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Guinea Equatoriale, 40 anni di repressione, paura e crisi dei diritti umani

Il 3 agosto di 40 anni fa Teodoro Obiang Nguema Mbasogo (a destra nella foto) deponeva con un colpo di stato Francisco Masie Nguema e assumeva il potere in Guinea Equatoriale.

Buona parte della popolazione dello stato africano è nata e vissuta durante questo quarantennio e non ha mai conosciuto cosa significhi una vita senza paura, senza la tortura, senza la persecuzione degli attivisti politici, senza le esecuzioni extragiudiziali degli oppositori.

L’unico possibile progresso da segnalare è l’annuncio fatto dal presidente Nguema, il 14 aprile di quest’anno, che presenterà al parlamento una proposta di legge per abolire la pena di morte. Le ultime esecuzioni, nove, hanno avuto luogo nel gennaio 2014.

Ma è ancora da vedere se all’annuncio seguiranno i fatti. Il precedente della legge contro la tortura, entrata in vigore nel novembre 2006, è sconfortante: la polizia ha continuato a torturare per estorcere confessioni o per punire attivisti e oppositori politici.

Una delle più recenti vittime di tortura è Joaquim Elo Ayeto, esponente del partito di opposizione Convergenza per la democrazia sociale: arrestato il 25 febbraio e portato alla stazione centrale di polizia della capitale Malabo, è stato appeso al soffitto perché confessasse il coinvolgimento in un presunto tentativo di colpo di stato.

Nel corso di questi decenni sono state torturate centinaia di persone: chiuse in un sacco e picchiate, appese al soffitto, sospese a un palo con braccia e gambe legate dietro la schiena, colpite da scariche elettriche, tenute ferme con la testa immersa in secchi pieni di acqua sporca, mutilate con lame di rasoio o baionette.

Particolarmente colpita è stata la comunità nativa dei bubi, che vive nell’isola di Bioko. Nel 1998, dopo una serie di attacchi contro basi militari, il regime di Nguema si vendicò torturando decine di loro. Molte donne bubi vennero stuprate e sei detenuti morirono di tortura.

In ogni caso, anche quando sono stati fatti i nomi degli aguzzini, non è stata aperta alcuna inchiesta.

C’è poi il capitolo delle esecuzioni extragiudiziali, iniziato neanche un mese dopo il colpo di stato del 1979. Tra le vittime, lo stesso ex presidente Masie Nguema, fucilato il 29 settembre di quell’anno.

La repressione non ha risparmiato nessuno, neanche i minorenni.

Il 5 febbraio 2015 oltre 300 bambini e ragazzi che avevano preso parte a proteste durante lo svolgimento della Coppa d’Africa di calcio furono arrestati e portati alla stazione centrale di polizia di Malabo. Vennero frustati dalle 20 alle 30 volte e trattenuti per otto giorni in celle sovraffollate insieme a criminali adulti prima di essere rilasciati senza accuse. Alcune famiglie pagarono tangenti alla polizia per ottenerne il rilascio.

In queste condizioni, la vita per i difensori dei diritti umani – attivisti, giornalisti, avvocati – è un inferno. Quando è andata bene, c’è stato un processo iniquo seguito da una condanna.

Questi 40 anni di repressione sono passati inosservati a buona parte della comunità internazionale. Hanno fatto più notizie le stravaganze e i comportamenti criminali di Teodorin, il figlio del presidente, all’estero.

Della repressione interna ci si è accorti in Italia, non tanto sul piano diplomatico ma purtroppo per l’esperienza fatta da diversi cittadini italiani. Uno di loro, l’ingegnere pisano Fulgencio Obiang Esono, è stato recentemente condannato a 58 anni di carcere.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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