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Il Italia il narcotraffico fattura 30 miliardi di euro all’anno

In Italia il fatturato del narcotraffico è pari a 30 miliardi di euro, di cui 20 reinvestiti di ambito economico. Questi due dati sono sufficienti a dimostrare l’importanza, anche a livello economico, del narcotraffico, nel nostro Paese.

Queste ed altre informazioni sono contenute in un articolo di Roberto Galullo, pubblicato da “Il Sole 24 ore”.

Le fonti di Galullo sono diverse, dalla relazione della Dnaa (direzione nazionale antimafia e antiterrorismo) ai documenti prodotti dall’Unodc, l’ufficio dell’Onu su droghe e crimine. Nella relazione della Dnaa si può leggere, fra l’altro:

“La strada che stiamo percorrendo ci condurrà a sistemi economici e sociali nei quali, progressivamente, i beni e i servizi che acquisteremo, i supermercati dove andremo quotidianamente, i ristoranti e gli alberghi in cui ci recheremo con le famiglie, il lavoro che avremo, ci saranno, in larga parte, forniti dalla emanazione di associazioni criminali.

In questa prospettiva, inoltre, per una qualsiasi persona onesta, mettersi sul mercato e iniziare una qualsiasi attività economica sarà come partecipare a una gara truccata, perché i concorrenti potranno lavorare in perdita, disponendo di liquidità gratuita e quasi illimitata”.

E, secondo l’Unodc, il narcotraffico, a livello globale, rappresenta il più grande affare per il crimine transnazionale, con l’1% del Pil mondiale, cioè circa 560 miliardi di euro.

Le stime sull’incidenza del narcotraffico sul Pil italiano, sempre secondo l’Unodc, oscillano fra lo 0,4% e il 3,9%, con un valore medio del 2,15 %, pari al valore dell’intera produzione agricola nazionale, ovvero a circa la metà dell’incidenza sul Pil nazionale dell’intera filiera produttiva e commerciale generata dal settore automobilistico (nazionale e no): dai produttori di parti meccaniche fino alla rete dei concessionari.

Numeri davvero impressionanti. Ma non finisce qui.

Il ciclo economico del narcotraffico ha una capacità di generare utili pari a quasi il 90% del suo fatturato complessivo, un dato che non ha eguali in alcun comparto economico.

Ciò vuol dire che ad ogni ciclo acquisto/ trasporto/vendita di narcotici – detratti i reinvestimenti – il 90% circa del complessivo fatturato, essendo in surplus rispetto alle esigenze del commercio, viene necessariamente investito in settori finanziari, economici e criminali che nulla hanno a che vedere con gli stupefacenti.

In Italia, pertanto, considerando il fatturato di circa 30 miliardi di euro annui, detratti progressivamente un 10% di costi, un 10% di investimenti in altre attività criminali e un 10% dovuto all’attività repressiva dello Stato, le mafie narcotrafficanti reinvestono circa 20 miliardi di euro in attività finanziarie ed economiche diverse dal loro specifico settore.

E, leggendo il paragrafo della relazione della Dnaa dedicato alle droghe sintetiche, si evidenzia la complessiva sottovalutazione del fenomeno da parte di chi ha responsabilità nell’azione di contrasto.

In Europa nel 2013 (ultimo dato utile per un raffronto) sono state sequestrate 9 tonnellate fra amfetamine e metamfetamine ma in Italia, dove la diffusione è nella media europea, solo 14 kg (tre volte meno dell’anno precedente), cioè 650 volte meno del complessivo quantitativo sequestrato in Europa.

“Si ha la netta evidenza – si legge nella relazione – che non solo gli inquirenti non abbiano neanche un’idea approssimativa dei circuiti criminali che governano questo settore, ma che la stessa normale azione di controllo, quella banale e di routine che si deve svolgere nei luoghi in cui è ovvio che vengano smerciate queste sostanze, è assolutamente carente”.

In Italia, quindi, le indagini sulle droghe sintetiche sono all’anno zero, abituati come siamo a badare solo al narcotraffico tradizionale.

E’ necessaria, pertanto, una svolta radicale visto che, come spiega la Dnaa, “nell’attuale situazione il sistema investigativo/repressivo non trova sufficienti stimoli ad autoriformarsi in quanto raggiunge comunque degli obiettivi”.

E Galullo, di conseguenza, scrive:

“Così, sul piano dell’innovazione delle prassi investigative, è indispensabile ampliare lo spettro delle attività d’intercettazione (anche grazie a una riforma che obblighi i gestori delle reti di comunicazione via pc, Google, Whatsapp, Facebook, ad avere una sede legale in Italia per evitare sfibranti e lunghissime rogatorie internazionali) verso il mondo delle professioni e della finanza, perché sono loro a spostare la fetta più grande dei miliardi.

Queste attività andranno svolte in parallelo con quelle sul vero e proprio narcotraffico perché così sarà possibile cogliere le interazioni fra i due mondi.

Le forze dell’ordine devono iniziare a conoscere ambienti nuovi (e, quindi, sia quelli delle droghe sintetiche che quelli ove si pratica il riciclaggio) e i salotti che gestiscono le transazioni finanziarie che si sviluppano parallelamente al traffico attraverso una rete d’informatori di rango più elevato che oggi non esiste.

Fondamentale, continua la Dnaa, sarà rivitalizzare l’azione degli agenti sotto copertura, non solo nel tessuto che gestisce l’approvvigionamento dello stupefacente, ma anche in quell’area professionale e finanziaria.

La procura nazionale – in questa nuova visione di contrasto al narcotraffico – vuole giocare da ‘prima punta’ e non più da spalla.

E’ però necessario che si metta mano ad alcuni istituti procedurali che – pur mantenendo intatta l’autonomia delle Dda nello svolgere le indagini – permettano alla Dnaa d’intervenire laddove ravvisi una vera e propria inerzia, avocando le indagini. Gli strumenti, si legge nella relazione, andrebbero integrati con la previsione di poteri nella gestione del sistema degli agenti sotto copertura, non solo verso gli organi giudiziari ma anche verso la polizia giudiziaria.

Senza dimenticare il rafforzamento dei ranghi. Tenuto conto che il numero totale dei pubblici ministeri addetti alle 26 direzioni distrettuali antimafia è di 166 unità, a ciascun magistrato toccano tre nuovi procedimenti all’anno per il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Se non si cambia registro, insomma, l’economia e la società saranno narcotizzate. In tutti i sensi”.

Ma si cambierà registro?

Si realizzerà davvero una svolta? Certo, sarebbe necessario. Ma, purtroppo, non è affatto scontato.

 

Foto: Katlaps/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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