in profondità, ponendo su esso il semplice epiteto “sbagliato”, e descrivendo i suoi attori in termini di “colpevole”e “vittima”, riducendo quindi un discorso ben più complesso in uno stringato 1+1=2.

Svestendoci e svestendo i suddetti argomenti di quella che è niente più che una categorizzazione binaria, cerchiamo di andare a capire il perché di determinati atti.

Su un campione di 1600 donne, il 61% dichiara di essersi scattata delle foto intime condividendole con qualcuno. Senz’altro voi lettori vi troverete nel restante 39%, ma sappiate che se non siete voi è la vostra compagna di banco, o la vostra collega di lavoro, non le conigliette rosa sul calendario di playboy.

Di queste, il 23% dichiara di essere stata vittima di revenge porn. Anche in questo caso, gli autori della pubblicazione delle immagini non sono mostri a tre teste, ma uomini normali, esattamente come il vostro fidanzato o il vostro ex, come vostro fratello o il vostro migliore amico.

Allontanandoci da visioni moraliste quindi, possiamo notare come alla base di questi episodi risulta una visione della sessualità ancora bigotta, pregna di aspetti di dissenso e svalutazione da parte di tutti e tre i protagonisti del gioco (uomo-donna-cultura).

Iniziando con la cultura, senz’altro, la repressione e la moralizzazione di quello che è un atto sessuale legittimo – compreso l’inviare al proprio partner immagini e video intimi – conferisce potere ricattatorio allo stesso.

Da parte dell’uomo, in quanto il possesso dell’intimità dell’altro lo rende detentore di un grande strumento di esercizio del potere. Sembra quindi scontato esporre a disposizione degli amici del bar le foto intime dell’ultima conquista, come se l’uomo dovesse rappresentare graficamente i risultati della sua ultima performance.

Questo indica anche come spesso l’uomo vive il rapporto con la partner, esternalizzato, a differenza della donna che affronta lo stesso interiorizzandolo molto di più.

Anche da parte della donna però è necessario un cambiamento di visione, perché ancora tanto la sessualità è legata ad un vissuto di vergogna e di colpa ed invece è esperienza legittima e rivendicabile.

A quest’ultimo riguardo, senz’altro una maggiore sensibilizzazione ed educazione alla cultura del corpo potrebbe giovare. Si è infatti creato un immaginario culturale in cui ad alcune parti del corpo viene attribuita una somatizzazione sessuale costante. Per esempio il seno femminile, erotizzato da sempre, a differenza del pettorale maschile: Instagram stesso, censura foto di capezzoli femminili ma non di capezzoli maschili. Come sostenuto da Federico Fumagalli, “privare queste parti del corpo della carica sessuale che viene loro attribuita diventa uno strumento di liberazione”. È ora di una battaglia culturale: rimuovere il sesso dall’oscurità del proibito e pensare ad un’educazione digitale mirata sono le basi da porre per una nuova presa di coscienza e per una futura cooperazione per e tra i generi diversi

In tutto questo inoltre, è necessaria una riflessione sulla scarsa presa di posizione dell’uomo a riguardo. I social e i giornali sono pieni di femministe di quarta generazione che parlano dell’argomento ma soltanto pochi uomini si sono espressi a riguardo ( https://www.facebook.com/watch/live...). Questo perché, come ci suggeriscono gli stessi filosofi, gli uomini non sono stati educati a riflettere sulla loro interiorità, convinti di non doversi occupare di ciò che direttamente non li riguarda.

Quando decidono di farlo, inevitabilmente, risulta per loro troppo tardi: non hanno sviluppato, ancora, quell’abilità lessicale e quella complessità linguistica tale da affrontare questi temi.

L’espressione stessa “Revenge porn” ne è un esempio calzante. Gasparrini infatti, riguardo a ciò, tende a sottolineare che “utilizzare la parola vendetta nel definire il fenomeno porta avanti il modello di reazione a qualcosa, ponendo ancora una volta la colpa nella persona che ne diventa vittima”.

L’utilizzo stesso del termine vendetta quindi sembra semplificare, come in uno scambio, talvolta considerato addirittura equo, un fenomeno che può essere considerato niente di più che la punta dell’iceberg di qualcosa di estremamente più complesso, un sintomo di una società moralizzante che trova il libero sfogo nell’apparente neutralità dei gruppi telegram per sentire accettato e liberare il prestazionismo mascolino, nato a contatto con un modello di oggettivazione del corpo e della sessualità femminile. Unito a ciò si lega la visione del potere in relazione alla simbolizzazione sessuale del corpo della donna visto come arma di vendetta utilizzabile contro di essa.

I tabù radicati nella società sono ben lungi dall’ essere estirpati. L’individuo proiettato in se stesso si adora soddisfatto e solitamente non osserva l’altro, scordandosi di intercettare i suoi desideri e bisogni. Un narcisismo dal quale emerge poi la violenza, nei modi, nelle parole, e spesso nelle immagini. Se da sempre quindi “gli uomini danno retta agli uomini” e il cameratismo è per loro così necessario è senz’altro fondamentale partire da lì nella strutturazione di un’educazione sessuale ed emotiva.

 

Tirocinante: Margherita Stivè

Tutor: Fabiana Salucci

 

Bibliografia:

https://www.facebook.com/watch/live/?v=529168844467496&ref=watch_permalink

 

Immagine:

progetto “L’ego” – 1522 – Gabriele Milani

Foto di StockSnap da Pixabay 

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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