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Golden Lady Giuliana: “Ci dicevano di aspettare…”

La storia dell’Omsa-Golden Lady continua e si arricchisce di un nuovo capitolo (purtroppo) di cassa integrazione. Il 25 novembre scorso infatti ha chiuso i battenti la fabbrica Golden Lady di Gissi in Abruzzo. Qui si producevano il gambaletto e i collant classici, qui erano impiegati 380 dipendenti fra i quali anche alcune famiglie.

Giuliana Ricciardi è una di loro, madre di quattro figli e da oramai più di un anno in cassa integrazione. La storia di questo stabilimento è del tutto simile a quella dell’Omsa di Faenza; delocalizzazione in Serbia, chiusura degli impianti produttivi e cassa con incentivi alla mobilità per i dipendenti, anche se qui, come ci racconta Giuliana “tutto si è svolto in sordina, senza che i sindacati facessero alcunché”. L’amarezza nelle sue parole è molta, specialmente se si considera che nell’area abruzzese ci sono tre impianti Golden Lady e solo quello di Gissi, non essendo stato inserito nelle cosiddette ‘Aree di crisi’, non ottiene i fondi conseguenti.

“Abbiamo realizzato tutto con chiarezza solo quest’estate” spiega Giuliana “Eravamo già da un anno, molti da due, in cassa integrazione, ma i sindacati, e noi stessi dipendenti, ci dicevano di aspettare, che ci sarebbe stata una riconversione, o che si sarebbe trovato un nuovo acquirente. Perchè qui, come a Faenza, lo smantellamento delle macchine ed il trasferimento in Serbia è già di fatto avvenuto, addirittura mi ricordo che i nostri manutentori sono stati obbligati a fare i corsi a quelli serbi. Invece quest’estate abbiamo ricevuto la tragica notizia; l’azienda chiude, senza riconversione, senza se e senza ma a novembre. E pochi giorni fa tutto è avvenuto nel silenzio più totale delle organizzazioni sindacali”. Ora si sta parlando di fare un presidio, ma è Giuliana stessa a dirci che sono solo lei e poche colleghe a crederci.

Non stupisce anche qui ritrovare gli stessi metodi beceri e ricattatori con i quali, l’azienda facente capo a Nerino Grassi, ha trattato le dipendenti Omsa di Faenza. “Il portavoce della società chi ha detto chiaramente di non mettere i bastoni fra le ruote altrimenti sarebbe stata mobilità immediata senza cassa; alcuni manutentori che si erano rifiutati di smontare le stesse macchine che erano abituati a riparare per trasferirle in Serbia sono stati apostrofati con un ‘la società ne terrà conto’ e quelli che non hanno collaborato, a differenza degli altri, stranamente non hanno trovato ancora un altro impiego. In tutto questo Cisl, Uil e Cgil ci dicevano di stare calmi e di aspettare. Ma qui l’azienda ha chiuso nel silenzio più totale, neanche la gente del paese sapeva niente, ma di questo purtroppo la colpa è in parte anche nostra”. Giuliana da 18 anni in azienda e che prima facendo i turni percepiva 1.900 euro al mese ora arriva malapena a 1.000 e testimonia, ennesima prova della decadenza della nostra civiltà, la distanza della politica, specie nel centro-sud, dai problemi reali.

di Francesco Farinelli

Nella foto: Giuliana Ricciardi

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