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Hijos de puta!

Quando si parla di Napoli, lo stereotipo della città di plebe, tutta camorra e degrado, è ormai inevitabile. E’ stata la narrazione, stavolta prudente ma comunque mistificante, che ha segnato per giorni anche il ricordo di Diego Armando Maradona dopo la sua scomparsa. 

Il gioco, d’altra parte è facile. Lo sa bene Saviano, che parla di Gomorra e dimentica Siani, che Gomorra l’ha combattuta e s’è fatto ammazzare. Basta guardare con un occhio aperto e l’altro chiuso, ricordare istituti di pena pieni di minorenni e tacere su Eduardo che porta al Senato le ragioni di quegli sventurati e chiede di tutelarli; straparlare di Cutolo e ignorare la condanna senz’appello delle «madri coraggio» e degli studenti riuniti a migliaia negli interminabili cortei che attraversavano le vie della città.

Parlare seriamente di quegli anni, significherebbe ricordare la camorra, ma anche i suoi legami con la politica e l’imprenditoria locale e nazionale, le lotte per la casa, che giungono fino all’occupazione della «Piazzetta» di Capri e i Comitati che nella «città pericolosa» – «alla «Siberia», per esempio – uniscono docenti e genitori, mogli di camorristi comprese, nella difesa di una scuola che rappresenta ancora la possibile alternativa al reclutamento malavitoso.

I camorristi non sono mai stati padroni della città, nella quale hanno agito, lottato e fatto cultura Gerardo Marotta e il suo Istituto di livello internazionale, Mario Martone e il suo «Falso Movimento», Pino Daniele e la sua musica, Mirella Barracco e la «Fondazione ‘99», Massimo Troisi, suo figlio geniale e il suo cinema. Di Troisi fu in quegli anni la «Smorfia» che, con Enzo De Caro e Lello Arena, costituì un trio spettacolare, capace di partire dai mali di Napoli, per puntare poi il dito sulla miseria morale della politica nazionale, sulla superficialità di sociologi da tre soldi e di pseudo intellettuali sempre più complici di un potere malato.


Negli anni in cui Maradona giunge a Napoli, malavita e degrado morale non sono la cifra di Napoli, ma quella di un Paese in cui la politica, prigioniera di se stessa, è sostanzialmente malaffare. Al Nord, quanto e più del Sud, a Milano certamente più che a Napoli, come diranno di lì a poco le inchieste della Magistratura.

Di questa realtà complessa, volutamente ignorata e probabilmente unica nel Paese, Maradona, un calciatore a sua volta unico, per le impareggiabili qualità tecniche e per l’animo, anticonformista, ribelle e apertamente schierato dalla parte dei deboli e degli emarginati, diventa un riferimento naturale e c’è poco da fare i moralisti giocando sulla vita privata, che comunque non fu solo droga.

Personalmente ricordo Diego fuori dal campo, in una mattina di sole, quando portò al parroco della «Siberia», assediata dalla malavita, magliette, scarpe, un assegno per la povera squadra dei ragazzi del posto e accettò di palleggiare nella palestra della scuola con gli scugnizzi incantati che non si sapeva come tenere a bada. Fu un lampo. Venne e sparì, ma bisognava sentirlo parlare a quei piccoli sventurati e incoraggiare i docenti, per capire perché Napoli non piange semplicemente il campione impareggiabile, ma l’uomo che riconosce come figlio. Un figlio che ebbe nemici giurati nel Nord dell’Italia e del mondo soprattutto. Ricordarlo da morto, come si fosse trattato di un Platini più dotato, ma un poco scombinato e «capa pazza», un personaggio tutto sommato accettato universalmente e riconosciuto per quello che fu è stato vergognoso.

Si è insistito molto – e non a torto – sul valore morale di quel «gol da mariuolo» segnato agli immorali colonialisti inglesi, ma Diego io voglio ricordarlo oggi, a mente fredda, ai tempi di «Italia ‘90» e della ritorsione, quando genio e pazzia non bastarono e la banda dei sedicenti «onesti» lo derubò. Quel giorno non perse Diego; vinsero la prepotenza e l’arroganza dei ricchi e uscirono sconfitti soprattutto il calcio e Napoli. Fummo in tanti a leggere in quella vergogna un avvertimento camorristico, che puntualmente si trasformò poi un una incredibile squalifica. Tutto iniziò a Milano, coi fischi all’inno argentino e Diego che rispondeva a modo suo: «Hijos de puta!», figli di puttana. Fu un potere senza vergogna a regalare la vittoria a una Germania mediocre e ladra. Maradona, l’Argentina e Napoli, che aveva accolto l’Italia come meritava, non dovevano vincere.

A Maradona quelli che nel calcio contano hanno fatto una guerra feroce. Nel calcio della Juve, degli Agnelli e dei Platini, autentico simbolo dello stile Juve, un argentino povero e geniale, diventato scugnizzo napoletano, un amico di Castro, Chavez, Morales e Maduro, imbattibile sul campo e sempre schierato dalla parte della povera gente, era una provocazione intollerabile, che ha pagato caro. Tanti tra quelli che oggi applaudono l’hanno odiato profondamente.

Per ricordare Maradona, sarebbe stato necessario riportare alla luce le dichiarazioni rilasciate, quando fu stroncato da una squalifica eterna, di chi era inserito nel sistema a cominciare da Baresi. Careca è stato chiaro e lo si vede in campo e fuori campo ogni giorno: il Napoli giocava e gioca contro tutti, altro che sport e «vinca il migliore»! E quando fu evidente che in campo non c’era speranza, si andò a cercare la cocaina nelle urine. Non lo si faceva mai, perché non è una sostanza che aiuta a giocare meglio. Serviva per farlo fuori. Oggi applaudono tutti, ma io ricordo il primo articolo scritto per il suo esordio da Brera, maestro di arroganza e incompetenza. A marcare Diego c’era un tedescone – Briegel credo si chiamasse – e per il giornalista settentrionale si trattava dello scontro tra un gigante e un clown. Un’infamia idiota, peggiore di quella dell’«abatino» appioppato a Rivera, che trovò mille consensi. Il pagliaccio però oggi è la storia del calcio. Del gigante non si ricorda nessuno e l’anima di Brera non trova requie. Invisibile, quando gioca il Napoli, dirige puntualmente i cori di veronesi, bergamaschi e juventini.

A proposito di juventini, un amico mi dice che oltre al Covid, in questi giorni hanno un nuovo problema: un’epidemia di travasi di bile. Pare che Agnelli sia diventato più giallo di un cinese. E si capisce, un protocollo di vergogne non si è potuto improvvisare e – chi per convenienza, chi per amore o senso di giustizia – tutti hanno dovuto ammettere: Maradona poteva «nascere» solo a Napoli. La Juve può truccare campionati, ma il grande figlio della povera gente, quello che ha scritto la storia, poteva vivere, ha vissuto e vivrà sempre con la maglia azzurra. E Diego, che lo sa, se la ride: chi pensava di averlo ucciso, l’ha reso praticamente immortale.

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