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I miliardi della politica e la disperazione del Paese

Due rapporti pubblicati ieri. Uno, della UIL, racconta dei costi esorbitanti della nostra politica. L'altro, dell'Istat, di come sempre più italiani vivano nella miseria.

I costi della politica, diretti ed indiretti, ammontano a 23,2 miliardi l’anno, secondo il rapporto presentato ieri dalla UIL. Una cifra che rappresenta circa lo 1,5% del nostro Pil o, se preferite, 750 Euro a testa, per fare cifra tonda, neonati e moribondi compresi. Una vera e propria assurdità. Quasi il triplo di quello che spendono paesi europei di dimensioni analoghe alle nostre, secondo la relazione presentata a marzo di quest’anno dall’Istituto Bruno Leoni, che valutava in 15 miliardi il risparmio possibile, se solo decidessimo di dare alla politica risorse proporzionate a quelle che le destinano Francia, Germania o Spagna. 

Sette miliardi (comunque sette volte di più del cosmetico miliardo renziano), invece, il risparmio valutato come realisticamente attuabile dal segretario nazionale UIL Angeletti “senza compromettere il funzionamento e destinarli alle persone che lavorano e alle imprese virtuose".

Altri dati, sempre forniti dalla UIL, per dare un quadro più dettagliato di quello che oggi è un problema.

Un milione e centomila, pari al 5% degli occupati, sono gli italiani che vivono di politica. Le spese per le consulenze e le collaborazioni esterne ammontano a 2,2 miliardi; 72 Euro ad italico contribuente. Gli organi di Regioni, province e Comuni, da soli, costano la bellezza di 3,1 miliardi l’anno; altri 101 euro a cocuzza di pagator di tasse.

Il dato più demenziale? Due miliardi l’anno per “la mobilità della politica”; per auto blu, grigie, taxi… Una cifra pari a 130 e passa volte (sì, centotrenta) quella stanziata dal governo Letta, tra alti squilli di tromba, per il “diritto allo studio” degli studenti delle medie e delle superiori.

Sprechi belli e buoni; privilegi che è assurdo mantenere mentre precipitano le condizioni di vita di tanti italiani, ormai, in casi tutt’altro che rari, prossimi alla fame.

Esagerazioni? No, altri dati. Li ha forniti sempre ieri l’Istat, confermando quelli rilasciati recentemente da Eurostat, e descrivono un’Italia in cui l’anno scorso è ulteriormente aumentato il numero di chi sperimenta una "severa deprivazione materiale": di chi non può permettersi una settimana di ferie lontano da casa (dal 46,7% al 50,8%); di chi non può riscaldare adeguatamente la propria casa (dal 18,0% al 21,2%); di quelli che non potrebbero sostenere spese impreviste anche di soli 800 euro (dal 38,6% al 42,5%).

Fotografie di una tragedia sociale che tocca il proprio apice nel meridione, dove quasi la metà delle famiglie (il 48% per l’esattezza) è “a rischio povertà ed esclusione”. Ritratto di un paese che fino a pochi anni fa vantava una delle maggiori economie dell’occidente, che ha già smesso di appartenere al primo mondo; dove, e questo è il dato che lascia basiti, ormai il 16,8% della popolazione non può più permettersi “un pasto proteico adeguato ogni due giorni”.

Una realtà che dovrebbe bastare per motivare la politica, se sono ancora uomini quelli che se ne occupano, a ridurre drasticamente i propri costi. Qualcosa che, a questo punto, non sarebbe altro che l’applicazione del più elementare senso di giustizia. Non la soluzione ai nostri problemi? Verissimo, ricordando che il bilancio complessivo dello Stato è di circa 800 miliardi. Il primo passo assolutamente necessario, però, se si vuole guadagnare quella credibilità necessaria a compierne altri e più decisivi. Se non si vuole che il paese finisca per buttarsi, esausto, tra le braccia, oggi già spalancate, del peggior populismo.

 

Foto: Ricardo Liberato/Flickr

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