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Il Giro a Roma: la presa in giro dei romani

La tappa conclusiva del 106° Giro d’Italia con volatona sui romani Fori Imperiali, molto desiderata dalla politica locale e nazionale, rileva un particolare che irrita quei ciclisti non professionisti quotidianamente alle prese con la carenza di percorsi in sicurezza e piste ciclabili nell’Urbe Magna.

 Tralasciamo (ma non troppo) questioni annose affrontate da centinaia di servizi giornalistici, sempre inascoltati dagli amministratori, con cui si denuncia la promozione-propaganda di pseudo piste ciclabili in centro e in periferia. Di fatto pericolosissime per i ciclisti che sul tragitto trovano ostacoli d’ogni genere e quando li evitano rischiano d’essere investiti dalle auto. Tralasciamo pure l’inverosimile accesso sulle ciclabili - si prenda ad esempio l’unica degna di questo nome che va da Magliana a Castel Giubileo, per poco più di 30 km - ai podisti, roba che in Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi e ovunque la cultura della bicicletta è radicata, farebbe inorridire quegli amministratori, perché tale promiscuità può produrre seri incidenti a entrambi, ciclisti e podisti. Ma il pedalatore capitolino sa che sulla ciclabile incontra altresì: mamme col pargolo in carrozzina (signora stìa attenta!! e che nun ce posso sta’ qui?), cani d’ogni taglia tenuti al guinzaglio dai padroni distratti dal telefonino, disabili sospinti da badante anch’esse impegnate al cellulare, pensionati a passeggio, coppiette romanticamente mano nella mano, come se per tutti costoro mancasse spazio altrove… Insomma, dopo tale rischiosissima gimkana il ciclista o cicloamatore può compiacersi con l’attuale Giunta d’aver stanziato 1.5 milioni di euro per l’organizzazione dell’ultima tappa del Giro.

I denari, sia chiaro, non vengono dalle casse del Campidoglio, ma da un capitolo di spesa del Pnrr con cui il sindaco Gualtieri e l’assessore Onorato si fanno belli per un giorno pagando a Rcs dell’imprenditore Cairo i diritti per la conclusione della manifestazione agonistica e poi all’arraffatutto 'Zetema' una mostra fotografica, in realtà miserella. Ci sono quasi esclusivamente immagini anni Cinquanta, Sessanta, Settanta. Gli archivi Corsera e Gazzetta avrebbero potuto fornire molto di più. Infine un concertino a Ostia (cfr. L. Vendemiale sull’odierno “Il Fatto Quotidiano”). Robetta se paragonata all’effimero doc che l’assessore che fu Renato Nicolini elargiva al popolo romano durante i fasti delle Giunte Argan e Petroselli. Già all’epoca si discettava, col comunque geniale e visionario politico del Pci, sull’uso dei fondi comunali da dedicare al bello e sulla necessità di finanziare il permanente, inteso come strutture di pubblica utilità. Eppure alcuni impianti sportivi furono strappati a furor di popolo e di occupazioni (Villa Gordiani, Quarticciolo, Pietralata a fine Settanta). Ora, i dati dicono che, un chilometro di pista ciclabile costa dai 20.000 ai 150.000 euro. Dividendo il milione e mezzo, bruciato in un giorno nella passerella romana della fase conclusiva del Giro che poteva benissimo restare nella sua casa meneghina, la Giunta della lupa avrebbe potuto creare per i concittadini, a un costo medio diciamo di 70.000 euro al chilometro, almeno una ventina di chilometri di ciclabile degni di questo nome. Quelli che ad esempio mancano da Mezzocammino a Fiumicino. Per chi non è pratico di pedali e legge solo le indicazioni dell’amministrazione, quel tracciato esiste. Ma solo sulla cartina. Di fatto si sviluppa fra campi, più o meno seminati, e pietraie. Per percorrerlo senza ritrovarsi appiedati occorrono una mountain bike downhill, una discreta abilità e tanta fortuna. Il tratto di cui parliamo era già promesso da due giunte Rutelli e due veltroniane, poi una Alemanno, e Marino e Raggi. Tutti si sono occupati d’altro, dai regali ai costruttori cementificatori, a quelli a Buzzi e Carminati, oppure hanno occupato il tempo a fare e subire polemiche e veti incrociati. Così la ciclabile che va (andrebbe) al mare è ferma da un trentennio. Oh, quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali…

Enrico Campofreda

Questo articolo è stato pubblicato qui

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