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I Forconi e le auto blu: tra ribellione ed eversione

Mentre dilaga una protesta ancora difficile da qualificare, l'attaccamento ai propri priivilegi di una squalificata classe politica danneggia lo Stato e le sue istituzioni come nessun terrorismo era mai riuscito a fare.

Alle cronache, la descrizione dei blocchi stradali e degli altri disagi causati dai Forconi. A chi conosce meglio di me la società italiana, il compito di capire ragioni e scopi di questo movimento.

A chi, come me, osserva da lontano i fatti del nostro paese, resta solo una certa perplessità, nel notare che tanto furore si scateni sempre e solo quando il nostro più noto pregiudicato è lontano dal governo, e non poca preoccupazione nell’osservare il singolare bisogno di una parte delle forze dell’ordine di solidarizzare con chi, oggettivamente, non pare più bisognoso o degno di solidarietà di quei lavoratori, studenti e pensionati, normalmente tenuti a bada, nelle loro manifestazioni, da poliziotti e carabinieri in pieno assetto di guerra “urbana”.

Siano chi siano i Forconi, i loro capi ed i loro manovratori, è indubbio che ormai lo scontento stia dilagando nel paese; è, anzi, sorprendente che fino a qui i cittadini italiani si siano limitati a manifestare la propria insoddisfazione con qualche brontolio e, al più, non andando a votare.

Un paio di anni fa, in una situazione non troppo diversa dalla presente, iniziavo un articolo ricordando che Tocqueville, in L'Ancien Régime et la Révolution, opera citata da Hannah Arendt nel suo Le origini del totalitarismo, scriveva che l’odio popolare non si abbatte sul privilegio in sé, ma sul privilegio inutile, non accompagnato da un potere reale e dalle responsabilità che al potere sempre si accompagnano. La Rivoluzione Francese, per capirci, non avvenne quando l’aristocrazia era all’apice del proprio potere; piuttosto quando, a causa dell’affermarsi della monarchia assoluta, agli aristocratici restavano i patrimoni ed i privilegi ma non una precisa funzione.

Una condizione pressoché identica a quella in cui versa la nostra classe politica. Onorevoli e Senatori, specie quelli infilati dentro i partiti dominati da una chiara e forte leadership personale, sembra non abbiano più altro compito che quello di schiacciare, a comando, il tasto giusto in occasione delle votazioni parlamentari; qualcosa alla portata di chiunque (e il loro risibile livello culturale si spiega anche così) e per cui pare incomprensibile debbano ricevere stipendi che la stragrande maggioranza degli italiani può solo sognare. 

Non solo. Tanti, tantissimi, erano più che disposti a chiudere un occhio davanti ai privilegi, agli sprechi e alla ruberie della classe politica, fino a quando questa era nelle condizioni di distribuire a man bassa prebende, sinecure ed esenzioni. Si era determinato, insomma, un ignobile patto sociale, non troppo diverso da quello che vige sotto tutti i regimi meno che democratici, tra un potere ed una cittadinanza (o larghe fette di questa) mutuamente corrotti.

E’ la crisi di questo patto, che la politica, con le mani legate dalle esigenze di bilancio non può più onorare, a rendere violente le proteste anche di categorie che hanno assistito in silenzio, fino all’altrieri, al trentennale scempio fatto del nostro paese.

Cittadini e ceti sociali sulla cui memoria, sulla cui ammissione di corresponsabilità, la politica non può neppure sognarsi di contare. Deve solo prender nota che la situazione è prossima ad un punto di non ritorno; che la crisi di rappresentanza, di cui il crescente astensionismo è il più chiaro sintomo, potrebbe arrivare ad un finale anche drammatico, se non ora, magari già a primavera.

Politica cui sta scadendo il tempo, insomma, per recuperare un minimo di credibilità. Come può farlo? A questo punto una drastica riduzione dei suoi costi può essere questione di vita e di morte, e non necessariamente solo in senso metaforico, per i suoi protagonisti. Avrebbero già dovuto farlo, non per demagogia ma per un minimo senso di giustizia, prima di alzare di un solo centesimo le tasse o tagliare i servizi; hanno l’ultima occasione di farlo ora, magari ricordando che Burke avvertiva come le rivoluzioni avvengano non tanto contro i re quanto per protestare contro le privilegiate “condizioni dei gentiluomini”.

Gentiluomini, si fa per dire, che scorrazzando col loro auto blu tra disoccupati e precari, tra artigiani in difficoltà e commercianti sul punto di serrare per sempre i negozi, hanno eroso la poco fiducia che restava nelle istituzioni e demolito gli ultimi rimasugli di "senso dello Stato". 

Ottusi il cui attaccamento ai propri privilegi è, a questo punto, eversivo quanto il più feroce terrorismo.

 

Foto: La presa della Bastiglia, Jean-Pierre Houël/Wikimedia

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